IL CONTESTO concetto di "opposizione": la proposta di Havel è di definire in senso assoluto con una scelta personale la propria figura morale, in base a valori positivi e non relazionali; per ciò egli non può accettare un concetto che "ha in sé qualcosa di negativo": l'oppositore "si definisce infatti in rapporto a una 'posizione', si rapporta quindi espressamente al potere sociale, e si definisce per suo tramite, deduce cioè la propria posizione dalla sua. È ovvio che gli uomini che hanno semplicemente deciso di vivere nella verità( ...) e di comportarsi in sintonia con il proprio iomigliore, non accettino che questa loro 'posizione' originale e positiva venga definita al negativo, mediatamente, e soprattutto che essi debbano considerarsi come coloro che sono contro questo e quello e non semplicemente come coloro che sono questo o quello" (op. cit., p. 51). Non intende, Havel, proporre una teoria dell'opposizione, ma piuttosto una fondazione in senso lato dell'atteggiamento comunemente chiamato "dissenso" (le virgolette rispondono alla diffidenza di Havel per un termine coniato in Occidente): con ciò essa non può e neppure vuole essere una teoria dello stato o del consenso; la sua efficacia si fermerà al di qua della soglia decisiva della presa del potere; il suo fine è mostrare come una singola testimonianza pratica di '_'vitanella verità" incrini il fondamento, il postulato universalistico del potere post-totalitario. In ciò Havel ha avuto ragione, la storia gli ha dato ragione, e per ciò il suo pensiero è divenuto un canone imprescindibile per chi voglia considerare il rapporto individuo-potere nelmondo contemporaneo. Tentare la costruzione di una teoria politica positiva su un presupposto metafisico e incontrollabile come quello designato con il concetto di 'verità' sarebbe quantomeno péricoloso; Havel ne è cosciente e si trattiene entro questo limite trascendentale. Ciò sembra però legittimarlo a un'azione politica spregiudicatamente svincolata da principi etici, una volta realizzata quella che lui chiama 'società aperta': Havel è lucidissimo a proposito del1' inanità del paradigma morale nella 'società aperta': "il confronto fra un migliaio di chartisti e il sistema post-totalitario sembra, da un punto di vista politico, senza speranza, finché lo guardiamo nell' ottica tradizionale del sistema politico aperto in cui ogni forza politica si presenta con una sua posizione sul piano del potere reale" ( op. cit., p. 34) e ancora: "i legami umani, quali la fiducia personale e la responsabilità personale non possono funzionare oltre un certo limite" (op. cit., p. 98). Havel ha oggi di fronte a sé uno stato, però, non le piccole strutture da lui sognate e in mancanza di una riflessione organica sul potere (straordinariamente opportuno il richiamo di Luciano Antonetti nella postfazione alla necessità di integrare Havel con Gramsci), quella delle piccole strutture 'aperte' rischia di essere un'utopia ambigua e paralizzante, in quanto proietta al di là dell'orizzonte ogni concreta possibilità di cambiamento rispetto ai modelli proposti dall'Occidente industriale. Ora quei modelli Havel stesso ha sempre aspramente criticato: "In concreto, non sembra che le tradizionali democrazie parlamentari siano in grado di fornire il modo per opporsi in linea di principio ali' 'autocinesi' della civiltà tecnologica e della società industriale e dei consumi; anch'esse sono travolte nel suo vortice e sono impotenti davanti a esso; solamente, il modo in cui manipolano l'uomo è infinitamente più delicato e raffinato di quello brutale del sistema post-totalitario. Ma tutto il complesso statico dei partiti politici di massa, ammuffiti, concettualmente verbosi epoliticamente attivi per fini propri, che dominano con il loro staff di professionisti e tolgono ai cittadini qualunque concreta e personale responsabilità; tutte le complesse strutture dei focolai di accumulazione del capitale che in segreto manipolano e si espandono; tutto l'onnipresente diktat del consumo, della produzione, della pubblicità, del commercio, della cultura consumistica e tutto quel diluvio di informazioni, ecco tutto questo - tante volte esaminato e descritto - 10 difficilmente può essere considerato come