Linea d'ombra - anno IX - n. 66 - dicembre 1991

STORIE/FAULKNER Lei lo guardò. Si.fissarono per un momento carico d'inerzia. Poi le disse, "E alUJra,dov'è la spilla?" "Non è vero!" gridò subito, immediatamente, senza neanche aspettare di sentire il nome. "Non è vero! Mi°hanno accompagnata a casa a quell'ora ma era ancora presto e così ho deciso di andare a_casa loro a mangiare un po' di uova e prosciutto. E così ho chiamato Frank prima che girasse l'auto e sono andata con loro. Te lo può dire Frank! Lei ti ha mentito! Mi hanno lasciata all'angolo proprio in questo momento!" Lei lo guardò. Si fissarono per un momento carico di inerzia. Poi le disse, "E allora dov'è la spilla?" "La spilla?" disse lei. "Che spilla?" Ma lui aveva già visto la sua mano s'alire sotto la pelliccia; e poi, vide il suo viso e la osservò mentre restava a bocca aperta come una bambina che trattiene il respiro prima di cominciare a piangere con un selvaggio, immobile abbandono, e così parlò nel pianto, tra i singhiozzi soffocati di una bimba, una capitolazione totale e disperata: "Oh, Howard! Non avrei mai voluto farti questo! Non avrei mai voluto! Non avrei mai· voluto!" ~•va bene," le disse. "Calmati, adesso. Calmati, Amy. Ti sentirà." "Va bene. Ci sto provando." Ma era ancora davanti a lui con quel viso tirato e stranamente rigido sotto il suo incredibile, umido sfogo, come se non solo gli occhi, ma tutti i pori si fossero dischiusi tutti in una volta; ora anche lei parlava sotto l'impulso dei propri pensieri, senza andare nei particolari, senza più sconfitta né negazione: "Saresti venuto con me se non lo avessi scoperto?" "No: Nemmeno in quel caso. Non la lascerò. Non lo farò, finché non morirà. Neanche questa casa. Non lo farò. Non posso. Io-" Si guardarono, lei lo fissava come se vedesse· riflessa nelle sue pupille non la propria immagine ma il volto incartapecorito che si trovava al piano di sotto - la massa di capelli bianco sporco, i crudeli occhi implacabili - la propria immagine coperta da qualcosa che si trovava oltre alla pura cecità: da un qualche cosa deciso a vincere, imbattibile e sofferente. "Sìi" gli disse. Tirò fuori da qualche parte un pezzo di chiffon e cominciò a tamponarsi gli occhi, con delicatezza, persino adesso, per istinto, attenta al mascara che stava colando. "Ci ha battuti. Non si è mossa da quel letto e ci ha battuti." Si voltò, andò verso l'armadio a muro, prese una valigeUa e vi mise gli oggetti di cristallo che si trovavano sul tavolo e aprì un cassetto. "Non posso prendere tutto stan_otte.Dovrò -" Si mosse anche lui; prese il portafogli dal cassettone dove si trovava il piccolo, vuoto, portafotografie, ne estrasse dei biglietti di banca, tornò e le mise il denaro in mano. "Non credo ce ne sia molto. Ma non avrai bisogno di denaro fino a domani." "Sì" disse lei. "Potrai mandarmi allora anche il resto delle mie cose." "Sì," disse lui. Lei piegò e lisciò le banconote fra le dita; non Io stava guardando. Lui non sapeva che cosa lei stesse guardando tranne che non era il denaro. "Non hai un borsellino o qualcos'altro in cui metterle?" "Sì," disse lei. Ma continuava a piegare e lisciare le banconote, sempre senza guardarle, sembrava che non si accorgesse della loro presenza, come se non avessero. alcun valore e lei le avesse prese in mano senza badarci. "Sì," gli disse. "Ci ha battuti. Sta in quel letto da cui non si muoverà più finché un giorno non verranno a prenderla, ha preso quella spilla e ç_iha battuti, tutti e due." Poi si mise a piangere. Era un pianto tranquillo come il modo in cui aveva parlato. "Il mio bambino," disse. "Il mio caro, piccolo bambino." Lui non