sentirsi a disagio ed a ribellarsi. E quanta più statualità si collega all'affermazione degli obiettivi etnici o nazionali, tanto più pericolose ne saranno le conseguenze. Anche una politica della convivenza pluri-etnica non potrebbe puntare in prima linea sugli strumenti della statualità, ma esige comunque anch'essa una certa misura di garanzia istituzionale del pluralismo linguistico, etnico, culturale e religioso, e della sostanziale parità di diritti ed opportunità, nonchè del reale riconoscimento e della promozione della diversità e della sua dignità. Chi è consapevole di quanto infausta e pericolosa sia ogni tentazione dLesclusivismo etnico, dovrà invece lavorare intorno a politiche positive di convivenza: sarà questa una delle principali sfide dell'oggi e del prossimo futuro, e sarà questo uno dei parametri decisivi secondo-i quali si devono misurare gli stati, le strutture politiche ed anche gli stessi obiettivi e le iniziative dei movimenti etno-nazionali minoritari. Esclusivismo etnico opolitica della convivenza: è questa la fondamentale alternativa da porre, e sta qui una sorta di cartina di tornasole per verificare un importante aspetto della qualità pacifica o guerrafondaia di stati, costituzioni. ordinamenti - ed anche dei movimenti di risveglio etnico. Bisognerà dunque valorizzare la dimensione territoriale assai più che la dimensione etnica o nazionale: il comune vincolo che unisce le persone conviventi su uno stesso territorio, costituisce un legame con esso e tra le generazioni che vi si susseguono. Vi possono confluire positivamente importanti aspetti ecologici, sociali, economici ed anche culturali, e decisamente vi corrisponde meglio una concezione federalista piuttosto che lo statonazione o le sue caricature in sedicesimo. Anche perchè gran ·parte degli odierni stati cosiddetti nazionali sono al tempo stesso troppo grandi e troppo piccoli: troppo grandi per assicurare reale democrazia e partecipazione, e troppo piccoli per affrontare in modo efficace i maggiori problemi di carattere sovra-nazionale (per esempio la protezione dell'ambiente o la politica di sicurezza). Il federalismo europeo può contenere una risposta? Sembra dunque convincente serbare una forte dose di diffidenza verso le impostazioni etno-centriche e nazionaliste - comprese le circonlocuzioni un po' sospette dell'"Europa delle patrie" o "delle etnie/dei popoli" (intesi in senso etnico), mentre la chiave dell' "Europa delle regioni" sembra offrire decisamente una migliore base di partenza per una buona politica democratica delle autonomie, della convivenza e di una reale autodeterminazione, non solo declamata e ridotta a plebiscito "una tantum". Il federalismo che occorre oggi per risolvere in qualche misura i problemi di cui sinorà abbiamo parlato, potrebbe forse essere caratterizzato come contestuale spostamento di poteri e di competenze verso il basso e verso l'alto. Verso il basso, attraverso il rafforzamento delle autonomie e dell'autogoverno locale, e verso l'alto attraverso la costruzione di autorità e ordinamenti sovra-nazionali. Il decentramento di potere deve anche implicare che delle comunità o minoranze con particolari caratteristiche etniche o linguistiche abbiano titolo particolare per fruire di strutture politiche adeguate per coltivare, al tempo stesso, la loro necessaria "vita interna" (intra-comunitaria) e per favorire lo scambio e la convivenza - con pari diritti - tra persone e culture. Il riconoscimento di particolari forme di autonomia e la garanzia istituzionale di un adeguato pluralismo linguistico nei territori interessati ed in alcuni importanti momenti dell'ordinamento più generale sono elementi importanti in questa direzione. La Comunità europea (CE) sicuramente è oggi, in Europa e con una forte irradiazione esterna, quella costruzione tendenzial- _ mente federalista verso la quale si guarda con maggiore speranza, da molte parti.· IL CONTESTO Certo, la CE oggi non rappresenta propriamente un sogno di democrazia, di autonomie, di federalismo, eppure si tratta di quell'"Europa realmente esistente" che viene presa come punto di riferimento, in positivo o in negativo; l'Europa che si loda, si critica, si cerca di imitare o si ritiene di dover combattere. Opportunità e limiti della CE Poniamoci dunque, in chiusura, tre domande, a questo proposito, dalle risposte alle quali dipenderanno molte conseguenze pratiche per il futuro europeo. 1. Quali spunti positivi contiene l'esperienza della CE in quanto a ordinamenti sovra-nazionali e federalisti? 2. Quali sviluppi vanno invece in direzione sbagliata? 3. Cosa dovrebbe cambiare nella CE ed intorno alla CE per sviluppare un federalismo europeo credibile ed "attraente" anche per l'Europa dell'Est, tanto da offrire un'alternativa persuasiva alle ricadute verso gli stati nazionali? Esperienze positive Tra gli elemente positivi e propositivi dell'esperienza sinora acquisita della CE si potrebbero enumerare i seguenti: - si è messo in moto un processo di integrazione che ha avvicinato "nemici storici", ha reso poco rilevanti i confini statuali, ha prodotto comuni politiche e comuni organi istituzionali (per esempio il Parlamento europeo e la Commissione esecutiva della CE); - è stato sviluppato un diritto federale comune - almeno in certi limiti e per certi ambiti - e si è costruito un fondo comune di diritti, obblighi ed opportunità anche direttamente per i cittadini; - il processo di integrazione si svolge sinora in larga misura nel rispetto di importanti elementi di diversità e di molteplicità (per esempio delle lingue e culture, perlomeno "nazionali"; più insoddisfacente è la situazione a livello "infra-nazionale") .. Rischi e aspetti negativi Senza poter svolgere in questa sede una critica approfondita e generale alla CE, bisogna perlomeno telegraficamente annotare che si tratta, a tutt'oggi, di una struttura fortemente centrata sull'economia e la finanza, a carattere marcatamente tecnocratico, che si distingue tra l'altro per alcuni fondamentali deficit: - deficit democratico: un Parla;nento debole si trova confrontato con una robusta "somma di esecutivi nazionali" (il Consiglio dei ministri) ed un (meno robusto) "esecutivo comunitario" (la Commissione), che tuttora non è neanche eletto dal Parlamento; altri strumenti per la partecipazione e la codecisione democratica mancano totalmente; - deficit federalista: gli stati nazionali fanno la politica della CE attraverso il Consiglio; di regionalismo ce n'è appena qualche debolissima traccia; la CE non "obbliga" i suoi stati membri ad alcuno standard minimale in fatto di regionalismo, autonomie, tutela delle minoranze, decentramento dèl potere e dell' amministrazione (mentre è molto esigente in fatto di imballaggi standardizzati, caratteristiche del latte in polvere, ecc.); - deficit eu,ropeista: anche se i 12 stati della CE e gli attuali 7 stati dell 'EFT A si uniranno in un grande "spazio economico europeo" (S.E.E.), e persino se l'EFT A dovesse abbastanza presto confluire nella CE, resterebbe sempre ancora la contrapposizione tra l'Europa ricca ed il resto del "vecchio continente"; l'Europa centrale ed orientale non compare in quella costruzione europea e si deve accontentare di sempre nuove "sale d'attesa", per non disturbare il processo di integrazione economica, politica e militare dell'Europa occidentale ed i suoi interessi ed alleanze. 21
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