Linea d'ombra - anno IX - n. 66 - dicembre 1991

una franca spiegazione del rito sessuale), viene accompagnata a scuola dal padre yuppie. In definitiva, una stabile famiglia della borghesia nera che è l'epitome di quelle che sono da più di un secolo le aspirazioni sociali della razza. Potrà questo Eden durare? Soprattutto se lo scatto dell'azione verrà dal pendant negativo del film: il quartiere dell'etnia declassata di Bensonhurst, con le sue famiglie senza madri di italoamericani della classe operaia in cui padri anziani e delusi sfruttano con violenza figli e figlie. Questi i 'negri' della vicenda, in cui la casa dei Tucci è il doppio sconciato, l'antitesi della casa di Flipper. Ancora più, di quella dei genitori di Flipper stesso, qui interpretati da Ossie Davis e Ruby Dee: un'elegante austerità cullata dal gospel di Mahalia Jackson e incupita dal sermonizzare biblico sui peccati della carne del Buon Reverendo Doctor, il padre. Qui incontriamo il fratello maggiore di Flipper, Gator, crack-dipendente e in perenne ricerca di soldi: il cuore di tenebra della famiglia e il disperato 'altro nero' che Flipper non è diventato, né l'altro "fratello", Cyrus (SpikeLee), un po' il grillo parlante della vicenda. Ciò che muove il film non è tanto la scommessa, persa in partenza, di un futuro per l'attrazione transrazziale di Flipper e Angela, l'italiana di Bensonhurst e 'negra' nella propria famiglia di soli maschi, quanto la catena di reazioni cui essa dà corpo. C'è l'inarticolata esplosione di violenza sulla donna da parte del suo contorno maschile italoamericano, ma qui - per esempio -si differenzia il comportamento di un giovane italoamericano, ex di Angela e lui stesso sfruttato dal padre. E lui, Paul ie (John Turturro ), che legge negli eventi che il razzismo è sì fatto di colore ma soprattutto di economia: questa la reale iniquità del commercio delle pelli di cui implicitamente parla il film. C'è poi quella che resta, a mio parére, la sequenza più rivelatrice e inedita del film: la veglia di Drew e delle sue amiche, la loro analisi della relazione di Flipper e Angela, la franca esposizione - in termini di libertà e necessità, di desideri sessuali e costrizioni razziali - di un sano materialismo biologico-cultuWesley Snipes e Annabella Sciorra in JungleFever di Spike Lee. CONFRONTI raie, in cui il magnetismo imperante del membto nero (o 'Zulu dick') sta per tutto un convergere - proprio come indovina Himes in Primitivedi tensioni legate alla razza, alla classe, a colore, capigliatura. C'è poi la tragedia nel salotto buono dei genitori di Flipper: il padre ucciderà l'ombra del diavolo nella persona del figlio maggiore drogato impenitente: la pistola sarà, significativamente, posata sulla pagina aperta della Bibbia. E c'è un certo numero di 'viaggi' simbolici al centro di una nuova marginalità assimilata della comunità nera americana nella persona di Flipper e dei .suoi fratelli: il viaggio di Flipper dentro Angela e Bensonhurst; il viaggio di Flipper dentro la giungla del Taj Mahal, la fumeria di crack, alla ricerca del fratello Gator; il viaggio finale di Flipper e Cyrus - l'unico che rischia di essere senza ritorno, come fu quello di Yusuf Hawskins, il giovane nero che vi fu linciato da una banda di italoamericani e a cui il film è dedicato - a Bensonhurst, alla ricerca di Angela, dopo che questa ha deciso di tornare dal padre. Jungle Fever mostra bene la sovradeterminazione del contatto razziale nella società americana: una sovradeterminazione cresciuta su secoli di sfruttamento, mitologia e falsa scienza. Ma fa anche di più-forse qualcosa di cui c'è più bisogno ora: mostra che categorie sociali come "nero" e "bianco" sono tutt'altro che mutuamente esclusive, che insomma la supposta baiTiera culturale e psicologica fra gruppi etnici americani neri e bianchi non è altro che un altro mito del razzismo americano. Il film mostra, al contrario, che