STORIE/ONOFRI scansia piena. Mamma doveva farne due al giorno, una al cortisone e un'altra al glucosio. Ovunque ti voltavi trovavi boccette di fleboclisi: usate, pronte per l'uso, e altre di riserva, ancora chiuse negli scatoloni. Ce n'erano sul comodino, e anche il comò era stato liberato da tutti i miei inutili profumi e gioielli per adibirlo a deposito delle preziose bottigliette. E ancora fleboclisi stavano sotto il letto, e persino in bagno, ancora fleboclisi. Ogni rifornimento che ordinavo in farmacia doveva bastare a occhio e croce per due mesi. Mamma aveva tutto il giorno occupato da questa cura intensiva. Però la sera, "quando era ora di mangiare, allora la liberavo e la portavo vicino a me, al tavolo della sala da pranzo. Ogni tanto la chiamavo, sorridendole: "Sora Ro' !". Lei alzava lo sguardo, e mi guardava silenziosa. Gli occhi le brillavano. Spesso scivolava dalla posizione in cui l'avevo sistemata sulla sedia, e la sorprendevo, poverina, in una posizione scomoda, inclinata. Allora la risistemavo e mi sedevo di nuovo. Girava faticosamente la forchetta nel piatto, muovendo lentamente le dita anchilosate, e poi portava la parte alla bocca, proteggendola con l'altra mano tremolante, per evitare che in quel tragitto qualche goccia di sugo andasse a macchiare la tovaglia. Ma spesso questa cautela non era sufficiente, perché le sue mani Fot.' di Eligio Pooni (Controsto). 72 incerte non reggevano nemmeno quel minimo peso da trasportare, e il cibo rovinava sul coperto appena lavato. Allora lei restava a fissare quel mucchietto di spaghetti rossi sulla tovaglia bianca, e un dolore silenzioso le immobilizzava lo sguardo. Oppure accadeva che, se il boccone era troppo grande, non ce la facesse a masticarlo. Così un po' di quella polpa schifosa, mezza masticata, le colava giù dal mento e finiva per impiastricciarle la camicetta. Io certe volte ero lì lì per rimproverarla della sua cedevolezza, ina poi mi bloccava sempre la disperata vergogna che leggevo nei suoi occhi. Una sera stavo finendo il mio pasto, quando sentii un rumore davanti a me. Alzai gli occhi e vidi che mia madre era scivolata dalla posizione retta in cui l'avevo sistemata ed era andata a posarsi sul tavolinetto di fianco, facendo cadere il lume di porcellana che un tempo era stato il suo orgoglio. "Guarda cosa hai fatto!", le urlai. "Guarda come lo hai ridotto! Non si può più aggiustare!". Non accettavo la sua passività. Mi ero proposta di estirparla a tutti i costi. La risistemai sulla sedia, per raccogliere i pezzi dal pavimento. Ma mentre ero chinata a recuperare i cocci sparsi qua e là per la stanza, sentii alla mia destra un altro tonfo. Mamma era caduta dall'altra parte. Alla fine presi i cuscinoni del divano e glieli misi ai lati, uno di qua e uno di là.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==