Linea d'ombra - anno X - n. 67 - gennaio 1992

raneo dipende da convenzioni realiste, più che semplicemente rimpiazzarle. La sua vivace e ben argomentata difesa del romanzo critico da sbrigative accuse di introversione decadente si lega a un solido esame tecnico-storico di quella che potremmo definire !'"autocoscienza'' del romanzo, autentica fonte di crescita dai tempi di Cervantes e Defoe, e tutt'oggi ispirazione per i più promettenti esperimenti formali narrativi. L'analisi della Splendore non ha certamente avuto vita facile - tanto è lo slittare di generi, la cacofonia di poetiche trasversali, l'ambiguità a volte esasperante di una lingua narrativa che oggi non trova oggetti che non siano la propria aridità di dispositivo tecnico già privilegiato; ma questo, paradossalmente, avvicina ancor più il lettore alla materia viva di un dibattito col narratore riacceso, anche se disincantato, che ciiratterizza il rapporto inpresa diretta con leperplessità di un ritorno al mestiere delle origini che rischia, e vive, grossi spostamenti di genere narrativo, ma, perfino, di genere sessuale: lo Scrittore per antonomasia "ritorna" come donna, mentre il suo canonizzato io si rivela nemico della Scrittura. È il caso della pietra miliare della storia del romanzo inglese, il Robinson di Defoe, riscritto da J.M. Coetzee (Foe, 1986), il cui Agente-Narratore è Susan. La donna dispera di insegnare al muto Priday il linguaggio, ma - con un bel tocco derrideano - l'uomo della, Scrittura - Poe (il vèro nome di Defoe) - le dice che ha torto a pensare alla lingua scritta come mero simbolo della parola e trova molto promettente il fatto che Priday, provvisto di carta e penna, tracci una serie infinita di "O". Ciò che è realmente in gioco fra Susan e Poe è il ruolo sessuale: se lei deve fungere, come da richiesta, da Musa di lui, e il desiderio deve essere incanalato correttamente nella creazione narrati va, a lei andrà la parte di maschio e di artefice, a lui quella di "amica" o "vecchia puttana" da usare per fini generativi! Susan riesce a infilarsi nel letto di Poe, rivendicando perfino lo "jus primae noctis" nei suoi riguardi, e con l'occasione - ci viene lasciato credere - viene concepito il Robinson Crusoe. Chiaro, come nota anche la Splendore, è il significato parodistico di questa riscrittura brillante e radicale- un esperimento che si situa a monte di tutta una grossa serie di simbiosi postmoderne in cui il testo delle origini viene non tanto sfigurato quanto, piuttosto, privato della funzione autoriale: e, paràdossalmente, per ricaricare di funzioni narratoriali chi fu soggetto alle sue mire repressive. In effetti, il narratore di cui parla laSplendore lo è in forza di una constatazione realistica della propria impotenza istituzionale: se ogni genere letterario è essenzialmente istituzione, o un contratto sociale fra uno scrittore e un pubblico specifico, la cui funzione è specificare l'uso appropriato di un oggetto culturale particolare, ne consegue che il modo saliente della riscrittura postmoderna, quello grosso modo comico, non può che garantire che il suo impiego avrà come unico referente un irraggiungibile mondo ideale: il fine resta insomma utopico, dato che non si potrà mai risolvere i problemi inerenti nel romanzo tramite il romanzo stesso. Tutti i tentativi di rivelare l'ideologia del romanzo tramite il romanzo hanno finora avuto essenzialmente una forma comica o parodicà: non c'è mai stato un 34 I CONFRONTI Kothy Acker. romanzo, per quanto mi consta, che affronti veramente in tono serio questo problema e presenti un narratore che si lasci essere una persona reale nel mondo reale. Eppure uno dei temi che più ci interessa, e che la Splendore tocca nelle pagine su Rushdie e John Berger, è il nuovo potenziale storico, o di