LEffERE Meglio lo scontro che una triste tolleranza Filippo La Porta Recentemente Luigi Manconi è intervenuto su una questione cruciale per ocietà multietniche come la nostra: il conflitto tra sistemi di valori diversi e spesso tra loro incompatibili (frutto di culture ed etnie diverse). L'articolo di Manconi (Confliui di valori e male minore, "La terra vista dalla luna", n. 2, luglio-agosto 91) prende spunto da un caso relativamente semplice (l'operaio marocchino che chiede - e dopo un po' ottiene - il permesso di soggiorno per le sue due mogli) ma si estende poi a conflitti di valori ben più drammatici ed esplosivi, come la richiesta da parte di certe donne africane di pratiche crudeli come l'escissione della clitoride o l'infibulazione. La soluzione prospettata nell'articolo, tra mille cautele critiche, si ispira ai principi classici del liberalismo (la sovranità dell'individuo sulla propria mente e sul proprio corpo, di cui parla Stua1tMill); econsiste nell'elaborare "strategie di tipo utilitaristicostrumentale" finalizzate alla "riduzione dei danni", per limitare cioè le conseguenze più dolorose per la collettività, muovendo dallo "spazio giuridico" (e senza per questo dover discriminare i valori di nessuno). Limitare la sofferenza, ridurre i danni, ricercare il male minore, riconoscere che ogni valore è in sé un assoluto, e poi negoziare, elaborare norme e provvedimenti, depenalizzare... Un repertorio certo familiare e formalmente ineccepibile, almeno per unacoscienza laico-democratica. Eppure da tutto l'articolo, assai ragionevole e puntiglioso, traspare essenzialmente una preoccupazione, e anzi una paura di fronte alla crescente immigrazione extracomunitaria (vista come qualcosa di ineluttabile, di cui occorre soprattutto contenere gli effetti socialmente distruttivi). Un sentimento comprensibile, ma che si dovrebbe rendere ancora più esplicito. Forse davvero la situazione attuale è soltanto drammatica, lacerante, etc., ma allora non ci potranno salvare le formule più consunte dell'utilitarismo, come l'appello a "limitare la sofferenza" (eh~ non è un'entità calcolabile con esattezza). E singolare come la nostra cultura laico-razionalistica, bravissima nella diagnosi dei problemi, risulti quasi sempre inadeguata oscarsamente problematica nelle risposte, e, generalmente, finisca volentieri nelle generose braccia dell'utilitarismo (si sa, l'utilità è tutto quello che ci resta, dopo la liquidazione di oggetti ben più sfuggenti come la Natura, Dio, la Ragione ...). Vorrei ora riassumere le mie perplessità, e anche la mia personaleposizione (naturalmente priva di certezze), in due punti distinti: I) ell' immediato mi sentirei molto meno relativista (e meno ottimista) di Manconi, nel sensoche mi sembrano inevitabili politiche in certo modo autoritarie, repressive e fatalmente "etnocentriche" (politiche da correggere via via con considerazioni di tipo tattico o pragmatico, del tipo: se si proibisce quel comportamento si peggiorerebbero le cose); tenendo fermi alcuni valori di fondo per noi irrinunciabili, e formatisi storicamente (come del resto tante cose, dalla democrazia all'imperialismo) in Occidente. Altrimenti, benché animati dall'intenzione di inviare un messaggio di tolleranza, finiremmo con l'apparire ambigui proprio agli occhi degli "altri" (nel sen o cioè che prima giudichiamo una certa pratica come una atroce mutilazione, come un disvalore, e poi vi acconsentiamo, seppure temporaneamente a fin di bene...). E inoltre le culture non costituiscono mai dei blocchi omogenei, granitici, privi di conflitti interni. In nome del relativismo rischiamo di favorire, ali' interno di quelle culture, alcuni modelli sualtri, forse minoritari o meno visibili (in ogni società, anche antica, esiste sempre una linea "laica", che andrebbe appoggiata e incoraggiata). 