Linea d'ombra - anno X - n. 67 - gennaio 1992

questo avvenne proprio perché i partiti erano riusciti, fin dall 'inizio, ad accordarsi su un personaggio defilato, prevenendo così gli estenuanti aggiustamenti che avevano contrassegnato tutte le precedenti elezioni (e infatti per cinque anni Cossiga si attenne scrupolosamente alla parte assegnata). È così avvenuto che politici democristiani abituati a operare sotto la protezione del partito, della corrente o del clan in una posizione di potere senza responsabilità individuale, siano stati sbalzati ali' improvviso in una condizione diametralmente opposta di solitudine, di grande visibilità individuale e di responsabilità senza potere. Uomini di più forte fibra avrebbero forse retto l'urto. Ma i no tri presidenti hanno cominciato tutti, chi ,più e chi meno, a vacillare e a manifestare la sindrome del rt:!degli scacchi: del re che non può muoversi se non con piccoli passi, che invidia le scon-ibande concesse alla regina, ma che resta pur sempre re. È stato così quasi inevitabile che !'"uomo solo" fosse tentato di scindere le proprie responsabilità dalla rissosa comunità politica dalla quale proveniva e di stabilire un filo diretto con quelle che egli percepiva come le esigenze del paese. Più_sembrava allargarsi il fossato tra la "gente" e il "palazzo", più il presidente era sospinto a dimettere gli abiti del!' arbitro per assumere quelli dell 'antagonista, usando a suo vantaggio la straordinaria combinazione di responsabilità (morale) e di irresponsabilità (politica), che i costituenti - senza avvedersi del pericolo - gli avevano attribuito. Come il matto che crede di essere Napoleone, così il capo dello stato ha cominciato a credere di essere a capo dello stato. Si dice che Cossiga ha di fatto introdotto una repubblica presidenziale in Italia. Niente di più falso. Si vede a occhio nudo che in Cossiga non c'è nulla dello sfile e della responsabilità di un Bush o di un Mitterra11d. Egli è semplicemente un presidente di repubblica parlamentare deviato, che ha portato alle estreme conseguenze l'irresponsabilità propria di una classe politica garantita da quarant'anni di impunità, approfittando degli inusitati margini di manovra offerti dalla sua speciale posizione istituzionale, insieme centrale ed eccentrica. Il tentativo dei socialisti di rafforzare l'opinione presidenzialistica sulla scorta dell'esempio cossighiano si è rivelato per lo meno improvvido. Dal caso in questione si potrebbe piuttosto ricavare qualche argomento a favore di una repubblica a-presidenziale. Se occorre un grande Maggiordomo di Stato, in grado di accreditare ambasciatori e inaugurare autostrade, si potrebbe provvedere in modo meno costoso. Se occorre un supremo arbitro bisognerebbe fare attenzione che egli non debba a sua volta essere arbitrato (e da chi poi? il dramma della situazione attuale è che non c'è nessuno che possa arbitrare l'arbitro). I sassolini di Cenerentola La svolta di'Francesco Cossiga si è manifestata prima di tutto sul piano linguistico. Ha abbandonato il linguaggio della politica e si è messo a parlare il linguaggio quotidiano (e quotidianamente). Anche Pertini aveva fatto qualcosa di simile. Ma mentre in lui prevaleva l'indignazione, in Cossiga prevale lo sfogo. La sua è una demagogia più elementare e terra terra. Non si basa sull'ap-. pello a grandi valori, con quel tono vagamente ottocentesco che contrassegnava la prosa di Pertini, ma piuttosto sul risentimento personale. Non declama, ma sciorina a ruota libera la rivalsa dell'uomo qualunque. Spesso si libera del suo stile colloquiale, per fare puntigliosamente appello alle sue prerogative costituzionali. E il suo linguaggio si fa improvvisamente imperioso e formale. Parla insomma come uno di noi, ma non smette di ricordarci che il re è lui. E che pretende obbedienza dai cortigiani riottosi (specie se magistrati). Pare che tutto questo piaccia alla gen_te.Non so dire se questo IL CONTESTO è vero (conosco poca