1O VISTA DALLA LUNA <r:: o::: o::: UJ f- <r:: ..J Paolo Rigliano Paolo Rigliano, 33 anni, laureato in Medicina e Chirurgia alla Scuola superiore di studi universitari di Pisa, specializzato in Psichiatria e Criminologia, dall'86 al '90 ha lavorato presso il Nucleo operativo per le tossicodipendenze della Ussl 75/1di Milano, operando anche nella sezione femminile del carcere di San Vittore. Attualmente lavora presso il Centro psi~osociale di Corsico. E appena uscito un suo libro, Eroina, dolore, cambiamento. Un'interpretazione sistemica delle tossicodipendenze (Edizione Unicopli). In questo lavoro la tossicodipendenza viene messa in stretta relazione con la sofferenza psicologica e relazionale. Di qui nasce un'ipotesi terapeutica basata sull'emancipazione dal dolore da parte dell'individuo e del suo contesto affettivofamiliare. Cercando di mettere in discussione luoghi comuni e mitologie del fenomeno droga e delle strategie per combatterla, Rigliano cerca il dialogo con chi si confronta con questo problema in un'ottica non repressiva , non punitiva, ma responsabile. Zita Dazzi (Milano 1965) lavora alle pagine di cronaca milanese di "La Repubblica". Eroina, dolore e cambiamento a cura di Zita Dazzi Eroina, dolore, cambiamento. Perché questo titolo? La parola centrale è dolore. Il libro mira ad indagare e a ipotizzare quali siano le dinamiche della sofferenza sottesa sempre alle condizioni di tossicomania. Con questo intendo una ituazione che riguarda le persone che fanno uso ma siccio, quotidiano, continuo da almeno un anno di eroina. È un'indagine sulla sofferenza che sta a monte e a valle della tossicomania. Questa è un'ipotesi forte che va contro le letture dominanti che hanno portato ali' approvazione della legge Russo Jervolino. Essa genera poi una sequenza di altre ipotesi: che, per esempio, solo confrontandosi con la specificità di queste dinamiche di sofferenza sia possibile realmente prevenire o intervenire terapeuticamente sulle tossicodipendenze. E chi non fa i conti con questa sofferenza e non ne rispetta la complessità, l'estrema specificità, la peculiarità, chi non riesce, di fronte alla persona e al suo contesto familiare, a cogliere l'assoluta unicità di queste sofferenze, si condanna al fallimento. Si dice che la nuova legge sulla droga sia condannata al fallimento. È da qui che nasce la sua esigenza di mettere l'accento sulla sofferenza e sul fallimento inevitabile per chi non parte da questa considerazione? Questo è un libro di speranza, è un atto di obiezione di coscienza, un atto non violento di resistenza civile contro questa legge, attuato con gli strumenti scientifico-clinici di cui dispongo. Contro il tentativo gravissimo della cultura e della società attuale di colpevolizzare il dolore e di abolirlo. Contro qualsiasi ipotesi di punibilità, di punizione e di repressione, sono partito da una domanda fondamentale: come si fa a porre un vincolo esterno, estrinseco alla persona e alla sua sofferenza quando la persona stessa ha già superato i molto più stringenti vincoli propri? Se io me ne frego della mia salute, se pur di raggiungere il mjo obiettivo di edare comunque le mie sofferenze me ne frego della mia dignità, se vado a rubare e a scippare, se vado via di casa, se distruggo me pur di raggiungere questo obiettivo in cui perversamente ritengo di aver trovato una soluzione, allora vuol dire che non funzionano i più intimi vincoli propri. E come possono funzionare allora vincoli esterni? Questa è una domanda che condanna, secondo me, questa legge e le ipotesi mentali, culturali e sociali, gravissimamente fuorvianti che stanno dietro questa legge. Torniamo ali' ipotesi del dolore come precondizione della tossicomania. Ho parlato della· offerenza della persona e della famiglia- perché l'indirizzo fondamentale del libro è "relazionale" - perché la mia interpretazione connette sempre la persona al suo contesto familiare. Ho tentato di vedere le dinamjche che si intersecano prima della tossicodipendenza: esse sono estremamente variabili, non riportabili ad una configurazione unica. A monte della tossicomania ci sono moltissime dinarn.iche sia all'interno dell'individuo, sia all'interno della famiglia. Quando parla di "dolore" si riferisce anche al disagio sociale? No. Io voglio combattere una certa mitologia completamente deformante di quelle che sono le realtà complesse che stanno dietro alla tossicomania. Per esempio la mitologia del tossicomane che cerca la morte, immaturo, debole, fragile, costituzionalmente incapace, emarginato. Non perché, per esempio, l'emarginazione non ci sia o perché non siano radicalmente implicati fattori sociali, ma perché questo non è il cuore del problema. Essi possono certamente essere una concausa o una conseguenza. Ma, come dimostrano i fatti, la figura del tossicomane emarginato, o deviante, o criminale, non riesce affatto a dar conto della crucialità dell'esperienza di dolore di queste persone. Che tipo di dolore è dunque questo che lei dice essere a monte dell'esperienza di tossicomania? È un dolore che nasce già nel preadolescente, poi nell'adolescente, poi nel giovane adulto, è un dolore quindi di tipo psicologico-relazionale e, in senso clinjco, esistenziale. È un dolore in cui tutti gli altri elementi sicuramente sono coinvolti e interagiscono. Sono in forte disaccordo con le definizioni assolute dei tossicodipendenti che li riducono a stereotipi. Quella del tossicomane emarginato è una mitologia quando pretende di collegare tutta la realtà del fenomeno solamente ad una causa, in questo caso all'emarginazione. Va, invece, sempre visto il gioco dei fattori che convergo-
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