I CONFRONTI I lasciano spazio ad altre intrusioni, giustamente). Ma quelle mappe e segnaletiche stradali sono sintomi di un bisogno ossessivo di appropriazione topografica, di orientamento in uno.spazio determinato. Quando parla del suo amato Virgilio, questo bisogno emerge con particolare chiarezza ..L'epica virgiliana è definita subito in negativo: "densa di dubbio, carica di penombre, mai trionfale". E soprattutto è l'impulso lirico che viene messo in evidenza: Virgilio infatti approda all'epica "attraverso le tortuosità e gli scompensi dell'io lirico ( ...) attraverso il confronto con uno spazio che dovrebbe essere davvero cosmico" (p. 343). Zanzotto mette in luce I' anticlassico nel classico: cioè "l'insicurezza, instabilità, bruciabilità" (al contrario di Eliot che prende Virgilio come prototipo di classico per la sua "maturità"). Zanzotto dice piuttosto che in Virgilio la poesia è "scarsa e incerta ricòmpensa al silenzio degli dèi, al frastuono delle cose". Ma soprattutto, ciò che conta in Virgilio è il "ritorno simbolico ad una Heimat, a una prima patria storica psichica e culturale, sede di ogni affetto e fondante la vita. Resta in V. sempre ali' òrizzonte ilpoderetto e quasi l'orto" (p. 344). Nel rapporto fra poesia e lavoro dei campi, viene riconosciuta da Zanzotto la grandezza assoluta delle Georgiche, in cui è contenuta "la più alta dichiarazione di poetica di ogni tempo". In Virgilio, Zanzotto cerca "i dove che danno consistenza alla testualità". E infine: "Dal minacciato sito ( ...)dell'ecloga virgiliana" (si ha l'impressione che Zanzotto parli di sé) "si è potuto sviluppare nel tempo lo spazio quasi templare di un'Arcadia intesa nel suo più alto senso, quale comunità utopica". Un Virgilio, si direbbe, che incontra Ernst Bloch. Ma certo questa. congiunzione fra Arcadia e comunità utopica, nonché l'accenno al "minacciato sito" porta direttamente al discorso sulla provinciaHeimat, sul dove che dà "consistenza alla testualità". Dopo aver fatto esplodere e mandato in mille pezzi, con una certa euforia liberatoria, l'unità di io lirico e paesaggio da cui era partito, Zanzotto torna a cercare (lo scritto su Virgilio è del 1981) in mezzo alle rovine i segni della continuità. Interroga i testimoni di un passato distrutto, o minacciato, in agonia. · C'è stata una fase "avanguardistica" di Zanzotto (anni '60), da IX Ecloghe alla Beltà, quando il suo lirismo tardo-ermetico, il suo neo-romanticismo, veniva eroso da più moderni acidi meta-letterari. Allora la sua sismografia lirica registrava la distruzione indotta dalla modernizzazione con l'eccitata meraviglia che si può· avere di fronte alla novità di quanto una devastazione riesce a portare in superficie. E questo anche se vorrei sottolineare che Zanzotto, con Pasolini, Volponi e Calvino (si tratta di quasi coetanei) è uno scrittore che si capisce anzitutto a partire da un · trauma storico: quello provocato dall'avvento, con gli anni '60, dell'allora definito neo-capitalismo, o più precisamente dal passaggio dell'Italia da un'economia ancora prevalentemente agricola ad una industriale e oltre.L'opera di questi quattmscrittori è, mi sembra, profondamente segnata da questo trauma: vissuto come interruzione di memoria e di continuità storica, r.ottura di vincoli locali municipali e di cultura orale, dialettale. Perfino in Calvino, che è fra loro il più illuminista, razionalista e dotato per lo più di un solo tipo di pathos, quello della distanza, continua ad agire la · memoria del patrimonio antropologico delle culture preindustriali fondate su un sapere a misura di economie agricole e artigiane. La scienza stessa in Calvino è sempre scienza a misura dei cinque sensi, implica un potenziamento percettivo, conserva e ri-usa il buon senso, le abilità e le astuzie degli eroi delle fiabe. La resistenza o l'estraneità di Zanzotto, Pasolini, Calvino, Volponi alla cultura delle neoavanguardie è un dato irriducibile proprio per questo. Anche quando imparano qualcosa dagli avan26 guardisti (Zanzotto e Calvino più degli altri), non smettono di sentire lo sviluppo industriale e in fondo lo stesso progresso della modernità come un fenomeno bifronte, che minaccia di distruggere facoltà umane, attitudini e beni ereditati da una lunga tradizione. Nonostante alcune somiglianze di procedimenti, non c'è in nessuna po~sia dei Novissimi la presenza di un preciso dove, di uno · sfondo.