Linea d'ombra - anno IX - n. 66 - dicembre 1991

cosa, come non la fanno i milioni di uomini che essi rappresentano. Non ravvisano nella loro esistenza qualche cosa di contingente; e non pensano nemmeno di eliminare la contingenza e di tramutare ciò che è stato loro gettato, in un "progetto" positivo. Sono senza confronto meno eroici dell'esistenza heideggeriana, senza confronto più fiduciosi, senza confronto più "realisti". Come non potrebbero ammettere che una seggiola o una casa "ci" siano semplicemente e ci siano "per nulla", così non ci pensano nemmeno a considerare la loro esistenza come un "nulla" o "da nulla". Anzi sono "metafisici", cioè non sono capaci di rinunciare al concetto di senso. L'espressione di Heidegger è l'esplicita detronizzazione del concetto di senso; Wladimir ed Estragon invece, poiché dalla loro aspettativa deducono che c'è qualche cosa di aspettato, sono i guardasigilli del concetto di senso in una situazione manifestamente insensata. Dire (come è stato fatto) che essi rappresentino dei "nichilisti" non è quindi soltanto errato, ma addirittura l'opposto di ciò che Beckett vuole dimostrare. Anzi, dato che, in fondo, non perdono la speranza, che non sono capaci di perderla, sono· ideologi ingenui e irrimediabilmente ottimisti. Ciò che Beckett ci presenta non è quindi nichilismo, ma l'incapacità dell'uomo di essere un nichilista persino in una situazione che non potrebbe essere più senza speranza di così. La desolante tristezza che emana dalla commedia_non deriva tanto dalla situazione sen~a speranza dei due eroi, ma in parte appunto dalla circostanza che essi non sono affatto all'altezza della situazione, perché continuano ad aspettare, cioè non sono nichilisti. Ea questa loro incapacità devono la forza della loro comicità. La commedia ha dimostrato nella sua pratica più che bimillenaria che non c'è nulla di più comico che la totale e cieca fiducia totalmente ingiustificata; per esempio con la sua predilezione per la figura del marito tradito, ossia dell'uomo che, nonostante sia evidente che si fida a torto, è incerto qual modo costituzionalmente impossibilitato a diffidare. E infatti Estragon e Wladimir sono suoi fratelli: somigliano a quei "maris imaginaires" della fiaba francese che, venuti al mondo quali "mariti nati", continuano ad aspettare ogni sera la venuta delle loro mogli, sebbene vivano su un'isola disabitata e non siano mai stati sposati. E simili a loro siamo evidentemente tutti noi agli occhi di Beckett. 4. Le prove dell'esistenza di Dio "ex absentia" No, non c'è una sola parola con cui Beckett indichi che debbano venire, che Godot esista e che verrà. Come è certo che il nome "Godot" adombra la parola inglese "God", Dio, così è assolutamente sicuro che la commedia non tratta di lui, ma soltanto del concetto di Dio; nessuna meraviglia dunque che l'immagine di Dio rimanga espressamente vaga: nei passi teologici è detto che non si sa che cosa faccia Dio; per sentito dire si presume che non faccia nullà; e la sola cosa che ha da annunciare il suo giovane messaggero, fratello del Barnaba kafkiano, che arriva ogni giorno, è appunto che Godot purtroppo non verrà oggi, ma che verrà sicuramente domani - con il che Beckett fa capire chiaramente che è proprio la mancata venuta di Godot che tien viva l'aspettativa e la fede in lui. "Vieni, andiamo." "Non possiamo." "Perché no?" "Aspettiamo Godot." "Ah, già." La somiglianza con Kafka è manifesta; è impossibile non pensare al Messaggiv dell'imperatore. Ma che si tratti o meno di SAGGI/ ANDERS una diretta derivazione letteraria non ha importanza, perché i due sono appunto des enfants du méme siècle; nutriti dalla medesima fonte preletteraria. Che di tratti di Rilke, di Kafka o di Beckett - paradossalmente la loro esperienza religiosa deriva sempre dall'inanità religiosa, da/fatto che non esperiscono Dio, dunque paradossalmente da un 'esperienza che condividono con la miscredenza. In Rilke, dall'irraggiungibilità di Dio (1, Elegia Duinese); in Kafka dall'irraggiungibilità nella ricerca (Il castello); in Beckett dall'irraggiungibilità dell'attesa. Le prove del1'esistenza di Dio suonano per tutti loro: "Egli non viene, dunque . egli è". "La parusia non avviene, dunque egli c'è." La negatività che conosciamo dallà "teologia negativa" sembra essersi trasferita qui nell'entità religiosa stessa, e con ciò aumenta a dismisura: se nella teologia negativa era stata soltanto l'assenza di attributi a essere impiegata per la definizione di Dio, qui invece è l'assenza di Dio stesso che viene assunta a riprova della sua esistenza. Non si può certo negare che non sia così per Rilke e per Kafka. Né si può negare che il motto di Heidegger, ripreso da Héilderlin, che dov'è il pericolo colà cresce anche la salvezza, -appartenga allo stesso genere di prova ex absentia. E vi appartengono anche le creature di Beckett. Le sue creature, non Beckett stesso, naturalmente. Perché, in quanto a lui, egli prende una posizione particolare; cioè non condivide la deduzione dell'esistenza di Godot dalla sua mancata venuta, che mette in bocca alle sue creature, anzi la fa apparire assurda. Dunque la sua commedia non è, certo, religiosa; tutt'al più tratta di religione. "Tutt'al più": perché ciò che rappresenta è, a dir il vero, solo la fede che non crede in null'altro che in se stessa. E questa non è fede. S. La vita diventa un modo di passare il tempo Se ci si domanda come "proceda" in concreto una tale vita disintegrata, ma non ripudiata, si domanda quale sia l'andatura del nostro tempo. Dico andatura perché (come sa l'uso linguistico) ciò che è impossibile non "va" più; o per esprimerci positivamen- . te: perché il tempo procede solo per quella vita che persegue essa stessa uno scopo e si dirige verso qualche cosa. Ed è proprio questo che la vita degli Estragon e dei Wladimir non fa più. Perciò la commedia di Beckett ha ragione di segnare il passo; perciò gli -avvenimenti e i discorsi cominciano a muoversi in circolo (come le comparse teatrali che escono di scena da sinistra e rientrano da destra per rappresentare passanti che si presumono sempre diversi); prima e dopo diventano come destra e sinistra, dunque temporalmente neutrali; dopo un poco il circolo diventa stazionario, il tempo sembra fermarsi e, se è consentito richiamarsi alla "cattiva infinità" di Hegel, diventa "cattiva eternità". Beckett sviluppa tutto ciò con tanta coerenza, che (cosa certamente senza precedenti nella storia del dramma) invece di un secondo atto, ripresenta il primo, seppure leggermente variato e, contro ogni aspettativa, non offre mai nulla di inaspettato ... con ciò non ottiene soltanto un effetto assurdamente sorprendente, ma provoca in noi quello sgomento che ci ispira l'amnesia ogni volta che l'incontriamo. Perché i suoi personaggi (a eccezione di uno) non sanno assolutamente nulla di questa ripetizione; e, anche quando gliefa si fa notare, continuano a essere incapaci di riconoscere in alcunché che quel che esperimentano e dicono è realmente soltanto la ripetizione di ciò che avevano esperimentato e detto ieri 69

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