Linea d'ombra - anno X - n. 67 - gennaio 1992

I CONFRONTI I voluto dissacrare il dissacrante André Gide dell'"Io vi odio", famiglie" rovesciandone il motto: la famiglia vista come "unico bene-rifugio". "Felici i viaggi (tanto più inebrianti quanto più lontani nel tempo e nello spazio) che si concludono con un ritorno a casa". Non siamo al "tengo famiglia" del!' eterno letterato italiano di corte in pantofole. La famiglia è, sì, il luogo della possibile felicità, ma di una felicità insidiata. È il presentimento dell'insidia· a trasformare in romanzo la non romanzabile felicità. La stessa "ricercà del nonno", uno dei temi della Camera da letto, è ricerca delle "immagini protettive di lui" che sempre rimandano, però, all'affanno della storia personale e civile, la storia che non offre protezioni né nascondigli. (Bertolucci, altro dato trascurato, è fratello in anarchia di Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini). La sua nevrosi, la sintassi febbricitante, l'insistenza' sui temi del sangue e della morte, dei caratterì ereditari che covano al fondo dei destini individuali, la reversibilità del sesso nella morte, la volubilità delle stagioni e degli stati d'animo lungo un medesimo capoverso bastano a fugare ogni illusione di serenità: Bertolucci deve aver scrutato con interesse forse morboso la vicenda dell'angosciosa "famiglia" in seno alla.quale visse reclusa Emily Dickinson. Anche dall'emozione che gli comunicano i luoghi "qualsiasi", come in Proust, viene confermata e subito smentita la qualità di Bertolucci uomo sedentario: se la sua è, alla Yeats, un'"anima pellegrina", mai manca un riferimento alla sua Parma, e le acque del Loir proustiano rendono fertili le biolche di Casarola appenninica: "io quei luoghi non soltanto li avevo già visti ma li conoscevo come se vi avessi abitato, goduto e sofferto a lungo". In Aritmie, la prima sezione comprende scritti autobiografici più ritratti di persone (Max Jacob, Edith Wharton, Jane Austen ...) dipinte in luoghi che sono stati suoi luoghi: Salsomaggiore, Bath; i luoghi di cui, come Thomas Hardy a Dorchester (''una città eminentemente agricola, di beri forniti empori, dì belle case e chiese in pietra che il tempo ha stagionato in maniera giusta, di gente dal passo lento e tranquillo") egli ha saputo adocchiare le serpi nascoste. Il tema della famiglia possiede anch'esso un risvolto pubblico: Bertolucci appartiene alla linea degli scrittori del familismo morale, coloro nei quali la famiglia diventa l'arnia in cui, tra mille contrasti e regressioni, si distilla in energia in atto la tragicommedia dei rapporti umani: Morante, Ginzburg, Caproni, il Calvino della Speculazione edilizia e della Strada di San Giovanni... Alla fine l'eccentrico, il dandy (parola e tipo umano carì a Bertolucci), il rivoluzionario risulterà essere addirittura colui che porta alla propria famiglia un amore egoista. Così come poi in letteratura sarà più luciferino il "tradizionale" Bertolucci rispetto a tutti gli iconoclasti: e inAr.itmie Flannery O' Connor eGerard Manley Hopkins, cattolici, li scoprìamo a conti fatti assai più radicali dei loro contemporanei sradicati, i "non repressi" piegatisi "alla soluzione facile della fuga". Essi - gli Hopkins, i Whitman - vincono la guerra letteraria "senza dichiararla", in modo che Bertolucèi possa concludere il più sentito esercizio d'ammirazione di tutto il libro con una frase orgogliosa e rivendicatoria: "La storia letteraria non la fanno i movimenti e i manifesti; ma gli individui e le opere." Con Aritmie, quella bellissima lunga stagione che è stata il Novecento letterario ci regala ancora un suo frutto, dolce e amaro, tenero e straziato, insieme con un nuovo autoritratto di un uomo avaro non di sé ma di libri. Le persone di cui si parla in questi scritti sono quasi tutte morte. Approfittiamone per leggerlo, per godere ancora dellà testimonianza di un'Italia civile di cui oggi si stenta non dico a rìtrovare il ricordo, ma a credere che sia mai esistita. E per imparare da Berto lucci, maestro democratico e quindi involontario, le cose che meglio può insegnarci: come abitare le nostre case, il nostro paesaggio, il nostro tempo in macerie. 