ESSERE SENZA TEMPO A proposito di Aspeffando Godot di Beckett Giinther Anders traduzione di Laura Dallapiccola L'opera principale di Giinther Anders (Breslavia 1902) è senza dubbio L'uomo è antiquato, la cui prima parte (1956) venne tradotta da Il Saggiatore nel 1963, mentre la seconda è in corso di traduzione per BollatiBoringhieri. "Linea d'ombra" si è occupata spesso di Anders, e le spetta il merito di averlo riproposto all'attenzione del lettore italiano'. Nella nostra collana "Aperture" è uscito in un unico volume/ morti, seguito da Hiroshima è dappertutto, e usciranno presto Il pilota di Hiroshima e Essere o non essere. Ma abbiamo in programma anche un'impresa più ardua, la ripubblicaziòne della prima parte de L'uomo è antiquato, in due volumi. Da essa estraiamo intanto il breve saggio intermedio su Aspettando Godot. -X- -X- -X- -X- -XQuegli illuministi a rovescio, i quali ci vogliono persuadere che scoprire relemento religioso in ogni testo di valore letterario è più serio che scoprire la letteratura in ogni testo sacro, come facevano i nostri padri, fanno mo~tradi una straordinaria attività. Hanno appena finito di tormentare · . con la loro impaziente devozione la grande.opera di Kafka, e già cominciano ad affrontare il grottesco di Beckett, per rivestirlo di falsi panni curiali. Forse questa volta si farà in tempo a impedire le interpretazioni errate. Le osservazioni che seguono dimostreranno che non abbiamo nessuna intenzione di negare al lavoro la stima che si merita. 1. Si tratta di una parabola negativa Tutti i commentatori sono concordi che si tratta di una parabola. Ma mentre si discute accanitamente sull' interpretazione della parabola, nemmeno uno di coloro che discutono chi o che cosa sia•Godot, e che rispondono senza esitare alla domanda (come se vertesse sui primi elementi del nichilismo) "la morte" o "il senso della vita" o "Dio", si è preoccupato di indagare a quale meccanismo ubbidiscano le parabole, e quindi anche la parabola di Beckett. Il meccanismo si chiama "inversione". Quando Esop~ o La Fontaine volevano dire: gli uomi~i · assomigliano alle bestie - mostravano forse uomini simili a bestie? No. Scambiavano invece i due elementi dell'equivalenza, il soggetto e il predicato - e con ciò ottenevano quel divertente effetto di distacco, peculiare delle favole: cioè sostenevano che le bestie sono uomini. Brecht fece lo stesso venticinque anni fa, quando nell'Opera da tre soldi volle affermare che i borghesi sono briganti; anch'egli mise il soggetto al po~to del predicato e viceversa, presentò cioè i briganti come borghesi. Prima di affrontare la favola di Beckett bisogna aver capito questo qui pro quo degli autori di favole. Perché anche Beckettlo impiega. E anzi in maniera raffinatissima. Perché, per raccontare la favola di quell'esistenza che non conosce più forma o principio, e in cui la vita non sa più come andare avanti, egli distrugge la forma e il principio della favola: ossia la favola distrutta, che non va avanti, diventa la favola adatta a illustrare la vita che non va avanti. Se vogliamo dunque rirovesciare )'"inversione" di Beckett, troveremo che la sua parabola senza senso dell'uomo è la parabola dell'uomo senza senso. È vero: questa favola non corrisponde più all'ideale formale classico del genere favola. Ma, dato che è la favola di quella vita che non conosce più una "mòrale", e che non può più venir condensata in forma di favola, il suo difetto e il suo fallimento costituiscono appunto la sua morale; se si permette di essere incongruente, lo fa perché'l'incongruenza è il suo argomento; se si concede il lusso ' di non raccontare più un' "azione", lo fa perché tratta della vita che non agisce; se si arroga il diritto di non offrire più una "storia", lo fa perché mette in scena l'uomo senza storia. Nessuno vorrà negare che gli avvenimenti e i brandelli di discorsi con cui è messa insieme la commedia scaturiscono senza motivo, si interrompono senza motivo o si ripetono semplicemente (persino in modo così subdolo che spesso gli interessati non si accorgono neppure della ripetizione); perché l'assenza di motivi è motivata dall' argomento; e l'argomento è la vita che non conosce più né un motore né dei motivi. Sebbene sia, in certo qual modo, una favola negativa, pur tuttavia rimane una favola, come una fotografia di un'eclissi totale di sole rimane una fotografia. Se non altro perché si tiene pur sempre sul piano dell'astrazione, anche se non se ne può trarre alcun insegnamento. Se i romanzi degli ultimi 150 ànni si erano limitati a riprodurre semplicemente, raccontandola, una ,vita informe, essa rappresenta l'assenza diforma in quanto tale; e non soltanto questo suo tema è astratto, lo sono anche i suoi personaggi: i suoi "eroi" Estragon e Wladimir rappresentano "uomini in generale"; anzi sono "àstratti" nel senso più crudele della parola: cioè abstracti: sradicati, avulsi. Avulsi dal mondo, non vi hanno più nulla da fare, e non vi trovano quindi più nulla, perciò anche il mondo diventa astratto: perciò sulla scena non vi è_più nulla; nulla ali' infuori dell'attrezzo allegorico indispensabile per il senso della favola, cioè l'albero al centrò, il quale, a riscontro del biblico "albero della vita", rappresenta il mondo coine attrezzo permanentemente a disposizione per un eventuale suicidio, oppure l'equivalenza di "vita" e "non impiccarsi"./ due "eroi sono dunque ormai soltanto in vita e non più al mondo". E tutto ciò si è svolto con una coerenza tanto spietata che, al paragone, altre rappresentazioni di esistenze avulse dal mondo (e non scarseggiano nella letteratura, nella filosofia e nelle arti figurative contemporanee) appaiono addirittura confortanti. Franz Biberkopf di Doblin stava pur sempre in mezzo al vortice di quell'agitazione del mondo che non lo concerneva più minimamente; l'agrimensore K. di Kafka tentava pur sempre di penetrare nel suo "castello"; per non parlare dell'antenato della generazione odierna, di Michael Kohlhaas, che continuava-a battersi con questo mondo, anche se lo trattava come se fosse il regno kantiano della morale. In qualche modo tutti questi avevano ancora un "mondo"; troppo, e perciò non un mondo determinato, Biberkopf; speranza nel . mondo, K.; un mondo fallace, Kohlhaas. Non erano ancora arrivati al. non mondo. Soltanto le creature di Beckett vi sono arrivate. Soltanto nelle loro orecchie è ammutolito il frastuono dell'agitazione del mondo che aveva ancora stordito BiberkoJ?f; soltanto esse dimenticano persino di voler penetrare nel castello · del mondo; e soltanto esse hanno rinunciato a misurare il mondo con il metro di un mondo diverso. Va da sé che per raffigurare letterariamente o sul teatro questa reale assenza di mondo si richiedono mezzi inusitati. È venuta a mancare la possibilità di ricorrere all'elemento tragico, perché, dove non c'è mondo non ci può essere collisione con il mondo. O più esattamente: la tragicità di questa esistenza consiste nel fatto che neppure la tragedia· le viene più concessa, che è sempre anche tutta una farsa (e non 67
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