Linea d'ombra - anno X - n. 67 - gennaio 1992

CONFRONTI bellissima e poco greeniàna, e la seconda, molto greeniana ma più scontata) e sul suo amato Italo Calvino: "il motivo per cui Calvino è scrittore così indispensabile è proprio perché ci dice, allegramente, con cattiveria, che vi sono cose al mondo che vale la pena di amare e allo stesso tempo di odiare". E poi ci sono quelli sui nuovi protagonisti, dove soprattutto colpisce la maestria con cui, spesso attraverso una sola frase, Rushdie sa offrir!:!a proposito dei suoi autori un giudizio che forse in qualche caso possiamo non condividere del tutto, ma che sempre dobbiamo riconoscere come straordinariamente penetrante. C'è la stroncatura del Pendolo di Foucault di Eco: "non è un romanzo. È un gioco per computer". Ec'èl'apologiadi In custodia di Anita Desaì: "la bellezza di In custodia è il fatto che quella che appare una storia di tragedie inevitabili ... si rivela come la storia del trionfo u ogni tragedia". E il· giudizio calibrato sui racconti diNadine Gordimer raccolti in Qualcosa làfuori: un libro non privo di qualche caduta, ma che offre un ritratto della realtà in cui il lettore può identificare all'istante "la verità priva di fronzoli". Rushdie è lontano anni luce dai recensori nostrani: non è in vendita e ha il coraggio delle. proprie opinioni, sia nel giudizio negativo che nell'encomio. Su lshiguro: "il raro merito di Quel che resta del giorno sta nel porre Grandi Domande ... con delicatezza e humour tali che non oscurano la solidità che sta dietro a tali domande". Su Tra i credenti di Naipaul: un libro che "malgrado la vivacità di osservazione e di ritratto (resta) alquanto superficiale". Sull'ultimo Pynchon: "è qui, a Vineland, che uno dei maggiori scrittori americani è tornato trionfalmente a casa, dopo un lungo viaggio sulle sue strade che non stanno su alcuna mappa". Su Una storia del mondo in 1Ocapitoli e 1/2 di Julian Barnes: "i vari pezzi ... non si compenetrano come· dovrebbero e sebbene possiedano abbondantemente quell'alta qualità letteraria che è.la leggerezza non riescono a raggiungere il peso desiderato". Sulla Grace Paley di Più tardi nel pomeriggio (''una voce determinata come non mai a chiamare le cose con il loro nome':) e su Kurt Vonnegut: "l'unico scrittore importante e originale al mondo la cui · opera possa essere riassunta nella breve frase, è così che vanno le cose". E infiqe su Carver: . "leggete tutto quello che ha scritto Raymond Carver. È difficik accettarne la morte, ma perlomeno è vissuto". Un secondo nucleo di grande interesse è dato dal suo intervento su un dibattito per il momento ·ancora poco presente nella nostra cultura, ma di rilievo primario in quella anglosassone: quello sulla cosiddetta "letteratura del Commonwealth", cioè sulla letteratura in lingua inglese dei paesi che fecero parte dell'Impero Britannico. Tale letteratura non esiste, spiega Rushdie sin dal titolo del suo saggio del 1983. Ed ora, infatti, nei convegni internazionali, non si parla più di letteratura del Commonwealth, bensì di "nuove letterature in lingua inglese"; e molti vorrebbero eliminare l'aggettivo "nuove". Rushdie già lo sapeva: "per quanto concerne la letteratura inglese, ritengo che -se tutte le letterature inglesi potessero venir studiate insieme, emergerebbe una forma in grado di riflettere effettivamente la nuova dimensione della lingua del mondo''. Rushdie ha chiarissimo il ruolo di lingua franca, di esperanto sognato dall'internazionalismo ottocentesco e divenuto realtà attraverso l'azione congiunta di Impero Britannico e egemonia Usa che la lingua inglese ha assunto. Lo dice in questo lucidissimo saggio e lo ripete in quello ·sugli scrittori indiani e della diaspora indiana, Patrie immaginarie, in cui spiega come quegli scrittori abbiano saputo far propria la lingua degli antichi colonizzatori. Gli antichi colonizzati rivendicano la loro libertà attraverso la lingua che fu dell'oppressione. C'è infine un terzo punto, affrontato nei saggi che chiudono il libro, che non può non suscitare il nostro sgomento e il nostro ribrezzo nei confronti della bestialità dei fondamentalismi, siano essi cristiani o musulmani. Sono testi già noti. In buona fede, l'autodifesa di Rushdie apparsa sull"'Independent on. Sunday" del 4 febbraio 1990,_un anno dopo la condanna a morte di Kh0meini: Non c'è più niente di sacro, • di cui "Linea d'ombra" pubblicò una sintesi, che, sempre con in mente la condanna, spiegava il valore liberatorio della ietteratura. E infine Perché ho abbracciato l'Islam, una dichiarazione di circa un anno fa in cui Rushdie proclamava ·il suo "ritorno" alla fede musulmana. Molte anime belle si indignarono. Dalle poltrone Frau in cui affondavano i loro deretani si levarono i risolini supponenti degli intellettuali più rigorosi, magari degli stessi che avevano condannato/ versetti satanici perché "non si può offendere impunentèmente le divinità e la religione". Nella Scena XIII del Galileo di Brecht risuonano queste parole: "Io Galileo Galilei pubblicamente abiuro la mia dottrina che la terra non è il centro del mondo e che · muove. Con cuor sincero efede non finta abiuro, maledico e detesto i suddetti errori · eresie e qualunque altro errore e eresia contraria alla Santa Chiesa". Rushdie si limita a dire che ormai è in grado di definirsi musulmano: "è per me motivo di felicità poter dire di trovarmi ali' interno, e partecipe, di una comunità i cui valori sono sempre stati vicinissimi al mio cuore". Il Galileo di Brecht abiura per motivi tattici, per salvarsi la vita è per continuare la sua missione scientifica. Non possiamo leggere nel cuore di ·Rushdie. Non sappiamo se la sua conversione è un espediente oppure una conversione vera. Ma anche in quest'ultimo caso ancor maggiÒre deve essere la nostra solidarietà verso di lui e il nostro disprezzo per coloro che l'hanno condannato a morte. Rushdie, come Galileo nelle mani dell'Inquisizione, non è un uomo libero. È un uomo braccato, costretto all'isolamento e alla clandestinità, privato del1'affetto del figlio e degli amici, sottopoSto alla pressione più disumana. Così disumana da indurre una delle menti più libere e più lucide del nostro tempo ad "abbracciare" una fede religiosa nel cui nome opera il suo carnefice. La dichiarazione di Rushdie deve indurci a rispettarlo ancor più di prima. E ancor più di prima deve farci condannare la mostruosità di chi lo ha condannato, di chi ha voluto sopprimere, come scrisse Natalia Ginzburg, l'innocenza del l'immaginazione. LA PRIMA AGENZIA SUIPROBLEMI DELL'EMARGINAZIONE DELLPAACEDELL'AMBIENTE Aspe, agenzia di stampa quindicinale edita dal Gruppo Abele, è uno strumento per giornalisti e operatori sociali. NOTIZIE CHE PUNGONO • Inchieste, opinioni, fatti e commenti, documenti, esperienze, inserti, notizie bibliografiche, appuntamenti • Numeri «speciali» monografici I • 12 redazioni sul territorio nazionale • Banche dati in collegamento con cen-. tri di documentazione specializzati nelle tematiche trattate dall'agenzia • Aspeuropa, uno spazio specifico sulle politii:he sociali europee, dal 1991 • Osservatorio sulla riuova legge sulla droga 35

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