disse nemmeno 'Adesso calmati'. Aspettò soltanto che si asciugasse di nuovo gli occhi, con un movimento quasi brusco, agitato, guardandola con un'espressione che sembrava quasi un sorriso, il suo viso, il trucco, il viso preparato con cura per la sera, disfatto, rigato e colmo della pace e della spossatezza che vengono dopo le lacrime. "Bene," disse. "È tardi." Si chinò, ma lui arrivò prima e prese la borsa; scesero insieme·le scale; videro la finestra illuminata sopra la porta della Signora Boyd. "È un vero peccato che tu non abbia l'auto," le disse. "Sì. Ho perso le chiavi al club. Ma ho telefonato al garage. La porteranno qui domattina." Si fermarono nell'atrio, dove lui telefonò per chiamare un taxi. Poi aspettarono, parlando di tanto in tanto, tranquillamente. "Faresti meglio ad andare subito a letto." · "Sì. Sono stanca. Ho ballato molto." "Com'era la musica? Era bella?" "Sì. Non lo so. Penso di sì. Quando si balla di solito non si nota se la musica è bella o no." "Sì, penso che sia così." Poi l'auto arrivò. Uscirono e le andarono incontro, lui in pigiama e vestaglia; la terra era gelata e dura come ferro, il cielo brillante e pungente. La aiutò a salire. "Adesso corri subito in casa," gli disse. "Non ti sei nemmeno messo il soprabito." "Sì. Ti manderò le tue cose all'albergo domattina presto." "Non troppo presto. Corri, adesso." Si era già appoggiata allo schienale, avvolta nella pelliccia. Lui aveva già notato che a un certo punto, qualche momento prima, in camera da letto, il caldo profumo femminile si era nuovamente congelato e che adesso lei emanava di nuovo quella debole, gelida fragranza, fragile, vaga ed evanescente; l'auto partì, lui non si voltò a guardare. Sua madre lo chiamò mentre stava chiudendo la porta dell'ingresso. Ma lui non si fermò né guardò in direzione della porta. Salì soltanto le scale, allontanandosi da quella voce morta, piatta, insonne, perentoria. Il fuoco si era consumato: un intenso alone rosato, pacifico e tranquillo, riflesso con calore dallo specchio e dal legno lucido. Il libro era ancora sulla sedia, aperto a faccia in giù. Lo prese e si diresse verso il tavolino che si trovava fra:i due letti e cercò, trovandola, la busta di plastica che una volta conteneva un nettapipe, che usava come segnalibro, segnò il punto a cui era arrivato e posò il libro. Era la versione tascabile di Verdi dimore, della Modem Library. Aveva · scoperto il libro quando era un adolescente; lo leggeva fin da allora. In quel periodo leggeva soltanto la parte del viaggio dei tre personaggi in cerca della Riolama che non esisteva, cercandola e leggendola di nascosto come un normale ragazzo avrebbe letto un normale e convenzionale passo erotico od osceno, salendo la montagna bandita con Rima verso la c~werna, senza sapere, allora, che era il simbolo della caverna che stava cercando, fuggendo, alla fine, per mezzo dello stesso desiderio e bisogno di scappare e fuggire che aveva Rima, seguendola oltre la caverna dove lei volteggiava, senza nemmeno aspettarlo, evanescente come la fiamma di un fiammifero e ugualmente debole, nella luna fredda e senza tristezza. Allora, nella sua innocenza, era convinto, con una specie di gioia disperata e ossessionante, che il mistero a lei legato non era un mistero dal momento che si trattava di una cosa fisica: che lei era materialmente impenetrabile, incompleta; con pacifica disperazione giustificava, rivendicava, ciò che stava facendo (così credeva) senza colpa da parte sua, nei confronti di ciò che leggeva nei libri, come fanno i giovani. Ma dopo il matrimonio non rilesse 79

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