1 8 VISTA DALLA LUNA <( e::: e::: ~ <( ....l divide". Mi permetterei di ritoccarle così: "cercare prima di tutto ciò che unisce; valorizzare ciò che divide". Fra la tribù della parola scritta e la tribù multimediale non mancano i denominatori comuni adatti a fare da fulcro al dialogo. Oltre ai numerosissimi casi di ripresa e di azione reciproca tra le varie forme estetiche "alte" e "basse", letterarie e audiovisive, il denominatore comune è dato dalle regole del gioco e dalle forme di cooperazione testuale richieste sia dai prodotti della "cultura giovanile" sia dalla letteratura canonica. Il ragazzo che legge un fumetto dell'orrore o segue una telenovela accetta di partecipare alla costruzione di un mondo possibile a cui prestare attenzione indipendentemente dall' uti I ità pratica che ne può trarre e dall'aderenza dei fatti narrati a situazioni o eventi reali; lo studente che, pressato dall'interrogazione e dal voto, esige che il professoregli spieghi il significato"esatto" della più rarefatta poesia simbolista, fuori dalla scuola non si stupisce affatto che una canzone di Gianna Nannini o l'impasto di suoni e immagini della video-music possano dar luogo a diverse interpretazioni ugualmente legittime da parte di diversi fruitori. Insomma, ciò che i nostri studenti chiedono alla "loro" letteratura non è poi tanto diverso da quello che noi chiediamo alla "nostra". Possiamo dunque ritenerci affratellati da esigenze e competenze comuni, e procedere con una certa fiducia e curiosità reciproche alla scoperta di ciò che ci rende diversi. Valorizzare le differenze La seconda regola del dialogo ("valorizzare ciò che divide") mi sembra ben illustrata dalla storiella del venusiano che incontra il terrestre e, dopo i primi convenevoli, gli dice: "Sai? tutto l'universo ruota attorno al mio pianeta". "Mi dispiace - obietta il terrestre - ma ti sbagli: il vero centro dell'uni verso è il mio pianeta". A questo punto i due interlocutori hanno di fronte tre alternative: a) ignorare la divergenza e cercare un argomento di conversazione meno imbarazzante; b) fare la guerra; c) scoprire il sistema solare. La morale della storia è che ogni apprendimento capace di ampliare veramente le nostre prospettive nasce dal confronto e dall'integrazione tra diversi modelli di mondo: nel!' alternativa e la divergenza tra il venusiano e il terrestre non è considerata come un inconveniente da ignorare (a), né come un ostacolo da eliminare con la forza (b), ma come unarisorsa conoscitiva da sfruttare per scoprire una verità nuova, che inglobi e trascenda i due punti di vista di partenza. Credo che la scuola, rispetto a tutte le differenze dovrebbe cercare di adottare la strategia c: imparare a imparare è l'opposto di fare la guerra.L'imperativo etico a cui si ispira questa ideadell 'apprendimento è stato formulato con lucidità da Heinz Von Foerster: "Agisci sempre in modo da aumentare il numero delle possibilità di scelta". Ridefinire il campo disciplinare Riferiamo queste considerazioni generali al nostro problema. In una classe ci sono venticinque, ventisei persone che, in partenza, hanno ciascuna una sua mappa del mondo, un suo corredo di possibilità di scelta. Si tratta di rendere queste mappe più duttili e articolate, queste gamme di scelta più ampie. La risorsa fondamentale è costituita dalle diffeSCUOLA E ADOLESCENZA renze (di sesso, di generazione, di gusto...) che ci sono nel gruppo. In campo estetico-letterario gli obiettivi del processo di cambiamento (che naturalmente riguarda tanto gli studenti quanto I' insegnante) possono essere sintetizzati in uno slogan: "Allargare il campo dei testi fruiti; ampliare la gamma dei modi di fruizione". Le due tribù possono costruire gradualmente un modello di fruizione estetica e un'idea di letteratura che nascono dall'integrazione - su un piano di parità- tra la competenza specialistica, rappresentata dall'insegnante, e la "competenza comune" rappresentata dagli studenti. I quali vedranno in questo modo rispettati due fondamentali diritti che riguardanoogni gruppo umano: il diritto al riconoscimento della propria cultura (o sottocultura) particolare, e il diritto di appropriarsi della cultura dominante. Inutile dire che, per realizzare un simile dialogo, occorrerà ridefinire il campo disciplinare oggetto dell'insegnamento, abolendo le gerarchie aprioristiche tra letteratura e paraletteratura e facendo entrare a pieno titolo nella scuola anche le forme non verbali- o non solo verbali -del I' esperienza estetica. L'imprevisto come informazione Un altro punto da mettere in discussione è il concetto di programmazione didattica. Secondo i manuali di didattica che vanno per la maggiore, un buon insegnante dovrebbe prevedere, controllare e dominare ogni fase del processo formativo attraverso l'elaborazione preventiva di percorsi rigidamente formalizzati entro i quali far passare i suoi studenti, verificandone passo passo la maggiore o minore aderenza agli obiettivi predefiniti e correndo ai ripari ogniqualvolta si individuino ritardi o deviazioni. Questa idea asettica e tecnocratica del nostro mestiere è in totale contrasto con quanto ho cercato di proporre finora. Di fronte alle considerazione estemporanee di unVermeti Ernesto su Rimbaudun rigido programmatore di Obiettivi-Contenuti-Metodi si affretterebbe a dire subito la sua, per ricondurre il più rapidamente possibile il discorso sui binari programmati; in altre parole accetterebbe e valorizzerebbe come "informazioni" solo quei contributi che si collocano nel quadro delle sue previsioni e considererebbe ogni intervento imprevisto come un ostacolo alla corretta trasmissione del messaggio, un "rumore" da lasciaresullo sfondo e possibilmente da neutralizzare. Una leale accettazione del dialogo tra le due tribù ci impone invece di considerare l'imprevisto come informazione, e lo spiazzamento da esso prodotto come un'occasione da valorizzare per apprendere qualcosa di inatteso: non si tratta tanto di trasmettere pedissequamente un sapere precostituito, quanto di costruire cooperativamente un sapere nuovo (nuovo per i membri di quella comunità interpretativa, insegnante compreso). L'insegnate come variabile Questo non significa che l'insegnante debba presentarsi inclasse senza progetti né previsioni, per lasciarsi trasportare dalla corrente alla caccia dell'imprevisto. Semplicemente, dovrà tener conto che i suoi progetti e le sue previsioni (ma anche i suoi sentimenti, le sue opzioni morali ecc.) sono solo un polo della relazione didattica, e che l'altro polo è costituito dalle attese, dai modi di funzionamento, dall'universo di valori e di emozioni dei suoi studen-
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