(Milano, nelle prime poesie di Pagliarani). La natura stessa è assente. Quella della neo-avanguardia è stata una letteratura di progressismo e cosmopolitismo euforico, che si precipita verso dei non-dove moderni ..(Zanzotto ha frequenti espressioni polemiche, se non sbaglio, in direzione dello scrittore tipo Arbasino, per es.). Non è un caso che il più materialistico e storicista fra i Novissimi, che è Sanguineti, scriva poesie che nascono per lo più da situazioni turistiche e da classe media culturale: l'accensione poetica sembra avvenire quando la realtà si è percettibilmente trasformata in merce, i paesaggi in cartoline illustrate, la storia in manuali di storia, o meglio in un colorato coacervo di nozioni, e la conversazione è scambio gergale fra scrittori a convegno (gli incontri di Cerisy e le chiacchierate con gli amici di "Te! Quel" sono cose massimamente poeticizzabili per Sanguineti). C'è viceversa in Zanzotto una fede molto più pasoliniàna nel s'aperedialettale, nella cultura dell'umile Italia, fra una collina, una pianura e un fiume. L'universo, il cosmo è in Zanzotto ancora essenzialmente natura: prato, cimitero, terreno agricolo, piuttosto che strade di città o aereoporti. E c'è qualcosa di volponiano nella ricerca del giusto luogo, della dimora-riparo, della tana in cui sopravvivere, chissà; quando la fine del mondo è diventata quotidiana, è dovunque. Come ai tempi della sua giovinezza, evocati nella prima testimonianza che ho citato all'inizio, anche in questa situazione di · emergenza protratta e di culture in dissolvimento, la poesia resta "ultima" e "unica" dimensione di resistenza e sopravvivenza. Un po' come nel' 45, tra la fine della guerra e l'inizio della pace. Non ..più, forse, poesia come "suprema'.' delle ambizioni Ùmane (foscolismo quintessenziato di Solmi), ma "solo rifugio" culturale consentito "nello sprofondamento della vita, nella riconosciuta disintegrazione dei valori", come allora. Inoltre, le comunità si dissolvono, i vecchi a poco a poco spariscono. Il filo che tiene legato il poeta alla sua nonna, alla lingua classica mescolata al dialetto, rischia sempre di spezzarsi. La lingua media della classe media, non è mai riuscita a entrare davvero nella poesia·di Zanzotto. La sua lirica era di ascendenza illustre e di destino estremistico. La lingua della nuova classe media e i suoi luoghi, anonimi e urbani, non compaiono nelle poesie di Zanzotto. Cosmopolita per cultura, Zanzotto è il meno urbano dei poeti italiani (equi è un altro punto di massima distanza dal suo fratello-antagonista Giovanni Giudici). In una poesia di Zanzotto è più facile che entri un satellite artificiale, un composto chimico, una centrale atomica o un'astronave che una stazione ferroviaria, l'ufficio di un manager, il linguaggio di un impiegato (i supermercati e la televisione, sì, perché sono riscattati dallo sguardo dei bambini). Il meccanismo testuale è modernissimo in Zanzotto e spesso gira un po' a vuoto. È un guaio che nei suoi libri ci sia molta polvere poetica, materia inerte che solo un super-teorico del testo poetico può accettare in blocco e fingere di capire. Io spesso mi perdo del tutto. Questo super-modernismo letterario potrebbe sembrare sno• bistico, se non conoscessimo la mancanza di vanità di Zanzotto e ·la sua reale passione per i congegni stilistici ·e linguistici. Ma si accompagna ad una sfiducia nei confronti della modernità, che è vista spesso in termini apocalittici (siamo di nuovo accanto a Pasolini e Volponi). Zanzotto resta devoto al prato, ai fili d'erba, ai fiOcchi di neve, agli astri e alla loro luce fredda. E da dove si
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