IL CONTESTO Follia, populismo e reazione in Francese-o Cossiga Luigi Robbio Ogni notte la passi ascoltandoil tam-tamsotterraneoe tentando inutilmentedi decifrare i suoimessaggi.(...) Fai bene ad ascoltare, a nonallentareneancheper un attimo la tua attenzione;ma convincitidi questo: è te stessoche stai sentendo, è dentrodi te che i fantasmi prendonovoce. (ItaloCalvino, Un re in ascolto) L'archetipo del "re folle" è ben radicato nel nostro immaginario collettivo. La letteratura ci ha tramandato storie di imperatori che nominavano senatore il proprio cavallo o che intonavano canti innanzi ai bagliori dell'incendio da essi appiccato; di sovrani devastati dai sensi di colpa o rosi dalla vendetta; di re in ascolto nel chiuso dei loro palazzi. Abbiamo sempre saputo che nel potere può annidarsi la follia . .Eppure il caso di Francesco Cossiga ci ha sorpreso. Assomiglia, per alcuni versi, a quegli archetipi: per esempio nella denuncia ossessiva di complotti contro la sua persona, nella smania di ritorsioni, nel vittimismo, nell'aggressività verbale, nell'appello maniacale alle sue prerogative formali, nell'uso di formule imperiose (ormai fuori moda) del tipo "ordino e dispongo", nell'occupazione straripante degli spazi della comunicazione pubblica o nel circondarsi di uomini fidi (meglio se appartenenti alle forze armate). Ma se ne discosta in un punto fondamentale: qui la follia non è generata da un potere smisurato e disumano, ma da un potere limitato. Non nasce dalle vertigini del comando assoluto, ma dal seno di un ordinamento liberal-democratico che ha provveduto da secoli a dividere i poteri e sottoporli alla legge. È una follia politica e istituzionale (degli aspetti psicologici nulla sappiamo) come quella dei grandi sovrani d'ùn tempo, nel senso che appare strettamente connessa alla posizione ricoperta, ma paradossalmente scaturisce da una carica legalmente definita e a portata d'uomo, che parrebbe poco adatta a scatenare i demoni del potere . (da qui forse derivano certi connotati della follia presidenziale, come per esempio quella bonarietà ciarliera, che raramente si riscontra nei cupi modelli del passato). Come si concilia la follia del sovrano con una democrazia senza sovrani? Proviamo a sciogliere questo paradosso: potremo scoprire, attraverso un caso estremo, alcuni caratteri tipici della classe media politica italiana e del suo modo di rappresentarsi la realtà. La sindrome da re degli scacchi A ben guardare l'attuale follia presidenziale non è senza precedenti. Si potrebbe anzi dire che in Italia esiste una follia presidenziale ricorrente, di cui il caso in questione non rappresen- .ta che l'esito estremo. Tutti i presidenti della repubblica, specie se democristiani, ne hanno un po' sofferto, coltivando qualche sogno di onnipotenza al di là dei confini che gli sarebbero spettati. Gronchi volle imporre un governo di polizia bocciato dal parlamento. Segni si lasciò attrarre dal disegno golpistà del generale De Lorenzo. Leone si accontentò di dirottare il proprio potere verso piccoli privilegi. E anche Pertini, benché fosse di un'altra stoffa, non fu insensibile alle lusinghe del "potere senza potere". Insomma ci deve essere qualche morbo annidato nelle stanze del Quirinale. 4 Più esattamente i morbi sono due: l'indefinitezza della posizione istituzionale del presidente e i criteri di selezione concretamente adottati per la scelta del medesimo (specie se democristiano). La combinazione dei due aspetti ha generato una miscela esplosiva, di cui oggi vediamo tutti gli effetti dirompenti. Nel disegnare la figura del presidente della repubblica i costituenti non ebbero molta fantasia. Presero le prerogative tradizionali del re e le affidarono a una persona eletta ogni sette anni dal parlamento. L'idea era quella di farne un arbitro super partes e un rappresentante dell'unità nazionale, ma il modo di descrivere quel ruolo'fu ambiguo e contradditdrio. Con una mano gli si attribuirono imponenti poteri formali (si scrisse addirittura - nel solco della tradizione monarchica - che il presidente "ha il comando delle Forze Armate", frase a cui Francesco Cossiga pare morbosamente attaccato) e con l'altra glieli si negarono decretando l'irresponsabilità del presidente e sottoponendo tutti i suoi atti alla controfirma ministeriale. Ciò fece tra l'altro la gioia dei costituzionalisti che ebbero modo di riempire interi scaffali con sottili disquisizioni su ciò che il presidente poteva o non poteva fare (non è quindi strano che ora se la prendano con Cossiga che mostra di tenere in così poco conto i loro insegnamenti). Questa situazione di responsabilità irresponsabile era potenzialmente foriera di tempesta, ma nulla di grave sarebbe successo se non fossero subentrati gli specifici criteri adottati dal sistema politico per la scelta del presidente. Se si eccettua il caso di Luigi Einaudi, i presidenti non furono scelti per le loro qualità, ma al contrario proprio per la loro vistosa assenza di qualità. L'elezione (specie dei presidenti democristiani) non fu il risultato di una scelta intenzionale, ma piuttosto l'esito imprevisto di aggiustamenti successivi, prodotti dall'elisione di candidati forti. La Dc non è mai riuscita a imporre il suo candidato ufficiale. La stessa candidatura di Pertini emerse malgrado il Psi. Il sistema politico italiano ha finito così per aprire la strada del Quirinale a politici di profilo non particolarmente alto, che parevano garantire non tanto la funzione di supremo arbitro, quanto quella di benevolo spettatore. L'unico candidato eletto intenzionalmente, al primo turno, fu Francesco Cossiga, ma Foto Team Editoriol Service/G. Neri.
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