gente), ma credo che il successo popolare di Francesco Cossiga - se esiste - non derivi tanto dall'apprezzamento politico,, per la sua capacità di denunciare i difetti del sistema, né dal la riconoscenza dovuta a chi si è messo dalla nostra parte. Gli istinti che Francesco Cossiga suscita nella "gente" sono probabilmente molto più elementari e pre-politici. Chi non si identificherebbe in questo sogno: essere per un giorno al vertice del paese e poter strigliare a dovere tutte le persone che gli sono antipatiche, riservandogli epiteti che non oserebbe usare al bar o in ufficio (dove non la farebbe franca)? Chi non sognerebbe come Cenerentola di partecipare al gran ballo, perdere la scarpetta, togliere i sassolini dalla medesima e tirarli, magari con la fionda, contro 'principi e arciduchi, sapendo che a mezzanotte la carrozza si trasformerà in zucca e nessuno sarà più in grad9 di rintracciarla? Il populismo di Cossiga non offre riscatto, ma un'eccitante rivalsa con il brivido dell'irresponsabilità. Le istituzioni come capro espiatorio Se la forma assunta dalla follia presidenziale contiene elementi inquietariti, la sua sostanza non è certo da meno. Essa esprime in modo emblematico, benché estremo, alcuni umori diffusi in una classe politica sgomentata dalla sua stessa crisi. C'è aria di naufragio nel palazzo. Diminuiscono i voti, aumentano le risse.· Qualsiasi questione grave, importante o drammatica (si tratti delle riforme istituzionali, del debito pubblico o della lotta - alla mafia) viene immediatamente ritradotta nel linguaggio delle faide di partito e triturata verso un destino inconcludente. Ecco allora l'idea: perché la cittadella assediata non dovrebbe porsi alla guida dell'assedio contro se stessa? autocircondarsi ed autoespugnarsi? A sostenere questa prospettiva viene in soccorso l'ideologia dello sfascio. Si tratta di un'ideologia che in Italia ha radici antiche: si è nutrita delle denunce legittime, anche se approssimative, dell'opposizione e dello scandalismo di una ·stampa pronta a menare fendenti terribili quanto poco mirati. E si è rivelata congeniale anche a una parte degli uomini di potere. Essa infatti gli ha consentito di proiettare la loro crisi-quella del sistema politico - sull'intera società italiana e le sue istituzioni e di coinvolgere tutti in un abbraccio mortale. In quale altro paese, paragonabile ali 'Italia per tradizioni culturali e sviluppo economico, potremmo immaginare una classe dirigente che analizza le prospettive future discettando di "sfascio" e di "piccone"? È questo un tentativo estremo ed estremamente pericoloso di salvare il potere sostanziale attraverso la delegittimazione del potere formale. Nei momenti di crisi e di trapasso una delle funzioni istituzionali del potere è quella di fungere da capro espiatorio; tale funzione è tanto più probabile quanto più il potere è personale, isolato ed esposto, come appunto quello del presidente. Ecco allora che per sottrarsi a questo destino, il potere (sostanziale) deve dirottare l'attenzione del pubblico sulle forme istituzionali su cui sta seduto, sperando di potersi rilegittimare come deligittimatore delle sue stesse basi formali. Il tema delle riforme istituzionali, così come è stato avviato e portato avanti, ha sempre avuto anche una funzione di alibi per la classe politica: quella di mettere sotto accusa un assetto impersonale-le regole - per mostrare la propria volontà riformatrice e, nello stesso tempo, continuare tranquillamente lo stesso gioco al riparo delle vecchie regole, dal momento che era evidente che non esistevano le condizioni per modificarle. Ma come c'era da aspettarsi, il gioco ha finito per prendere la mano ai giocatori. Non sono state fatte le riforme istituzionali, ma è stata erosa dall'interno la legittimità del patto costituzionale con la conseguenza di precipitare i giocatori in uno stato di arbitrio in cui tutti i colpi sono ammessi. 5

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