Daniele Novara Daniele Novara (Piacenza 1957), insegnante, è attivo nel movimento nonviolento e pacifista e responsabile del Centro psicopedagogico per la pace di Piacenza. È uno dei promotori della rivista "Mosaico di pace" (via Massimo d'Azeglio 46, 70056 Molfetta). Tra i suoi libri, presso le Edizioni Gruppo Abele, Scegliere la pace (in 4voll.) e L'istinto di pace. LATERRA 21 s I = .. ; .. e: E Modi dell'educazione alla pace Dalla manipolazione all'ascolto Una discussione in classe, condotta dall'insegnante, su "Cosa pensate della guerra in corso?" rischia da un lato di far partecipare gli alunni al classico funambolico gioco dell'indovinare cosa pensa l'insegnante di questo problema per adeguarvisi il più possibile; dall'altro può implicare - specie per i più piccoli - l'inquietante tentativo di non mettersi eccessivamente in conflitto con i sentimenti e le opinioni dei genitori, di cui la critica (e l'eventuale sfiducia) è spesso più temuta che lo sviluppo delle proprie opinioni. Entrambi gli esiti presentano agli occhi del1' osservatore esterno i caratteri tipici del conformismo. Spinti all'appuntamento diretto con le tematiche d'attualità, con le catastrofi nelle quali stiamo affogando, i ragazzi finiscono spesso col produrre risposte stereotipate, oppure disinteresse, oppure rifiuto. Le difficoltà registrate in questi anni di educazione alla pace1, alla giustizia, all'ambiente - aggravatesi col recente confronto fra le strutture educative e l'entrata in guerra del!' Italia durante la crisi del Golfo Persico - impongono di ridefinire metodologicamente una didattica in grado di produrre cultura sui temi in questione. È un nodo cui è difficile sfuggire: in classe (per esempio, ma non solo nelle classi) ci sono figli di militari, figli di cacciatori e di agricoltori che usano ampiamente i pesticidi, ecc. Ma anche l'educatore è portatore di idee, istanze, modi di pensare, ideologie che indubbiamente agiscono nel contesto educativo. È accaduto, per esempio, che durante la guerra nel Golfo intere classi delle elementari inviassero ai giornali accorate lettere pacifiste mentre altre intere classi elementari spedivano lettere di sostegno ai militari italiani o addirittura a George Bush. Sorge il legittimo sospetto di un'azione decisamente persuasiva operata dagli stessi insegnanti, per giunta su una fascia di età (2° ciclo elementare) molto portata ad assecondare i desideri degli adulti. In altre parole: dare l'appuntamento diretto ai bambini su problemi tipicamente degli adulti implica un largo margine di possibile manipolazione, legata ali' adeguarsi - anche inconscio - di bambini alle aspettative degli adulti stessi. Il gioco delle aspettati ve e delle "profezie autorealizzantesi" è stato ampiamente studiato e non è il caso di tornare sull'argomento se non per ricordare che la tendenza registrata è che gli alunni cercano comunque di adeguarsi alle attese dell'insegnante 2 • Ma in ambito pedagogico il problema del rapporto fra manipolazione e autenticità, fra dipendenza e autonomia, fra libertà e costrizione rappresenta un "incrocio" centrale per una vera innovazione. Che può fare allora l'educatore attento alla società, desideroso che i giovani crescano con strumenti adeguati ad affrontare i conflitti e a reagire alle ingiustizie e che vuol vivere il suo ruolo in uno sforzo di compenetrazione fra educazione e sviluppo sociale e comunitario, ma che rifiuta l'idea di dover manipolare gli allievi per rag&iungere questo scopo? E inutile negare che un insegnante pacifista non può affrontare il tema dell'obiezione di coscienza al servizio militare estrapolando dalle sue convinzioni e simpatie. Allo stesso tempo non è neanche opportuna una preventiva autocensura. Che fare, dunque? Cercherò di offrire alcune prime riflessioni a partire dalle dallemie ultime ricerche ed esperienze. Dividerò in ciò che è consigliabile fare (i "sconsigli") e in ciò che è consigliabile (consigli). È inutile ricordare che si tratta di indicazioni ancora provvisorie, che necessitano di ulteriori verifiche ma che possono dare un primo repertorio di possibili azioni. La mia preoccupazione principale è quella di superare una modalità che ritengo assolutamente inadeguata di educazione alla pace, alla solidarietà o all'ambiente riassumibile nel concetto di "educazione critica programmata". Intendo con questa espressione l'ambiguità di un certo atteggiamento missionario dell'educatore che si traduce nel voler convincere i ragazzi della bontà di qualche comportamento o idea socio-politica, dal1'alimentazione alle scelte di natura ecologica e pacifista, ecc. ecc .. Questa impostazione si tra- " sforma spesso in programmi, contenuti e piani di lavoro che dovrebbero dare una "coscienza critica" ai più giovani. Dietro questa preoccupazione antimanipolatoria c'è l'impegno a voler scoprire come valorizzare le competenze "politiche" dei bambini rispettandone la naturale differenza.
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