Linea d'ombra - anno X - n. 68 - febbraio 1992

IL ~ONTESTO cercato di riprendere il controllo del centro storico, ma l'assalto è stato respinto. I militari governativi hanno attaccato da tutte le parti, c'è stata battaglia sul lungomare, in via Roma· e vicino alla centrale elettrica (ENEA). Per fortuna non si lamentano morti, solo un gue1Tiglieroferito alla gamba e un paio di civili. 18.1.1991. La giornata è iniziata bene, una pallottola vagante è entrata in casa con un fragore di vetri rotti, per fortuna non ha causato danni ma solo un forte spavento a tutti noi. La pallottola che poi abbiamo ricuperato è di grosso calibro, del tipo usato dal mitragliatore pesante che qui la gente chiama bron (Brown) di fabbricazione americana; è entrata dalla finestra della camera della nonna che dà sulla strada e ha proseguito sfondando la parete del salotto. La nostra casa è ad angolo su un incrocio e da alcuni giorni abbiamo abbandonato le stanze che danno sulla strada perché sono le più esposte. Avevamo pensato di lasciare la capitale, ma i nostri vecchi non accettano, dicono che preferiscono morire in casa piuttosto che lungo la strada, i nostri vicini invece, sono sfollati a Merca. Sono riprese le sparatorie e le cannonate, è pericoloso uscire di casa, fischiano pallottole ·da tutte le parti. In mattinata è venuto il mio amico Axmed che mi aveva prestato un mitra AK di fabbricazione russa e lo ha voluto indietro; non che l'avessi mai usato, ma almeno serviva a darmi coraggio. Abbiamo trascorso una brutta notte, a tenerci svegli ci hanno pensato un cecchino.governativo che sparava dall'ENEA e un gruppetto di guerriglieri che da un vicolo dietro casa rispondeva al fuoco. Mia figlia Imaan ha ancora la diarrea, è impossibile trovare un medico e le medicine. · I 19.1.1991 Di mattina, presto, quando le ostilità non sono ancora cominciate, mi sono armato di coraggio e sono andato a vedere la mia casa a Xamar Bile. Nel nostro quartiere regna una confusione totale: centinaia di persone sono in strada armate di fucili e piedi di porco, stanno lavorando alacremente intorno alle saracinesche per saccheggiare i negozi. Ci eravamo liberati dall'incubo dei faqash ma ciò che avviene sotto i nostri occhi è ancora peggio. Da tutta la periferia centinaia di persone convergono sul centro storico, finora risparmiato dalle cannonate e dagli incendi, e dettano legge, ciÒèla legge<lelpiù forte. Mi fermo a guardare lo spettacolo; la saracinesca viene sfondata e la porta scardinata, alcuni uomini armati vigilano sulla preda mentre i loro complici mettono le mani sulla cassaforte. ·. Da dùe anni a questa parte, le banche non erano in grado di restituire i fondi depositati dai correntisti, per mancanza di denaro liquido. La corruzione aveva raggiunto livelli tali che la Banca nazion_aleera diventata la cassa privata di afweyne (bocca larga) un appellativo affibbiato a Siyaad Barre e di tutta la sua numerosa e insaziabile parentela. . Una legge, che era anche una dichiarazione di bancarotta, concedeva a chi aveva depositi fino a centomila scellini di ritirare il capitale, mentre agli altri cioè ai commercianti e agli industriali, il governo garantiva la restituzione del 20% dell'intero capitale. Dopo questa legge nessun commerciante ha depositato più denaro liquido in banca; di conseguenza il governo si è trovato senza valuta ar punto da non garantire più il pagamento degli stipendi <legli impiegati statali; in più di un'occasione !''esercito è dovuto intervenire a sequestrare con la forza e con decreto presidenziale, il denaro custodito nelle casseforti dei grandi commercianti e imprenditori. Gli sciacalli erano a conoscenza di questo particolare per cui prima i militari governativi e poi gli altri erano sicuri di trovare molto denaro in valuta pregiata. Dopo il loro passaggio, la prima cosa che si notava era la cassaforte sventrata e abbandonata sul marciapiede: migliaia di documenti erano sparsi dappertutto e molta gente faceva incetta di passaporti, soprattutto stranieri: yemeniti, indiani ecc ... XamarWeynè ha la più alta densità di negozi e magazzini di tutta Mogadishu per cui non c'è da meravigliarsi se migliaia di delinquenti comuni, cui la guerra ha concesso ogni licenza, ne hanno approfittato, tanto più che non è difficile trovare·armi e nessuna legge impedisce di usarle. Ma ciò che mi colpisce maggiormente è come in un lampo si sia 14 Foto Rosen !Soba-Rea/Contrasto). sparsa la voce in tutta la Somalia di ritrovamenti di enormi tesori nei negozi, per cui ai ladri si è aggiunta la gente comune attratta dal mfraggip della ricchezza che, a rischio della vita, cala sul centro storico e si dà al saccheggio; all'inizio erano pochi e molto impauriti poi, di giorno in giorno, si sono fatti più numerosi e più agguerriti. Agli uomini si sono aggiunte le donne, i vecchi, persino i bambini. Dopo che si sono serviti abbondantemente, gli uomini armati lasciano il campo ai piccoli sciacalli che senza troppi complimenti arraffano di tutto e con enormi fagotti sulle spalle si avviano verso casa. Lo spettacolo è allucinante, siamo in piena gue1Ta,l'esercito governativo mantiene ancora il controllo di parte della città, ma sembra che la maggiore preoccupazione della gente sia quello di dedicarsi al saccheggio. Da ambo le parti lo scopo è il medesimo e non è raro uno scontro furibondo tra armati per difendere il bottino come è successo nelle banche dove decine di persone sorprese a rubare sono state massacrate da altre che avevano lo stesso obiettivo. A Bondhere la situazione è tranquilla, alcune persone stanno seppellendo i loro morti caduti sotto i bombardamenti della notte prec~dente; incontro un uomo che porta in braccio un fagottino bianco; sta cercando un posto per seppellire il suo bambino. Questo spettacolo mi colpisce profondamente: i bambini sono le vittime innocenti della gue1Ta;anche la mia piccola lmaan soffre di vomito e diarrea; è debolissima e non riesce più a tenere gli occhi aperti, trovare farmaci è impossibile. La scena che mi si presenta quando giungo a Sinay è agghiacciante: del più grande mercato della capitale non restano che lamiere contorte e annerite dal fumo. Le cannonate non hanno risparmiato i palazzi vicini; Maxarnuud Sheekh, lo zio di mia cognata Safiya è con le mani nei capelli di fronte al suo albergo la cui facciata non esiste più. Attraverso il cimitero Generai Dauud e da lontano scorgo la porta di casa mia, al primo piano, sfondata. Le gambe mi diventano molli, avanzo con fatica, ho la nausea. Faccio le scale rassegnato al peggio, _laporta che avevo rinforzato con assi e chiodi è stata sfondata.

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