la strada futura che porterà l'uomo a ritrovare se stesso( ...) Sarebbe( ...) miope puntare sulla democrazia parlamentare tradizionale come ideale politico e cadere vittime dell'illusione che questa forma 'matura' possa garantire stabilmente all'uomo una condizione dignitosa e indipendente". Sarebbe dunque stato lecito aspettarsi una fuga a gambe levate del presidente dal gioco rappresentativo 'all'italiana' che la trasformazione in partito del Forum Civico ha messo in moto, tanto più se si pensa che la critica sociale di Havel investe tutto ciò che di comune (molto più di quanto non si accetti usualmente, ed è proprio Havel ad averlo mostrato) avevano il blocco socialista e quello occidentale e quindi, necessariamente, anche ciò che trionfa nei processi oggi in corso in Cecoslovacchia. Sembra di trovarsi di fronte al paradosso di un paese dove il dissenso - non l' opposiziohe - ha preso il potere e la difficoltà del governo degli affari sociali si risolve in un irrigidimento del sistema della rappresentanza: ben lontano dall'ingegneria istituzionale messa in cantiere nel 1968 che tentò di sostituire con un reale e complesso pluralismo sociale avanzato e con una crescita impressionante della libertà associati va la semplicità postulata dal carattere ideologico del dominio socialista. Si potrebbe sostenere che la cosiddetta Primavera di Praga era più haveliana dello stato governato da Havel; fu anche più efficace sul piano economico: i successi nella produzione e nel reddito furono tangibili e sono documentati (cfr. per esempio il saggio citato di Leoncini). Anche se non è difficile trovare, soprattutto a sinistra, cantori della necessità storica disposti a considerare una sconfitta militare come indispensabile conseguenza di un fallimento politico, si prova angoscia nel veder accantonare, senza ragione esplicita, un patrimonio così ricco di elaborazione democratica in politica costituzionale ed economica. Se la risposta alla sfida della complessità lanciata dalla società civile continua a essere·,ancora e sempre, la semplificazione nel rituale ideologico (sia pure di marca opposta rispetto al passato), se il rapporto fra i cittadini e le istituzioni continua a essere di estraneità e conflitto, se i modi del vecchio continuano ad affiorare nel "nuovo", se la promessa libertà politica si risolve in un caos di interessi privati in guerra fra loro senza controllo sociale, di fronte a un consistente e crescente peggioramento della qualità e delle condizioni materiali della vita, 4 si può incomincii;lrea temere l'affiorare di nostalgie per forme di potere "più semplici ed economiche". · Nella nuova societàdemocratica cecoslovacca va dissolto proprio il valore politico della "vita nella verità"; ciò che in fase critica è un organo fondamentale, si trasforma in un congegno che gira a vuoto entro un gioco di molte verità rispondenti a molti interessi: nella 'società aperta' il concetto di verità è desemantizzato, ogni verità può gridare .se stessa· senza effetti e le. categorie usate da Havel · mostrano una certa approssimazione. Verità ed etica si rivelano affilatissimi strumenti di critica (a patto di usarli, magari, come le costanti immaginarie in matematica), ma una volta ipostatizzati e innalzati a criteri positivi dell'agire politico, posti davanti al dominio della macchina statale, si rivelano insufficienti e pericolosamente duttili (per esempio li si è visti di recente ali' opera per cantare le lodi dei cannoni). Essi rivestono tuttavia una funzione decisiva di fronte a quella che Havel chiama 'autocinesi' (autoriproduzione) del potere politico e della civiltà industriale, a Est come a Ovest. Per questo l'opera intellettuale di Havel costituisce un riferimento fondamentale nella critica della politica, soprattutto là dove (certamente nella Cecoslovacchia comunista, verosimilmente nell'Italia democristiana) l'affermazione di valori morali nella politica e l'impegno civile sono costretti a ripartire da una difesa minima della legalità, davanti all'arroganza e alla volgarità del potere e delle sue manifestazioni pubbliche. Dell'Havel dissidente avremmo bisogno anche noi e, forse, persino di una Charta '91.
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