Linea d'ombra - anno IX - n. 66 - dicembre 1991

IL CONTESTO Dopo la Conferenza di Madrid . Joaqu{n Sokolowicz 1 Le cose si sono messe in moto, un fatto di per sé importante ai fini di un regolamento arabo-is-raeliano, quali che siano il percorso e i tempi necessari - sicuramente molto lunghi - per arrivare al traguardo. È quello che volevano gli americani, i quali, per ottenere questo risultato, hanno investito tutto il peso della . superpotenza, l'unica rimasta nel mondo, con l'intenzione di sfruttare l'avvio per poi non interrompere indefinitamente la marcia. Gli israeliani si sono seduti a un tavolo con i palestinesi, a un altro con i libanesi per concessione dei siriani, a un terzo con i siriani stessi sia pure per non intendersi su nulla. Che il governo israeliano abbia accettato di partecipare a questi colloqui bilaterali nella capitale spagnola soltanto perché essi servissero a stabilire dove e come svolgere le trattative vere e proprie, che a loro volta i rappresentanti siriani e libanesi abbiano accettato esclusivamente per dire che intendevano negoziare. senza però spostarsi da Madrid, importa relativamente poco. È già µn successo per James Baker, nell'incancrenito conflitto mediorientale. "Cose che a noi possono sembrare di mera forma e marginali", ha detto il segretario di Stato americano ai giornalisti, "per i protagonisti rappresentano questioni sostanziali". Dopo la fase inaugurale, spettacolare sessione plenaria con i discorsi davanti alle telecamere del mondo, dovevano infatti avere inizio le trattative separate fra Israele e ciascuno dei suoi vicini che con questo paese si considerano in stato di belligeranza (Siria, Libano, Giordania). Gli israeliani volevano che tali trattative si svolgessero nei territori degli stessi partecipanti in tornate alterne, ossia di qua e di là della frontiera tra lo stato ebraico e il paese interlocutore: Gli arabi non accettavano invece una simile procedura che implicitamente avrebbe significato il riconoscimento del nemico storico, prima ancora dei negoziati che semmai a questo riconoscimento potrebbero approdare. I palestinesi poi non hanno un territorio sovrano sul quale confrontarsi con _gli israeliani su un piano paritario (anzi è ciò che rivendicano ora con le negoziazioni promosse dagli americani); l'accettazione del punto di vista israeliano sarebbe equivalsa a esautorare se stessi (sono i soci giordani a disporre dj un territorio nazionale). Quindi gli arabi, tutti, hanno proposto una sede neutrale, come poteva essere per esempio Madrid. "Questioni sostanziali", ha detto Baker. In effetti, a prescindere da presunte intenzioni (israeliane e siriane) di bloccare sul nascere il meccanismo al quale si sono visti spinti dagli americani a partecipare, di bloccarlo cioè con la contrapposizione inconciliabile circa la scelta del luogo per la seconda fase, ci sono apche motivi di merito. Israele vu0le instaurare relazioni di convivenza pacifica con i vicini arabi ma teme che questi sfruttino l' occasi on~ offerta dagli Stati Uniti soltanto per riavere i territori persi nella guerra del 1967 con gli israeliani, non per arrivare a una vera pace. Ecco perché Itzhak Shamir, il primo ministro, sostiene che l'obiettivo del processo diplomatico avviato è quello della "pace in cambio di pace". Formula, questa, opposta di fatto a quella della "pace in cambio di territori", enunciata dagli americanii appoggiata dall'opposizione interna israeliana e accolta con favore dagli arabi. Il regime siriano, però, teme che la propria rinuncia al rifiuto storico, ideologico, nei confronti dello stato ebraico, finisca per essere inutile; che cioè gli israeliani, forti del loro legame tradizionale con Washington, non restituiscano i · territori. Ed ecco perché~ alla vigilia dell'appuntamento di Madrid, da Damasco cominciarono ad arrivare avvertimenti pregiudiziali: niente negoziati se Israele non s'impegna prima ad abbandonare i territori occupati. Certo essersi presentati nella capitale spagnola ha significato che si è disposti, vol~nti o nolenti, a trattare. "L'importante è aver cominciato", ryannodetto e ripetuto gli uomini del Dipartimento di Stato durante i giorni della Conferenza madrilena. Osservare in quei giorni come e quanto si sono mossi i funzionari americani è stato davvero illustrativo di ciò che solitamente i giornalisti definiscono sbrigativamente "intensa attività diplomatica". I mediorientalisti che assistono Bakered eseguono i suoi ordini non si sono 'fermati un solo momento. Ross, Haass, Kurtzer e altri quindici i cui nomi sono ugualmente ignoti al pubblico, si sono divisi il compito di stabilirsi permanentemente in ognuno degli alberghi che ospitavano le varie delegazioni, hanno corso quand'è stato necessario dal Palace al Ritz e dal Riti al Princesa o al Victoria per "contatti" o riunioni di emergenza, si sono riuniti più volte al giorno con il segretario di Stato, hanno interrotto in più di un'occasione l'attività del loro capo - compresa una partita di golf, naturalmente - per riferirgli del1' esito di un tentativo o suggerirgli un qualche suo intervento personale. Baker, da'parte sua, parlava al telefono con il presiden- · te George Bush, chiedendogli di mettersi urgentemente in contatto con il siriano Hafez el-Assad e di premere su Assad anche indirettamente, attraverso l'egiziano Hosni Mubarak e Re Fahd dell'Arabia Saudita; al ministro degli Esteri sovietico, Boris Pankin, con lui a Madrid, faceva telefonare al presidente Michail Gorbaciov perché quèsti a sua volta chiamasse il capo siriano da Mosca. Tanto movimento per ottenere qualcosa che apparentemente ha i limiti degli aspetti meramente formali ma che da Washington è visto come la premessa di un confronto sostanziale. E che dai palestinesi presenti nella capitale spagnola è considerato un concreto progresso nella direzione dei loro obiettivi. La sera in clii il segretario di Stato americano ripartiva per Washington senza che nessuno sapesse quale sarebbe stato il seguito dei lavori madrileni; la professoressa Harian Hashrawi, portavoce palestinese, ha commentato ai giornalisti con tono riconoscente verso lo stratega di tutto questo processo diplomatico: "Vi pare che il signor Baker possa andarsene lasciando un lavoro fatto a metà?". Tre sono le ragioni per le quali gli Stati Uniti hanno deciso di non escludere il conflitto arabo-israeliano dal "nuovo ordirie mondiale" varato da Bush dopo la guerra del Golfo, nonostante le difficoltà a cui si sono dovuti arrendere altri presidenti americani. Una: Israele non riveste più l'importanza strategica che per decenni ha avuto nella considerazione del Pentagono, non esistendo già un'altra superpotenza capace d'intaccare il peso egemonico degli americani inMedio Oriente, e quindi non è ormai in s

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