IL CONIUTO L'ingresso sulla scena di Cossiga ha accelerato ~ruscamente questo processo e lo ha indirizzato verso mete p~tJcolarment~ inquietanti. Le picconate del presidente sono dirette contro 1 politici, la partitocrazia, il consociativism_o, la magi_s~at~rae tut_te le più importanti istituzioni della re_Pubbhca (cara?1men e~clus1), ma allo scopo di difendere il vecch10 potere. Cossiga predica una svolta epocale, ma in realtà prefigura una sorta di palingenesi purificatoria da cui dovrebbe riemergere, sotto le macerie delle istituzioni, l'antico regime di sempre. Dice di aver abbandonato la Democrazia Cristiana, ma i suoi punti di riferimento restano democristianissimi: quelli costruiti saldamente nella guerra fredda tra poteri occulti, forze armate e servizi segreti. Il suo orizzonte è tutto lì e quando ammicca all'uomo della strada, è in realtà a quegli ambienti che si rivolge (non senza essere contraccambiato). Questa è la sua cerchia naturale, forse l'unica che ·conosce veramente. Le tappe della sua follia sono state tutte scandite su rivelazioni connesse alla strategia della tensione e alla P2. Le sue picconate sono state indirizzate a senso unico sui disvelatori. Ed è davvero curiosa questa crociata contro la partitocrazia che si propone di debilitare l'unica istituzione pubblica - la mag~stratura-=-che in questi anni ha sferrato qualche colpo alla corruzione e ai traffici dei partìti. In realtà, la follia presidenziale è un continuo interesse privato in atti d'ufficio; una critica del potere in nome dell'abuso di potere, una critica alla partitocrazia confusionaria in nome di una serena criptocrazia (ovvero "i patrioti", secondo la formula presidenziale).· L'eredità di Francesco Cossiga Cossiga non è ovviamente un golpista. È troppo scoperto, sprovveduto e autocentrico. Non ha un vero e proprio progetto. Né sembra in grado di tesserlo. È soltanto un confuso agitatore. Gli esiti immediati del cossighismo non sono perciò probabilmente molto allarmanti. Verosimilmente, la Dc di Andreotti, che · tanta parte ha avuto, con le rivelazioni su Gladio, a scatenare la follia presidenziale, riuscirà alla fine a contenere la scheggia impazzita, anche grazie alla scelta dell' impeachment compiuta dalle opposizioni di sinistra. E alla fine la parola tornerà, come sempre, ai Pomicino, ai Gava, ai De Mita, ai Forlani. I più forti restano loro, non c'è il minimo dubbio. Ma non è detto che il biennio cossighiano non siain grado di generare qualche effetto nel lungo periodo. Esso ha insinuato per la prima volta in Italia il germe del populismo reazionario; ha mostrato che si può ipotizzare un'alternativa al regime in nome del medesimo regime; che la classe dirigente può rintuzzare le contestazioni che provengono dalla società civile, mettendosi essa stessa a capo dell'opposizione di se stessa. Il suo (supposto) successo di popolo convincerà gli altri a imbarcarsi su questa strada (per esempio il Psi di Craxi, che a queste convinzioni era già arrivato per conto suo, senza tuttavia osare tanto), soprattutto nei momenti - che non saranno rari - di acuta crisi del sistema politico. Uno di questi è ormai alle porte. C'è per esempio .qualche possibilità che con le prossime elezioni politiche i quattro partiti di governo perdano la maggioranza in tutto il Centro~Nord e conseguano un ampio consenso nelle regioni del Sud. In tal caso; potrà reggersi un governo legittimato da solo metà del paese? Non verrà in mente a qualcuno l'idea di uscire dalla strettoia riprendendo la sostanza della via indicata dal presidente? Lo scenario futuro potrebbe quindi proporci un'alternati va tra due forze di regime, l'una continuista, mediatrice e minimizzatrice, e l'altra populista, picconatrice e sfascista, con una sinistra che rischierà di cadere nelle braccia della seconda quando cercherà di sollecitare l'opposizione popolare e nelle braccia della prima quando si proporrà di difendere un minimo di convivenza civile: Può darsi che questa previsione sia solo un incubo. Ma è bene tenere presente che, se la follia presidenziale di Francesco Cossiga a un certo punto, come ci auguriamo, svanirà nel nulla, l'eredità che ci lascia pùò essere molto preoccupante. Il 11 lider maximo'' e i suoi sudditi Riflessioni su Cuba Joaquin Sokolowicz Non c'è da compiacersi, per carità, di un assetto mondiale in cui una superpotenza -1' unica rimasta - è in grado di imporre arbitrariamente la sua volontà a un paese piccolo. Né del fatto che questo possa essere strozzato dal gigante se non si piega alle imposizioni. Certo, ogni paese dev'essere libero di scegliersi il sistema so<:_iale di governo che vuole. Chi è, però, che deve scegliere? E ·forse giusto che colui che è in alto decida come devono vivere quelli che stanno in basso? Vecchi interrogativi, questi, riproposti oggi dalla drammatica situazione economica in cui è costretto a vivere un popolo nel nome della parola d'ordine "Socialismo o muerte". È veramente disposto questo popolo al sacrificio supremo? E se non fosse d'accordo, ha la possibilità di opporsi? È ingiusto senza dubbio, un ordine mondiale in cui il superpotente pretende di imporre ai deboli il proprio sistema economico, basato sullo sfruttamento, su mille forme di corruzione e su privilegi predeterminati. C'è da chiedersi, però, se si sia dimostrata efficace l'alternativa cubana: dopo 33 anni, finita l'era in cui l'Unione Sovietica fo1;1iva petrolio ametà prezzo e comprava zucchero al doppio, è il disastro. E non è vero che la colpa sia del 6 blocco economico applicato dagli Stati Uniti, perché ('Avana ha goduto permanentemente di rapporti di collaborazione economica con numerosi paesi, a cominciare da queJIi dell'Europa occidentale. Le cose non hanno funzionato, insomma, ma il capo non desiste. E il suo encomiabile attaccamento ai principi della Revoluci6n, contro il tradimento dei "revisionisti" di Mosca (come se Gorbàciov avesse scelto i cambiamenti per diletto e non per lo stato catastrofico dell'economia sovietica)·, rappresenta una minaccia di tragiche conseguenze per il popolo, al quale viene detto che deve resistere a tutti i costi. Come suggerisce quanto scritto giustamente da Saverio Tutino, bisogna domandarsi perché Castro non si faccia da parte per evitare un possibile bagno di sangue ai cubani. O forse, per salvare il salvabile del sistema socialista, socialismo e dittatura d_iCastro sono inseparabili? Senza di lui non c'è la costruzione dell'uomo nuovo? Sé è così, c'è un controsenso nei suoi discorsi in difesa della volontà del popolo. La storia insegna a chi _vuoleimparare. Siamo ancora al lider maximo, come se non sapessimo cosa c'è allà base-e come va a finire invariabilmente F delle esaltazioni del "piccolo padre", del "grande timoniere", òel "duce", del "primer trabajador", del
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