LA MADRE Sandro Onofri Tutto è cominciato dieci anni fa, quando miò padre è morto. Mia madre non ha mai superato il colpo, e col tempo sono affiorati tanti di quei disturbi, fisici e psicologici, che, pur mantenendo la mente sempre lucida, nel giro di pochi mesi si è ridotta a vivere, povera donna, su una poltrona, immobile. Il fatto più grave è che qµesto blocco dell'articolazione ha coinvolto anche la parola. Mamma, piano piano, ha perso la capacità di esprimersi. È un pezzo ormai che non posso più contare su un suo parere, o ragionare con lei come ero abituata a fare fin da quando ero bambina. Sa comunicare solo gioia, o dolore. In modo estremamente semplice, oltretutto: l'impassibilità dello sguardo è il dolore, la gioia un lucente brillare d'occhi. E devo ammettere che, man mano che i giorni passano, il suo viso si impronta sempre più a una dura, incomprensibile rigidità. Io in un primo momento mi accontentavo. Accettavo ogni cosa, mi sarei adeguata anche a un ulteriore impoverimento della nostra comunicazjone. L'importante era che almeno la sera, a · tavola, mia madre in qualche modo· fosse lì, insieme a me. Io non sono sposata, o meglio non lo sono più da un bel po' d'anni. La mia vita sentimentale ha avuto una durata molto breve. Mio marito arrivò in una primavera più fredda delle altre, col treno delle otto, a prendere il posto di medico nel mio paese, uno dei più poveri della Ciociaria, che proprio mio padre, andatò in pensione l'anno prima, aveva lasciato libero. Non conoscevo, allora, i motivi che l'avevano spinto fra quelle colline arse, lui che era cresciuto fra gli agi di una ricca famiglia del nord Italia. Néme ne parlò mai apertamente. Solo allusioni, molti anni dopo, sue e di qualche amico. Fu un amore finito male, credo, a far scattare nel suo animo orgoglioso la smania di sparire_e lasciare tutti senza dare più notizie di sé. Una specie di puniz.ione inflitta al mondo eh.egli aveva dato quel dolore. Tutti i giorni erano uguali nel mio paese. Il sole sorgeva dietro al campanile della chiesa, illuminando le tazze di caffè nei casolari dei contadini già svegli, e andava a sbiadire di_etrola piazza, soffiando i suoi ultimi raggi sulle partite di briscola fuori al bar, se si era d'estate, o dietro la vetrina appannata e fumosa n~lle sere d'inverno. Le case odoravano di latte caldo, allora, e i bar, che vendevano di tutto, avevano il profumo del detersivo Tide che riempiva gli scaffali cjietro al bane:o, di fianco al distributore del vino. Lì, fra quelle montagne silènziose, Sergio portò a termine il suo tirocinio. Lupo solitario, per molto tempo non lo si vide in paese che nelle sere d'inverno, quando làsciava la casetta che si era trovàto in affitto, e usciva quasi sempre a'tarda notte, pòco prima della chiusura del bar. Un giacchettone di pelle spesso abbottonato male, con i bottoni sempre più ciondolanti, il viso scavato da un furore misterioso, e gli occhi che sembravano perdersi nelle orbite, spinti giù in fondo, e rossi come tizzoni. Fra tutte le ragazze del paese scelse me. Non riesco a esprimere la gioia, e la meraviglia, che si impadronirono di me quando quel giovane medico, che veniva di tanto in tanto a casa mia a chiedere qualche consiglio professionale a mio padre, mi confessò di essersi innamorato di me. Mi sembrava impossibile che una ,persona così raffinata come lui potesse amare una ragazza di paese come me. Sono alta, e robusta, con le guance indurite dal sole ventoso che soffia dalle mie parti, e gli occhi neri enormi. Ma forse quella carripagna selvatica, sempre accesa e infuocata d'estate e sempre così gelidamente spietata negli inverni, rendeva allora per contrasto meno evidenti le rozzezze del mio fisico. Fu amore vero, il nostro. Breve ma vero. Ci fidanzammo e, appena anch'io ebbi preso la mia laurea, ci sposammo. Nel giro di due anni Sergio ottenne il trasferimento e venimmo a Roma, dove io, grazie alle conoscenze di mio padre e di mio marito, aprii una farmacia nel quartiere di Monteverde. Sembrava tutto così semplice! Sergio aveva imparato a sorridere;era calmo finalmente, e io mi illudevo.di essere diventata per la sua anima una specie di madre saggia, che stava attenta a tenerlo lontano dai pericoli, gli toglieva le spine dal piatto, e sceglieva per lui le strade meno irte e tortuose. Ma non era mio figlio, era mio marito, e poco dopo la nostra sistemazione a Roma comi·nciò la metamorfosi. Fu colpa di questo mio corpo tozzo e duro. Io cercavo di ingentilirlo con creme, massaggi, ginnastiche. Ma non c'era niente da fare. ij,ra come se l'aridità e la durezza ereditati dalla mia terra, che per anni ' avevo mascherato dietro i tratti più morbidi della gioventù, ora che arrivavo alle soglie della maturità esplodessero all'improvviso, trasudando irrefrenabili da ogni poro della pelle. Mio marito ritrovava nelle mie mani ossute e callose la durezza dei silenzi che lo avevano ossessionato nei mesi del suo esilio, e nella mia robustezza, che lui tanto aveva amato, il tratto incolto di quel paese. Come il Grillo parlante, il mio corpo stava lì, a raccontargli un passato anonimo, di insignificante sacrificio, che voleva dimenticare. · Roma rappresentò la mia mezzanotte da Cenerentola. Al terzo inverno caricai tutta la mia roba in due grandi valige e tornai qui, dove la musica era sempre la stessa, ma almeno era musica che conoscevo. E adesso che è arrivata per me anche l'età della pensione, non mi resta che dedicarmi a questa casa che ha l'età del nonno di mio nonno, e ai malanni di mia madre. È tutto quello che ho. Quando mamma cominciò ad aggra_varsi, tramite il mio ex marito, con cui' ho sempre mantenuto un rapporto di cordialità e lealtà, presi contatto con i migliori medici della capitale. Mi dissero tutti la stessa cosa: esaurimento totale, svuotamento psico-fisico e neurologico. Non mi arresi. Come puèi,una figlia,. accettare così supinamente la fine di sua madre? Riempii casa di medicine. Andavo a comprarle nella farmacie più fomite. Grazie . a un amico di famiglia, ero perfino riuscita a fare arrivare dalla Svizzera certi ritrovati più efficaci di quelli che è possibile reperire normalmente. Così il 'ripostiglio di fianco alla cucina divenne il magazzino dei farmaci. Scatole di Carnitene, un ricostituente formidabile, una riserva di Lanoxin per il cuore e di Voltaren per i dolori alle ossa ... e poi fleboclisi, tante boccette di fleboclisi. Ce n'era una 71
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