Linea d'ombra - anno IX - n. 66 - dicembre 1991

I CONFRONTI I tutta la mia gioia fresca di vita". L'impegno di Piero si affida adesso interamente ali' attività intellettuale, vivificata anche dal progetto, formulato in questi anni, di una storia della cultura piemontese che esprime il primo importante segnale della riappropriazione della sua identità di piemontese3. Pur nel contesto di un irrefrenabile attivismo, Piero lia trovato nel lavorouna ragione di quiete apparente: "Sono tranquillo perché esplico tutta la mia attività-Se lavorassi meno sarei malinconico, rimpiangerei il tempo perduto, in ira continua con me stesso". L'età della rivoluzione Il tono del carteggio muta bruscamente alla vigilia del fascismo. Dinanzi al precipitare della situazione politica, un senso di malinconia, di aridità, si impadronisce di Piero: riemerge, a distanza di anni, il problema di coordinare l'attività teorica con quella pratica. Egli ora avverte nel suo spirito di razionalista "una eredità storica non risolta". Alla storia che irrompe così prepotentemente nella sua vita privata si accompagna il tarlo dell'autocritica, che lo porta a giudicare inadeguati i punti di approdo culturali raggiunti nell'ultimo periodo e ne mette in dubbio, nuovamente, la capacità di intervenire sulla realtà ("la mia inferiorità sta nell'aver risolto il problema della mia espressione ma senza aver trovato la mia sintesi. Da questo equivoco può germogliare insieme con la chiarezza un fallimento ..."). Per mettere alla prova questa sua capacità4, e contemporaneamente per uscire dalla fase di riflessione, Piero fonda "La rivoluzione liberale", che arriverà a rappresentare nel giro di pochi numeri il principale organo di stampa nell'oppos~zione al regime fascista. Nel carteggio troviamo scarsi ragguagli sull'attività della rivista, non solamente per l'attenuarsi della consuetudine epistolare (si consideri che nel frattempo Ada e Piero si sposano), ma anche per un profondo mutamento intervenuto nella natura della corrispondenza, che non è più rivolta a un confronto delle esperienze ma si spinge sul terreno dell'introspezione. Dal dialogo di questi anni traspare comunque un senso di preoccupazione per le prove degli anni a venire. A Piero che denuncia un affievolimento dell"'ingenua fiducia mia nelle cose esterne", Ada tende a rimproverargli i limiti di un atteggiamento di incertezza e di aridità (termine da intendere, gobettianamente, come fuga da ogni forma eccessiva di compartecipazione emotiva). Mentre Piero promette alia sua compagna un atteggiamento "di fiducia reciproca, di reciproca conoscenza attraverso una serenità inquieta (corsivo mio) che ci impedisca di piegarci all'abitudine e al passato, come alle più penose ripetizioni e capricciose maniere", Ada rivendica la sua posizione di dipendenza nei rapporto di coppia: "Per te il mio amore( ...) è qualche cosa nell'organicità della tua vita( ...) Per me invece questo amore non è qualche cosa nella mia vita, è la mia vita stessa, è l'aria che io respiro, è la ragione per cui vivo". Nelle lettere di Piero e di Ada il, fascismo si presenta come un oscura minaccia, un'interferenza nella loro intimità affetti va. Ma alla fine stravolge il disegno della loro vita: "tutto si sfascia - scriveva Piero ad Ada nel 1922 - e la mia indipendenza lotta contro difficoltà assai più gravi di quelle generali e obbiettive". Il 3 febbraio f926 Piero parte per Parigi. "Nella città lontana" L idea di trasferirsi in un centro di cultura europea, per conferire al proprio lavoro un'impronta cosmopolita, si era affacciata nella mente di Piero ancor prima che egli fosse costretto a dare corso a questo progetto per via delle persecuzioni inflittegli dai fascisti. Le due settimtne di Parigi, dominate dalla ricerca di un alloggio e dall'insorgere della malattia che lo condurrà alla morte, rappresentano guindi la proiezione del suo ideale intellettuale. Mal' esilio