2) Proprio nella sua parte propositiva la riflessione di Manconi non evita del tutto una retorica virtualistica à la Yeca, nel sensodi una ingenua filantropia istituzionale a sfondo utilitaristico: la pretesadi risolvere "razionalmente" (o "scientificamente") i problemi sociali, i conflitti di natura morale, disinnescandoli attraverso interventi legislativi (sperando così di aggirarli, di non "viverli"). La formula del "limitare i danni" appare così problematica e perfino ambigua (potrebbe anche giustificare degli o,rnri), che dovrebbe essere non la conclusione ma il punto di partenza di ogni nostro discorso: come interpretarla? i "danni" di chi? della maggioranza? ecome quantificarli? Se la società multietnica oltre ad essereun problema è anche un "valore", un progre so, allora il nostro atteggiamento verso gli "altri" non può essere esclusivamente di "tolleranza". E non dobbiamo semplicemente "tollerarli" per la buona ragione che potremmo scoprire di avere bisogno di loro (e loro di noi). Una scopertache certo non faremo attraverso le scienze sociali e LA TERRA 31 le metodologie più raffinate, ma che mette in gioco le nostre risor e immaginative. on è tanto in questione una possibile "fratellanza", l'ideale forse più impopolare della famosa triade (e che, per quanto nobile, non si può imporre a nessuno). li punto è un altro: oltre alle prevedibili cause sociali di sofferenza riusciamo ad immaginare, nelle nuove aree metropolitane multirazziali, delle occasioni per quanto peregrine di arricchimento reciproco, di avventura conoscitiva? Seaveva ragione un filosofo illuminista (e antirazionalista) come Hume a riportare all'"abitudine" i sentimenti e le stesseconvinzioni razionali, allora il problemaperno i saràquello di moltiplicare le abitudini di vita comuni con gli altri gruppi etnici, collegandole a momenti non solo conflittuali, ma anche di piacere e di creatività. Certo, anche le mie perorazioni sfiorano una retorica del "positivo". Né dico che bisogna sempre parlare, accanto alla auspicabile "liberazione", di una necessaria"comunione". Ma ho l'impressione che Manconi si affidi più del dovuto alle politiche sociali, alle strategie istituzionali, al "campo giuridico". Quel lo che probabilmente ci distingue da Bossi non è solo maggiore tolleranza o maggiore spirito umanitario, ma, credo, una di versa esperienza e sensibilità (delle diverse "abitudini" di vita). Altrimenti il nostro modello (più o meno esplicito) assomiglierebbe a quella "società britannica" che il critico Paolo Milano vedeva riflessa come in un microcosmo, nei passeggeri della Queen Elizabeth: "un mondo onesto, esangue, triste( ...) la vitalità è scarsa, la bellezza assente". Redazione: Gianfranco Bettin, Giacomo Borella, Goffredo Fofi, Filippo Gentiloni, Piergiorgio Giacchè,Luigi Manconi, Santina Mobiglia, Antonio Monaco, Giuseppe Pontremoli, Lia Sacerdote, Marino Sinibaldi. Progetto grafico: Andrea Rauch/Graphiti Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 - 20124 Milano Tel. 02/6691132-6690931. Fax:6691299 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Tel. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie POE - Viale Manfredo Fanti 91 50137 Firenze - Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini 6 Buccinasco (Ml) - Tel. 02/45700264 LINEA D'OMBRA - Mensile di storie, immagini, discussioni. Iscritta al tribunale di Milano indata 18.5.87 al n. 393. Direttore responsabile: Goffredo Foti Sped. Abb. Post. Gruppo 111/70% Numero 67 - Lire 9.000 Abbonamenti Annuale: ITALIA: L. 75.000 a mezzo assegno bancario o c/c. postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra. ESTERO L. 90.000 fino al 30/1/92 < ! ii:, lii .. ~ .. e z lii
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==