il rapporto fra nero e bianco in America - e perché no altrove - è un rapporto di continua fascinazione e interpenetrazione culturale e sociale. Qui la visione filmica di Lee è veramente fedele àlla lettura narrativa e politica di Himes, che interpreta la propria "terza generazione" dalla schiavitù come un'onda d'urto e sconvolgimento all'interno della stessa comunità nera. Se i bianchi ·odiano la gente nera, come uno dei personaggi del film afferma, proprio per il nero che hanno - e vogliono - dentro, è anche vero che i neri odiano aspetti del loro io culturale proprio perché la società non li lascia funzionare come persone (bianche). Ma lo sfruttan1ento della classe operaia bianca e lo stesso sfruttamento di Angela Tucci da paite degli uomini della propria famiglia sono la prova più 1isolutiva che la società crea negri anche in oasi etniche bianche còme Bensonhurst. Jungle Fever è dunque qualcosa di più e di diverso che non un semplice film sul razzismo bianco, è in realtà un'acuta esplorazione dello spazio liminale che congiunge, più che dividere, l'America nera con quella bianca. Lee usa per dircelo il mezzo simbolico del viaggio, lungo e rischioso, di Flipper e Cyrus da Harlem a Bensonhurst e ritorno (questo il sottotitolo del film, forse più efficace del pur incisivo Jungle Fever) e una serie di archetipi, con i personaggi più simili a tipi culturali allegorici che veri e propri individui. E l'uso dell'allegoria, insieme alJ'efficacissimo impiego di teste parlanti (brechtianamente in cammino) rivolte alla camera (Paulie e Angela, Flipper e Cyrus), serve a dare una fissità onirica quasi arcana al tipo di conflitto che i personaggi dicono - mezzo per suggerire di più e spezzare il quadro nairntivo realistico in cui molti films neri sono stati confinati finora (compreso il filone di 'blaxploitation'). Ed è per questo che il viaggio simbolico di Jungle Fever ha più di un punto in contatto con un film che ci è piaciuto meno, ma osserva le medesime leggi di apertura avanpopolare di cui si diceva all'inizio: Thelma e louise di Ridley Scott (l 991). Il viaggio simbolicodilungle Feverequello letterale alla 'road movie' di Thelmae louise: così sembra che il problema si ponga. In realtà c'è qualcosa di più anche qui. Thelma e louise è creatura stretta del discorso testuale che un Lee riconoscerebbe suo: quello che esplora solai·mente - qui il termine ultimo di confronto per le delusioni sofferte in una vita poco meno che abietta sarà il paesaggio del Grand Canyon - le ombre costruite da pregiudizio, sfruttamento e aperta violenza sul rapporto tra i generi, le classi, le persone individuali. Il viaggio di Thelma e Louise nasce, in fondo, da un'insofferenza - più critica in Louise - per il muro di· gomma dei rapporti - un'insofferenza che si carica di toni aspri e crudeli-finoall'omicidio. Un filmcome questo, nuovo anche nella filmografia di Scott, ha tutti i pregi e i difetti di un viaggio di scoperti! che non può che essere commisurato ai dati di partenza: stanze vuote di casa e una rosa con messaggio inascoltato, telefoni che trovano orecchi distratti ... il finale salto nel vuoto si accompagna a una visione volante di vecchie foto, un paniere per ricordi sul sedile posteriore. Un tocco da Spike Lee: un epifanico, flemmatico ciclista nero che ascolta musica reggae e ha capigliatura giamaicana manda uno sbuffo di fumo in uno dei buchi che fanno respirare un poliziotto chiuso nel portabagagli della sua auto dalle due donne. La mano di Lee, abile nel combinare umorismo e interessi politici più urgenti, avrebbe forse dato al viaggio di Thelma e Louise il disincanto perfino per il loro estremo gesto abissale, ragioni altre che quelle puramente esistenziali, che dicono che il regista non ha avuto del ~uttovoglia di inventare una spiegazione credibile, adatta al mondo in cui viviamo. 4'1

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