Linea d'ombra - anno X - n. 67 - gennaio 1992

I CONFRONTI I -~-~ ~~~~b~N~O ~ ~im Disegno di Cork. vuoto ideale (ma questo non è un termine suo, e certo a molti apparirà un po' desueto) in cui avviene oggi l'esercizio della critica, a sottolineare la separazione della critica accademica da una critica militante che possa dirsi veramente tale (di più: l'assenza di ogni critica militante), e il settorializzarsi degli indirizzi di ricerca. Infine, ha deplorato la diserzione, in omaggio a più attuali mode, della storia intesa come paradigma di riferimento integrale della ricerca critica. Di quest'ultimo punto, già oggetto sia di approfonditi dibattiti che di studi non episodici, non è il caso di tentare una riformulazione in poche righe. La sua ineludibilità è confermata dai passaggi "di fronte" che riguardo a esso si registrano periodicamente nelle diverse "scuole" critiche, e per citare un solo (recente e'controverso) caso, dal fatto che l'ormai famoso C'è un testo in questa classe? di Stanley Fish ha potuto essere letto come l'ultima delle aberrazioni decostruzionistiche così come un invito a indagini più approfondite proprio di tipo storico: le sole che possono permetterci di confrontare le reazioni del lettore odierno con le originali intenzioni dell'autore. Anche del moltiplicarsi dei settori di ricerca, e del rischio di dispersione in mille rivoli di forze che potrebbero o dovrebbero essere più degnamente impegnate, ci si può limitare a sottolineare che la dispersione si avrà davvero soltanto se prevarranno nella ricerca la casualità assoluta o la pura strumentalità (editoriale o accademica), cosa da cui forse siamo ancora lontani. È comunque sul rapporto tra critica accademica e critica militante che vorrei soffermarmi, e sul!' osmosi fra le due che, in atto certo non da ieri, si è tuttavia sempre più fortemente stabilita. Il fatto, nella misura in cui ha significato un'integrazione dei rispettivi interessi e metodi, o almeno nello sforzo che ha sempre rappresentato di ,una più stretta connessione tra "scienza e vita", è certamente positivo, e positivi sono stati in molti casi i contributi che. illustri accademici hanno portato alla causa del comune lettore. . . . Ma il riflusso cui accennavo ha segnato anche in questo campo un mutamento che è all'insegna del deterioramento progressivo della situazione. Se, come ha ricordato Luperini e come tutti vanno ripetendo, "i critici-giornalisti se ne infischiano ormai di 'collaborare' alla diffusione di un certo canone letterario e di fatto si limitano a dare informazioni secondo i suggerimenti dei grandi uffici stampa editoriali", non è sempre vero che i critici accademici, intervenendo sulle stesse pagine, perseguano ormai obiettivi più lungimiranti. Vorremmo credere a ciò che dice Umberto Eco, che la funzione del giudizio "se la sia assunta proprio la critica che una volta si chiamava 'accademica"', la quale "ha spazio e fiato per usare strumenti di analisi rigorosi, e non è ricattata dall'attualità" ("L'Espresso" dell' 11 agosto), ma lo stesso Eco lascia intendere che il discorso critico vero e proprio preferisce altre sedi che quelle dei giornali, e qualche precisazione può essere opportuna. Va intanto detto che solo dopo gli anni Sessanta si è registrato il massiccio fenomeno dell'"andata al quotidiano" degli accademici, non senza collegàmenti con il contemporaneo e chiassoso affermarsi della neo-avanguardia: quasi una sortita in partibus infidelium per rispondere sullo stesso terreno (per farsi ascoltare cioè dallo stesso pubblico) alla loro agguerrita offensiva, o almeno per riaffermare comunque la propria esistenza. Ma, mutato il tempo e confuse le posizioni e gli interessi in gioco, rafforzatasi la civiltà dell'immagine e dello spettacolo, il quotidiano ha.finito per rappresentare (e television~ ecc. a maggior ragione) una tribuna che - semplicemente - nòn era conve- . niente abbandonare, e che semmai andava presidiata attraverso un'opportuna lottizzazione (valga l'esempio della "Repubblica", rimasta un feudo privilegiato di scrittori avanguardisti e critici semiotici). Così, mentre sulla scorta di uno scontro che fra gli anni Sessanta e Settanta era stato non solo politicamente ma anche culturalmente vivace si andò configurando l'opportunità di dare più spazio sui giornali al dibattito letterario e artistico, accadde che i "supplementi" di questo genere vennero organizzati o potenziatiquando cominciava ormai a non essercene più bisogno. Parallelo a questo fenomeno è quello della fioritura di decine e decine di testate periodiche, gran parte delle quali destinate al · riciclaggio di una creatività che, battuta sul piano politico, tentava di rifugiarsi nella ''riserva" dell'arte; e di molte altre destinate invece al circolo chiuso della letteratura accademica. Tutto questo ha giovato a una critica interessata a perpetuare se stessa più che a documentare e a far progredire il travaglio conoscitivo della nostra epoca. Sembra infatti venuta progressivamente meno la funzione di verifica e di stimolo che la discussione aperta su questioni di attualità sembrava svolgere un tempo rispetto alla elaborazione teorica perseguita nel!' ambito della ricerca universitaria, e quella di sperimentazione e di proposta che le riviste hanno avuto da noi fino a tutti gli anni Sessanta. Emblematica la trasformazione di "Nuovi Argomenti"- già vivace sede di pubblicazio11e di scritti che hanno lasciato un segno nel dopoguerra - in un raffinato contenitore di "scritture" (si chiamano così) la cui eleganza viene probabilmente commisurata alla patinatura della carta che fa loro da supporto; mentre va riconosciuta a Luperini una assidua attenzione a rifiutare questa 31

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