Linea d'ombra - anno IX - n. 66 - dicembre 1991

Fillmore. Big Fun. Poi più nulla. Il nero, il silenzio. Jack Johnson. La storia del jazz apriva il capitolo della sua serialità e scopriva l'avanguardia dura di Chicago: Braxton, Mitchell, Taylor. Aspettava l'esplosione dopo il "free" e noi aspettavamo il ritorno di Miles, m·agari a suo modo. Sì magari controtendenza. Tutti lì schiacciati tra dodecafonia e disco-dance? Tra Evan Parkere Travolta? Niente paura sarebbe arrivato Miles. Certo. Addavenì, magari con un altro quintetto base. Tremate, tremate le streghe son tornate! La pantera ... Scusate ma parlo di quello che so. Invece ancora una volta Miies faceva capolino da un'altra parte, proprio alle nostre spalle. Magari con la tromba puntata fra le nostre scapole per sussurrare You're· under arresi. Magari per darci una lezione scagliando una mediocre canzonetta della Lauper in un capolavoro dell'estetica postmoderna. Era la tromba di Miles, la sua voce di "motherless chi Id", quello che faceva la fortuna di Tutu e si prendeva il lusso di citarci dentro un piccolo "jingle" del bop. Tutto cambiato? Guardatevi intorno, adesso: è tutto cambiato? .Parlo della musica e di quello che so. Scusate. "Da ora in poi niente sarà più uguale a prima, non dopo In a silent way e Bitches Brew. Ascoltate. Come potrebbe essere ancora uguale?": Ralph Gleason su Bitches Brew. Ora, oggi, Miles è morto e mentre guardiamo fuori tutto sembra davvero lo stesso di sempre. Anche gli alberi hanno un'aria sospetta. You know what I mean? Resta la tromba di Miles. Quella che cambiava tutto sempre, la tromba "plugged" del più geniale bastian contrario del jazz. La tromba dei nostri sogni e dei nostri incubi. Sì, cambiava tutto ma restando se stessa. Anche solo con la voce dello strumento, l'intonazione, il vibrare dell'aria all'imboccatura prima ancora che diventi suono. Lasciateci ancora una volta i nostri dischi, la nostra storia del jazz. Miles non c'è più. Dobbiamo solo ringraziarlo. "Voglio innalzare uno specia_leringraziamento a Dio che mi ha lasciato vivere abbastanza per realizzare un sogno. A Miles Davis che ho conosciuto quando avevo 17anni, che prese a cazzotti lo spacciatore di eroina e disse che mi avrebbe ammazzato se l'avessi fatto ancora. L'avevo sempre voluto per la musica di ogni mio film e ora ce l'ho fatta": Dennis Hopper su The Hot Spot. Sì, lasciateci ascoltare. Volete un consiglio? Se l'avete, prendete Myfunny Valen.tineinconcert. Columbia 9106. Lato B. L'attacco di Stella by Starlight. Ascoltate attentamente. E ora: riuscite a capire perché quell'uomo, nel pubblico della New York Philarmonic Hall, grida così quando Miles chiude la cadenza d'apertura? Riuscite a capirlo? Ma forse parlo di èose che so soltjnto io. CONFRONTI Ilvitalismo malinconicodiMilesDavis Marcello Lorrai Miles Dovis in uno foto di Paolo Bensi (Perugia 1984). Morto Jimi Hendrix, nella prima metà degli anni Settanta, nessuno era stato così prepotentemente e lucidamente dentro lo spirito del proprio tempo quanto Davis, che aveva allora alle spalle già un quarto di secolo di carriera. Poi il lungo black out. Ma al principio degli anni ottanta Miles ritornava clamorosamente sotto i riflettori. Aveva ormai passato i cinquantacinque anni, eppure era di nuovo sulla cresta dell'onda, con quel tatto sconvolgente che consente a pochissimi di comunicare attraverso una forma artistica la sensazione penetrante e inconfondibile di un particolare periodo. Se si guarda al panorama della musica contemporanea, ci si accorge che Miles Davis è stato l'unico a riuscire a trovare un linguaggio per esprimersi al più alto livello in maniera specificamente pertinente ai Settanta e a riuscire poi però a ripetere l'impresa anche negli anni Ottanta. Con assoluta originalità, Davis si è collocato prima sulla lunghezza d'onda di Hendrix, poi di Prince. E come Prince è in un certo modo la continuazione di Hendrix con altri mezzi, lo stesso vale anche per la music dell'ultima fase davisiana rispetto alla precedente. Alla fine degli anni Sessanta, la sua svolta elettrica e l'exploit di Bitches Brew danno l'impulso decisivo alla voga del rock-jazz: ma la musica che Davis crea a partire da allora e fino al ritiro non può affatto essere collocata nell'alveo di quella corrente. Dopo la rottura del free, la vocazione del rock-jazz è complessivamente restauratrice e consolatoria. Davis invece, che dal free negli anni Sessanta si era tenuto a distanza, lo recupera dialettizzandolo con la black music e con altre suggestioni provenienti dall'avanguardia europea e dalla musica orientale in una sintesi inaudita, individuando la propria direzione di marcia sulla spinta di un'urgenza espressiva completamente autonoma e seguendola fino all'estremo limite. Quando abbandona la scena alla metà degli anni Settanta, la sua poetica è stata ormai portata alle ultime conseguenze, e bruciata completamente. Rispetto al Davis che riemerge nel decennio successivo, la sua inquieta attitudine visionaria di qualche anno primà è già storia, legata a doppio filo a un momento irripetibile. Non avrebbe senso riesumarla: Davis è un'artista troppo esacerbatamente sensibile all'esigenza di una stretta attualità della musica per accettare di attardarsi in una dimensione di anacronistica ripetizione. Il disagio, il rifiuto, la furia, il disprezzo delle convenzioni jazzistiche sono già stati detti: è l'ora di una positività non conciliata con l'esistente, che non è senza rapporto con l'evoluzione del mondo culturale neroamericano, e in sintonia con la filosofia di una "new power generation" predicata da Prince. Da questo punto di vista l'attualità del Davis che interloquisce con la black music e che prende dal pop quello che gli occoJTeè tutt'altro che spicciola, banale e opportunistica. Triviale è piuttosto il senso dell'attualità di chi negli anni ottanta, trattandolo con sufficienza, ha avuto il coraggio di rimproverare a Davis una mancanza di "novità" immediate, e di imputarg_li una so37

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