INCONTRI/ ATXAGA Il Bosco è un extra-spazio, simbolicameznte simile al deserto. E indubbiamente noi, gli "euskaldunak", noi che parliamo "euskera", abbiamo vissuto a lungo nel Bosco dell'emarginazione. ladro che era entrato in un mercato gremito di gente e aveva tentato di rubare da un banco dove si vendeva oro. "Come hai potuto fare un simile tentativo in mezzo a tanta gente?" gli chiesero _le guardie dopo averlo arrestato. "Io non ho visto nessuno, ho visto solo l'oro", rispose il ladro. E quale era l'oro che tu vedevi? Io vivevo, per così dire, in una specie di pallone, chiuso in un pallone e senza contatto con la terra. Vedevo l'oro dei libri che c'erano in quel pallone, l'oro di Dylan Thomas- un autore che idolatravo e che tuttora stimo-, l'oro di Kafka, di Lautréamont, di Brecht, l'oro che si trova in questo Po che appare nelle opere di Pavese. Ciau Masi no mi aveva fatto molta impressione, e anche quella poesia che dice verrà la morte e avrà i tuoi occhi. La prima cosa che ho fatto appena arrivato a Torino è stata una visita al fiume. E non mi ha deluso. La verità è che i fiumi mi piacciono molto, più del mare. Parliamo di Obabak:oak. Dalle pagine del tuo libro traspare l'intenzione di rompere con i generi, la tentazione di muoversi in territori di frontiera. Cosa ti porta a questa forma narrativa? Penso che tu abbia ragione, sì. In letteratura mi capita quello che mi capita con le tendine di casa mia. Non capisco perché le finestre, che dànno su un fiume e su una montagna, devono avere degli ostacoli - ostacoli molto ben ricamati, ma sempre ostacoli -, che impediscono il passaggio della luce. Però alla gente di casa mia piacciono, e così continuano a tenerle. Su questo fronte la battaglia è persa: le mamme basche sono molto autoritarie. Ma, nel momento di scrivere non ci sono mamme che tengano, sono più libero, più disinvolto, e faccio in modo di prescindere da tutto ciò che è inutile e fastidioso. Questo mi porta a non accettare i luoghi comuni e i pregiudizi che ancora oggi affliggono la · letteratura. Niente generi letterari in senso stretto, nessuna precettistica più o meno dissimulata. Fondamentale in un libro è che ci sia riflessione, forza narrativa, sorpresa ... Gombrowicz lo ha detto molto bene: il naso non è stato fatto per il fazzoletto, è il fazzoletto che è stato fatto per il naso. Ma che Obabak:oak: consti di ventiseì racconti, questo sì si può d'ire, suppongo._.. Non ne sarei troppo sicuro. Si può forse dire che il capitolo X e Y, nel quale dò un'interpretazione della leggenda di un ladro di bambini, sia un racconto? Non lo credo. Credo çhe questo testo assomigli più a un mini-saggio che a qualcos'altro. E neppure si può dire che il capitolo Finis coronat opus contenga unicamente un racconto. In ogni mùdo, non sono l'unico scrittore in cerca di territori di frontiera. Oggi viviamo in un mondo insicuro, non c'è nulla che si presenti con chiarezza, né i fatti, né le idee, né nessun'altra cosa, e ciò si riflette sulla letteratura. Così come nessuno ha l'autorità morale per dire "questa è la via retta", allo stesso modo nessuno ha l'autorità di dire "questo è una novella" o "questo è una poesia". È come se vivessimo in quell'ora di quasi-notte nella quale, come dicono in Castiglia, un filo bianco .non si distingue da un filo nero. Un mondo insicuro, dici, e io potrei aggiungere che è un mondo che è cambiato con somma rapidità, da un momento a un altro. In tal senso, quanto è cambiato il paese basco? Molto, probabilmente troppo. Quando ero piccolo, quella era una società piena di credenze, nella quale cantare il Magnificat tutte le domeniche sera nel coro della chiesa, non impediva che poi, durante la settimana ci montassimo la testa con storie di strani animali che abitano nelle caverne ... O con storie di ramarri che penetrano nelle orecchie e finiscono per mangiare il·cervello ... Esattamente, con storie di ramarri che facevano diventare scema la gente. Ma è così, c'è stato un gran cambiamento e quel conglomerato di credenze è quasi scomparso. E lo stesso potrei dire di tutte le altre storie, quelle cosiddette reali, perché una delle caratteristiche della marginalità culturale è la perdita della memoria. Forse è stato per questo che ho deciso di raccontarne alcune, perché pensavo che la vita dei nostri padri o dei nostri nonni valesse tanto quanto quella di chiunque altro, e che pertanto ,meritasse di venire riscattata dall'oblio. Comunque non è stato semplice, poiché prima ho dovuto cercare un'alternativa al "rurale". Letterariamente parlando, la ruralità non mi interessa. Credo che la divisione del mondo in rurale e urbano, in campagna e città, sia utile solo agli esattori fiscali, ma non alla letteratura. Allora, un felice giorno, ho capito che il mondb si poteva dividere anche in Bosco e Cultura, proprio come si faceva nel Medio Evo. Il Bosco è un extra-spazio; un luogo simbolicamente simile al deserto, Gli anacoreti che cercavano la solitudine, i banditi che non volevano saperne della legge, quelli che non sopportavano la vita nei dintorni del palazzo - la vita della cultura, la vita dei terreni coltivati - si ritiravano nel Bosco. Quindi, questo è il punto di vista che ho scelto per molte mie storie, perché indubbiamente, noi, gli _euskaldunak, i basèhi che parliamo euskera, abbiamo vissuto a lungo in quel Bosco, in quella zona di emargina- . zione. Perno tare la differenzafra il rurale e il boscoso, basta pensare alla Bella addormentata o aCappuccetto Rosso. Non sono racconti rurali, bensì racconti del Bosco. Hanno una forte carica simbolica e parlano della reahà interiore. Ora che parli dei racconti tradizionali, che importanza ha nei tuoi testi la tradizione orale? Nei racconti che ho chiamato boscosi, molta. La storia del cinghiale bianco, per esempio, nasce direttamente da quel fondo leggendario e popolare che dà per certo che una vecchia si trasformi di notte in una civetta. Prendo da questo fondo ciò che mi.sembra meglio, e poi lo trasformo, lo colloco in una determinata geografia. Quando, per continuare con l'esempio, trasformo un normale cinghiale in un cinghiale bianco, dotato di volontà e · intelligenza, non mi sto ricordando dei racconti popolari, mi sto ricordando di Moby Dick, e mi sto ricordando anche di ciò che il dottor ltard riferì a proposito dell' enfant sauvage di Aveyron. Qualche critico ha creduto di vedere in Obabakoak analogie con Calvino. Forse lo si deve a ciò di cui stiamo parlando, alla 80
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