30 Per la critica Edoardo Esposito Sul numero di luglio della battagliera rìvista "Belfagor" diretta da Carlo Ferdinando Russo, Romano Luperini ha pubblicato un intervento (Tendenze attuali della critica in Italia) che sembra destinato, al di là di ogni intenzione, ad alimentare il fuoco di paglia delle polemiche giornalistiche e a essere dunque, in una rapida fiammata, consumato e dimenticato. Ne hanno dato I l'esempio "La Stampa" del 16 luglio, che anticipando alcune affermazioni di Luperini e proponendole (immagino) fuori del · loro contesto ad alcuni dei critici chiamati in causa riusciva a creare il necessario tono scandalistico; e "la Repubblica" del .giorno dopo, che montava in fretta. e furia un apparente contraddittorio su quella che sarebbe la "situazione" della critica italiana, con la consueta esibizione di prontezza e lucidità, e il non meno consueto rìsultato dell'ovvietà condita in salsa forte. Tale è la prassi odierna dell'universo mass-mediologico, dove l'importante non è informare, ma fare colpo e fare spettacolo: e l'unico modo ritenuto accettabile per presentare un dibattito critico (Vittorìo Sgarbi insegna) è quello di trasformarlo in un incontro di pugilato. Così facendo, del resto, il mondo dell'informazione si prende la rivincita sulle affermazioni di Luperini, èhe parlava non solo della critica letteraria e delle sue specialistiche questioni, ma della critica ché chi fa professione di intellettuale ·dovrebbe sempre sapere usare e che non dovrebbe mancare fra gli attributi che si convengono a un buon giornalista: non per nulla aleggiava sullo sfondo il fantasma della guerra del Golfo e dell'immagine che ne è stata trasmessa, acriticamente appiattita sulle posizioni del potere economico e politico (potere anch'esso, la stampa, ma soltanto "quarto", alla fin fine). Tant'è. Ma se Luperini, stringendo un po' avventurosamente in una rapida sintesi posizioni molto diverse, ha irrigidito qua e là il suo giudizio in maniera discutibile, non ha mancato tuttavia di offrìre, a chi non si faccia prendere dal gusto del pettegolezzo e dello scandalo, più seria materia di riflessione. E se non vogliamo che, ancora una volta, siano lo spettacolo e il clamore a prevalere, non dovremmo perdere l'occasione che quell'intervento ci offre. Si avvertono nell'arìa precisi segni della necessità di una riflessione in proposito, e il momento storico che stiamo vivendo - dopo la crisi e lo sbandamento degli anni Settanta, dopo il "riflusso" degli anni Ottanta e la nuova crisi determinata anche nella società italiana dai recenti eventi internazionali.- richiede da parte degli intellettuali almeno lo sforzo di fare il punto, di indicare delle possibili rotte. Credo sia una cosa dovuta in . particolare ai giovani, che usciti ormai dal clima del sospetto e da quello dell'indifferenza hanno già dato segni di una volontà di partecipazione che rischia di essere altrimenti umiliata da un nuovo e non meno soffocante clima, quello che si va lentamente imponendo dell'unanimismo, nel.la politica come nella critica letterarìa. Luperini non ha opposto una teoria o un metodo critico a un altro; non ha perorato la causa, contro le altre, della moderria allegoresi che egli da tempo sostiene. Si è limi fato (o almeno sotto questo profilo mi interessa. riprenderne le mosse) a constatare il •

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