raffigura anche la sconfitta. Nella sua morte a Parigi sarà possibile scorgere, come annoterà Ada in un suo diario (pubblicato in appendice al carteggio), quella "eroica e solitaria bellezza" cui egli nelle sue concezioni di vita tendeva. Tanto più solitaria in quanto Ada in questa fase non più compagna ma moglie, ne resterà lontana. L'ultima scommessa di Piero consiste nel proporsi come punto di incontro della cultura politica liberal-socialista, sondando nel contempo le migliori esperienze europee e promuovendo un rinnovamento delle correnti letterarie.L'esigenza di un taglio europeo era maturato in Piero dalla spinta a superare una dimensione provinciale latente nella sua formazione culturale. Non a caso l'ultimo periodo della sua febbrile attività è caratterizzato da una selezione dei temi e degli autori più rigorosa che in passato. In questo contesto mi pare significativa la riscoperta di Cattaneo, l'autore forse meno "nazionale" della letteratura politica italiana, in funzione di un recupero del filone risorgimentale di respiro europeo. Il confronto con la propria tradizione è come al solito lacerante, proprio in questa fase riaffiora in Piero la sua matrice torinese, così rievocata nel famoso brano di commiato scritto mentre abbandonava Torino: "lo sento che i miei avi hanno avuto questo destino di sofferenza, di umiltà: sono stati incatenati a questa terra che maledirono e che pure fu la loro ultima tenerezza e debolezza. Non si può essere spaesati". 5 · Questa nuova apertura di campo trova il suo modello nel progetto editoriale. Nella prospetti va gobettiana l'editore è un creatore, l'artefice del rinnovamento culturale. La casa editrice è dunque l'espressione organica di un movimento di pensiero e di cultura6 • La scelta di Piero presenta una ricaduta politica immediata. Il progetto editoriale che cercherà di esportare a Parigi infatti costituisce, oltre che l'ideale completamento di una scuola r di pensiero in formazione, anche il presupposto di un movimento di resistenza europea al fascismo. La necessità di prepararsi a una lunga lotta di resistenza derivava a Piero, profeticamente, dalla consapevolezza che il fascismo non rappresentava una parentesi della storia nazionale, ma una fase di riflusso del conflitto di classe, e dal timore di una internazionalizzazione di questo conflitto. Ma in questa sua ultima missione egli è ormai solo: lontano da Ada, costretta per la nascita del figlio a rimanere a Torino; sradicato dal suo mondo; disilluso dalla possibilità di ricostruire in tempi brevi un movimento di resistenza in esilio per via delle defezioni registrate nell'ambiente dell'antifascismo (basti pensare che nel momento della malattia gli è vicino il solo Prezzolini, che è tra gli amici quello politicamente più.distante). Le ultime lettere alla moglie, nella loro inevitabile laconicità, lasciano trapelare un senso di solitudine e di delusione, che solo la speranza di riprendere il lavoro riesce ad attenuare. Piero Gobetti muore a Parigi il 15 febbraio 1926, a 25 anni. Note I) In Ritratto di Piero Gobetti, trasfuso in N. Bobbio, L'Italia fedele. Il mondo di Gobetti, Passigli, Firenze, 1986. 2) Si rimanda qui al fondamentale numero di "Mezzosecolo" (7, 1987-89) dedicato ad Ada Gobetti. .3) Riprendendo un'osservazione di U. Morra da Lavriano (Vita di Piero Gobetti, Utet, Torino, 1984, p. 65): "Gobetti fuori dalla sua città sarebbe un Gobetti fuori dalla sua storia". 4) "Io ho delle debolezze, ma le mie debolezze, i miei sconforti cedono sempre di fronte a un momento di attività, non esistono più quando vedo l'attuarsi di qualche cosa di vivo, di grande, di spirituale" (P. Gobetti, Inizio di un diario, in L'editore ideale, Scheiwiller, Milano, 1966, p. 47). 5) Commiato, in P. Gobetti, L'editore ideale, cit., p. 87. 6) Cfr. M.A. Fra botta, Gobetti. L'editore giovane,H Mulino, Bologna, 1988. 33

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==