Linea d'ombra - anno X - n. 67 - gennaio 1992

Disegno di Guido Pigni. neanche adesso, posso soltanto. dirvi che egli aveva imitato gli oggetti più comuni e i loro processi copiandoli in maniera così abile da rendersi invisibile in essi. Come dicono gli autori dei Veda, egli era il fuoco nella pietra focaia, la lama nel rasoio. Ricerche successive mi hanno mostrato che, in termini di esperienza culturale di gruppo, a questa onnipresente entità immanente è stato dato il nome Brahma. Citerò un frammento di una poesia americana, di Emerson, che esprime ciò che io provai: Fanno male i loro conti quelli che mi trascurano; quando mi fanno volare io sono l'ala. Sono il dubitante e il dubbio e l'inno sono che il bramino canta. Con questo intendo dire che durante quel breve periodo - questione di ore, forse di un giorno - non percepii nulla che non fosse il Programmatore. Tutte le cose del nostro pluriforme mondo erano suoi segmenti o sottosezioni. Alcune erano ferme, ma molte si muovevano e lo facevano come parti di ùn organismo vivente che respirava, cresceva, cambiava, evolveva verso uno stato finale che nella sua assoluta saggezza egli aveva scelto per sé. Voglio dire che lo percepii come auto-creantesi, non dipendente da nul.Jaal di fuori di sé semplicemente perché non c'era nulla al di fuori di lui. Nel vedere ciò capii davvero che per tutta la vita ero stato SAGGI/DICK letteralmente cieco; mi ricordo che ripetevo continuamente a mia moglie: "Ho recuperato la vista! Posso 'vedere di nuovo!" Mi sembrava che fino a quel momento, per quanto riguardava la natura della realtà intorno a me, non avessi fatto ~he tirare a indovinare. Capivo che non avevo acquisito una nuova facoltà o un nuovo senso, ma piuttosto ne avevo recuperato uno antico. Per un giorno circa vidi come un tempo tutti vedevamo, migliaia di anni fa. Ma come eravamo arrivati a perdere quella vista, quest'occhio superiore? La sua morfologia deve essere in noi ancora presente, non solo latente; altrimenti non avrei potuto recuperarla, neppure per breve tempo. Questo mi incuriosisce ancora. Come9fu che per quarantasei anni non vidi veramente ma solo indovinai la natura delle cose, e poi per breve tempo vidi, ma subito dopo persi quella vista e tornai semi-cieco? Il periodo di tempo in cui io vidi davvero fu, evidentemente, quello in cui il Riprogrammatore stava rilavorandomi. Si era fatto avanti, palpabilmente sensibile e vivo, come sceso al suolo; si era rivelato. Così si dice che il cristianesimo, l'ebraismo e l'islamismo sono religioni rivelate. Il nostro dio è il deus absconditus; il dio nascosto: Ma perché? Perché è necessario che noi ci inganniamo guardando la natura della nostra realtà? Perché si è mascherato in una pluralità di oggetti diversi e ha mascherato i suoi movimenti come una pluralità di processi di cambiamento? Tutti i cambiamenti, tutte le permutazioni della realtà che vediamo sono espressioni del crescere e del dispiegarsi intenzionale di questa unica entelechia; è una pianta, un fiore, una rosa che si apre. È un ronzante favo di api. È musica, una sorta di canto. Naturalmente io ho visto il Programmatore come è realmente, come si comporta realmente solo perché egli si è chinato su di me per darmi nuova forma, per cui dico "so perché l'ho visto", ma non posso dire "so perché non lo vedo adesso, né perché nessun altro lo vede". Forse dimoriamo collettivamente in una specie di Òlogramma al laser, creature reali in un quasi-mondo \irtificiale, un palcoscenico all'interno dei cui artefatti e delle cui creature si muove una mente destinata a rimanere sconosciuta? Un articolo di giornale su questo discorso potrebbe essere tranquillamente intitolato: Scrittore dichiara di aver visto Dio, ma non è in grado di descrivere ciò che ha visto. Se considero i termini per mezzo dei quali l'ho definito - Programmatore e Riprogrammatore - forse posso estrarne una parziale risposta. Lo chiamo così perché questo è ciò che gli ho visto fare: egli aveva già programmato le nostre vite sulla Terra, ma adesso stava alterando uno dei fattori fondamentali-e questo allo scopo di completare una struttura, un piano. Ragiono seguendo questo filo: uno scienziato che lavora su un computer non altera i risultati dei suoi calcoli, né li influenza o li pregiudica permettendosi di entrare in quei calcoli egli stesso. Un etnologo non si permette di inficiare le proprie scoperte partecipando alla cultura che studia. Questo significa che in certi tipi di situazioni è essenziale che l'osservatore resti estraneo a ciò che osserva. Non c'è niente di male in questo, nessuna sconfitta. È semplicemente necessario. Se davvero noi siamo, collettivamente, spinti lungo sentieri prestabiliti verso un esito presta bi lito, l'entità che ci spinge lungo queste linee, l'entità che non solo desidera quel particolare esito, ma vuole quell'esito, non deve entrarvi esplicitamente o il risultato ne sarà compromesso. Ciò a cui dobbiamo quindi rivolgere la nostra attenzione non è il Programmatore - sono gli 49

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