ritorno alla Storia, che il narratore indica, pur nella consapevolezza che quella storia è un testo fra gli altri, le cui leggi sono quelle che regolano forse l'impossibile apprendimento del Priday senza lingua di Foe. Ma forse questa storia ha già in sé il dispositivo di autodisinnesco in termini di significato ultimo. Non è forse vero che l'ideologia del testo, sia quel che sia, è unò dei primi portati di un'assurda uniformazione di effetti estetici, etici, culturali e politici diversi a un'unica categoria, modernista o postmodernista che sia? È stato saggio da parte della Splendore evitare di usare Lepatrie immaginarie . di SaimanRushdie Paolo Bertinetti Patrie Immaginarie (Mondadori, pp. 473, L. 35.000, traduzione di Carola Di Carlo) raccoglie gli articoli e i saggi scritti da Saiman Rushdie negli anni Ottanta. Non è un libro da leggere tutto d'un fiato (anche se nulla lo vieta) ma da compulsare con curiosità e con gusto, saltando qua e là dalle recensioni librarie ai saggi politici seguendo il filo dei nostri interessi e delle nostre piccole e grandi passioni. Il libro è diviso per argomenti in dodici sezioni; ma mi pare che soprattutto tre siano i punti di riferimento con cui orientarci nelle quasi cinquecento pagine che ci conducono nelle immaginarie patrie del nostro villaggio globale. Innanzitutto ci sono gli scrittori, i romanzieri che Rushdie ci presenta, o di cui recensisce i libri, o con cui, come nel caso di Bruce Chatwin, si mette in viaggio e di cui "si innamora": Quello che sorprende è la sua capacità di intervenire, a caldo, sulle opere e sugli autori che qualche anno dopo tutti (o quasi) hanno imparato a riconoscere tra i protagonisti della culturnletteraria degli anni Ottanta. · Ci sono gli interventi su due vecchi maestri, in termini intransigenti il termine "postmoderno" per definire il suo vasto campo d'indagine. Se; infatti, è oggi più che mai necessario tracciare una conclusiva mappa critica di un epifenomeno culturale vasto e complesso come un territorio delle origini, è anche altrettanto urgente che ogni autoreferenzialità di esso venga ricollocata in un quadro storico extralinguistico ed extracontestuale. ~ più che mai cruciale che la narrativa si liberi di ironiche tentazioni e torni a sporcarsi col reale. Si pensi - tanto per aver chiaro il tratto che separa esperimenti narrati vi esposti a una frettolosa omogeneizzazione formulistica - al postmodernismo che divide, anziché accomunare, opere narrati ve come La donna del tenente francese di Powles, di cui la Splendore analizza bene il riverbero formalista nella funzione autoriale autoriflessiva, e, mettiamo, Cassandra di Christa Wolf. Quest'ultima è "postmodernista" nella presentazione autoriflessiva delle condizioni della propria produzione, nello scambio fra la voce di "autore" e fa voce del personaggio Cassandra; ma, lungi dall'adottare le posizioni consuete. della narrativa postmodernista (scetticismo sulla possibilità di distinguere fantasia e realtà, autoreferenzialità, pastiche intertestùale, etc.), avanza energicamente la tesi che i propri miti e fantasie non siano che segnali di come ritrovare la via al reale, in un continuo nutrimento di succhi di resistenza a qualsiasi estetizzazione del politico o viceversa. Anche questo libro della Splendore ipotizza un ritorno al reale e alla storia nella narrativa angloamericana cont.emporanea: e, nel suo spettro accuratamente graduato di metafinzioni, modi di opposizione al fascino . troppo dubbio - e ormai più che cooptato - di un antirealismo di schieramento. su Greene in occasione del suo ultimo romanzo, The Captain and the Enemy (di cui fa acutaniente notare la dicotomia tra. la prima parte, Solman Rushdie (foto di Jerry Bouer/G Ner)

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