Linea d'ombra - anno X - n. 68 - febbraio 1992

Foto Kozemi (Rea/Solir/Contraslo). Va sottolineato anche che nei movimenti etno-nazionali ci sono molti aspetti autentici e costruttivi: per esempio la rivalutazione di peculiarità e tradizioni ·linguistiche e culturali, e modi specifici (sociali e personali) di affrontare la vita e di vedere il mondo che in genere non mettono al primo posto il "valore di scambio;' ottenibile sul mercato, cioè il rendimento economico., Si' contano oggi qualcosa come 170 stati sovrani nel mondo, ma sicuramente più di 5000 lingue: già questo dato fa capire che la riduzione forzosa - imposta in genere con mezzi economici, politici e militari - dei popoli ad un solei tipo di "sviluppo" (quello moderno industriale), ad un solo tipo di "ordinamento statuale" (il cosiddetto "stato nazionale" moderno) e ad un solo tipo di economia (quella dominata dal denaro e dal profitto, inserita nel cosiddetto "mercato mondiale") provoca resistenze comprensibili e giustificate. Tali reazioni sono da considerarsi . non solo una preziosa sfida che obbliga a ripensare la qualità e la finalizzazione del cosiddetto "progresso", ma rappresentano anche il tentativo collettivo di difendere e promuovere economie, culture, forme di organizzazione sociale e di vitalità comunitaria che nuotano contro corrente e non risparmiano sforzi per mantenere, in barba a quel "progresso", tessuti di vita "fuori mercato", anche a costo di disturbare il manovratore. Ed è proprio questa miscela complessa e mai nettamente separabile di aspetti costruttivi e distruttivi dei movimenti e delle aspirazioni etno-nazionali che rende così difficile compierne una netta valutazione, riuscire nelle prognosi e trovare le risposte giuste. Non .sipossono semplicisticamente assimilare o parificare gli obiettivi nazionali o etnici per esempio dei baltici, dei caucasici, dei sudtirolesi, dei baschi, dei curdi, dei lapponi, degli armeni .., nè le reazioni che essi suscitano ed incontrano. Non tutti i gruppi IL CONTESTO etnici o linguistici, non tutti i popoli o tutte le tribu considerano il raggiungimento di uno stato nazionale proprio o l'aggregazione ad uno stato nazionale a loro affine come supremo obiettivo, ma certamente hanno in comune l'aspirazione ad un livello possibilmente alto di autonomia e di autogoverno. Anche le reazioni a queste rivendicazioni (ed ai processi di secessione che ne possono conseguire) sono molto variegate: si va da giudizi entusiasticamente positivi e speranzosi, segno della fiducia in una concreta realizzazione del "piccolo è bello" o del principio di autodeterrnninazione nazionale o di una sana reazione al centralismo, alla burocrazia e ad ogni forma di etero-nomia, sino a rifiuti più o meno netti, espressi in nome del pericolo nazionalista e della diffidenza verso nuovi stati, nuovi eserciti, nuove guerre. Non di rado si mescolano poi antichi problemi, inimicizie ereditarie, problemi insoluti di frontierit, oppressioni o discriminazioni di lunga data con nuove tensioni: espulsioni recenti, migrazioni forzate. o immigrazioni giudicate eccessive, diffusione di nuovi atteggiamenti (dal regionalismq sino alla xenofobia). Se vi si aggiungono le tensioni di ordine economico. e sociale che vi possono essere, e se si considera che ogni genere di conflitto etnico o nazionale si presta a suscitare implicazioni "di sicurezza" (cioè militari, regolari o irregolari che siano le forze in campo), si comprenderà la tentazione di qualcuno di preferire magari l'azione di un "gendarme mondiale" (possibilmente "buono") piuttosto che lasciar sprigionare simili conflitti. Un ritorno allo stato nazionale? E mentre in non poche parti d'Europa si manifesta una certa nostalgia verso antichi ordinamenti pluri-nazionali-peresempio verso l'impero austro-ungarico o verso il sacro romano impero, ma persino verso l'impero ottomano (e tra non molto sorgerà probabilmente analoga nostalgia verso l'ex- Jugoslavia o l'ex19

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