IL CONTESTO grado di dettare condizioni. Due: negli Stati Uniti la comunità ebraica, significativo fattore elettorale, non è più univoca nell' appoggio alla politica israeliana da quando a Gerusalemme è in carica un governo ultranazionalista e di estrema destra. Tre: la crisi e la guerra del Golfo hanno donato a Washington alleanze arabe-mediorientali rafforzate e un rapporto di collaborazione anche con la Siria (ex protetta da Mosca). A Madrid, Baker e i suoi uomini hanno avuto la permanente collaborazione operativa del ministro degli Esteri egiziano, Amr Mussa, e dell'emissario dell'Arabia Saudita, Hamer Feisal. Sia Il Cairo che Riad, presumibilmente, condividono le preoccupazioni siriane circa la volontà del governo israeliano di tenersi i territori occupati; del resto tale volontà non è del tutto un segreto: nella capitale spagnola, il viceministro degli Esteri, Benjarnin Netanyahu, ha dato delle risoluzioni 242 e 338 dell 'Onu l'interpretazione ultimamente suggerita a Gerusalemme dalla versione inglese di questi documenti ("ritiro da territori", e non "dai") secondo cui Israele, avendo restituito oltre il novanta per cento delle aree occupate quando ha lasciato la penisola del Sinai all'Egitto, non sarebbe tenuto ad abbandonare altro. Quello che egiziani e arabisauditi chiedono al regime di Damasco è di fidarsi degli Stati Uniti, non più filoisraeliani senza riserve, interessati oggi a un nuovo assetto mediorientale in cui siano superati i fattori d'instabilità. Fattore storico d'instabilità è la questione palestinese. Per i palestinesi, la fase inaugurale della Conferenza è stata un successo. Hanno partecipato ai lavori di fatto comé parte autonoma, anche se formalmente presenti come componente della delegazione giordana. Le loro rivendicazioni hanno occupato il centro dei temi discussi dai negoziatori, stavolta sotto il patrocinio della superpotenza mondiale, e diffusi dalla stampa. Per la prima volta il pubblico americano ha ricevuto dai teleschermi un'immagine palestinese che nulla aveva a che vedere con il terrorismo né con L'arrivo dei palestinesi alla Conferenza di Madrid (foto di Malias Nieto/Cover/Contrasto). propositi rivoluzionari, un'immagine che aveva i tratti sofferti e dignitosi, intelligenti e moderati, di una donna ins~gnante di letteratura inglese, di un intellettuale di Gerusalemme orientale e di un anziano pediatra di Gaza. Fin dalla guerra del Golfo, Baker aveva puntato su questi rappresentanti delle popolazioni dei territori occupati; dopotutto, Israele diceva che avrebbe negoziato soltanto con esponenti di tali popolazioni, non con l'Olp, il cui vertice guidato da Arafat si era intanto autoescluso da un processo diplomatico per avere appoggiato Saddam Hussein durante il conflitto (in realtà, per la precisione, non è stato capace di sganciarsi dal capo iracheno al momento opportuno). Ora, è risaputo che Hanan Hashrawi e Feisal el-Husseini e gli altri palestinesi arrivati a Madrid hanno avuto l'avallo dell' Olp; addirittura il capo delegazione, il vecchio medico Chafi, nel suo discorso alla seduta plenaria ha accennato al "presidente Arafat" e ricordato risoluzioni adottate dal "Consiglio Nazionale Palestinese", il Parlamento dell'organizzazione il cui nome era vietato pronunciare. Tuttavia gli israeliani non hanno abbandonato la Conferenza.L'offensiva diplomatica americana li costringe, anzi, a prendere atto della realtà: un diplomatico della delegazione israeliana, a proposito della risposta da dare alla rivendicazione palestinese di uno Stato, diceva in via riservata che il suo governo è disposto a dare una risposta positiva. Cioè? "Tutto, meno un esercito". · Che a Gerusalemme i governanti si sentano costretti ad affrontare il problema è un segnale del successo politico palestinese, in questa circostanza: È noto a tutti che la risposta a cui è disposto il governo che comprende i fautori della permanenza definitiva sulla terra d'Israele storica non è quella attesa dai palestinesi ma riguarda tutt'al più un'autonomia che non intaccherebbe la sovranità israeliana. L'ex generale Sharon, ministro dell'Edilizia, ripete a ogni inaugurazione di un insediamento nei territori occupati: "Qui c'eravamo già 4.000 anni fa". Non è invece noto lo scopo del capo siriano, ma lo si può presumere. Damasco ha cominciato a difendere, ultimamente, il diritto palestinese a un territorio nazionale; non aveva mai, in· passato, fatto chiaramente una simile difesa, perché da sempre il regime ha sperato nella rinascita della Grande Siria, di cui la Palestina fece parte sotto l'Impero ottomano. Ora Assad ha cambiato corda e fatto la pace con Arafat, da lui per anni combattuto senza risparmio di mezzi. Sembra èli capire dal- ! 'esempio del Libano, divenuto un protettorato siriano con l'assenso tacito degli Stati Uniti e dei regimi "fratelli", che l'astuto capo di Damasco voglia presentarsi come campione dell' indipendentismo palestinese, viste le nuove circostanze internazionali, per tentare poi di fagocitare anche quest'altro piccolo e debole Stato che oggi si vuole istituire. Molte cose succederanno prima che si possa sancire la pace progettata da Baker. Assad è imprevedibile, mentre in Israele gli ultranazionalisti sembrano disposti anche a scatenare la violenza intestina pur di impedire il distacco territoriale. È vero che neanche gli americani, pur padroni del mondo, sono onnipotenti, ma hanno armi efficaci. Il regime siriano rischia, se si opponesse ai disegni di Washington, l'isolamento internazionale; non ha più la protezione sovietica e potrebbe perdere la necessaria assistenza finanziaria saudita, oltm al sostegno americano. Israele ha un assoluto bisogno degli aiuti economici americani, se vuole ass·orbire gli emigranti ebrei dell'Est europeo. In che misura gli americani dovranno usare queste armi di pressione, si vedrà dopo. Intanto qualcosa di nuovo è avvenuto. Per il Medio Oriente, tutto sommato, è già un motivo per essere meno pessimisti di prima.
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