DICEMBRE1991· NUMERO66 LIRE10.000 mensile di storie, immagi SPED.IN ABB. POSTALEGR.111-70%.VIA GAFFURIO4. 20124 MILANO
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ELIZABETHVON ARNIM I CANI DELLAMIA VITA PIERREBROUÉ LARIVOLUZIONEPERDUTA VITADITROCKU 1879-1940 JEAN-PIERRECHANGEUX ALAINCONNES PENSIEROEMATERIA I ANDREWHODGES STORIADI UN ENIGMA VITADIAIAN TURING 1912-1954 BollatiBoringhieri Natale1991 SIGRIDDAMM CORNELIAGOETHE SIGMUNDFREUD «QUERIDOAMIGO... » I.ETTI:REDELIAGIOVINEZZAA EDUARDSILBERSTEIN 1871-ISbl ILCOLLEGIODISOCIOLOGIA 1937-1939 A CURADIDENISHOllJER CARLG.JUNG PSICOANALISIEPSICOLOGIA ANALITICA OPfREVOLUME15 LOSVILUPPODELLAPERSONALITÀ OPfREVOlUME 17 CLAUDIOPAVONE UNA GUERRACIVILE SAGGIOSTORICOSULLAMORALIT.À. NEllA RESISTENZA LUIGIPINTOR SERVABO MEMORIADI FINESECOlO RICHARDPOWERS TRECONTADINI CHEVANNO A BALLARE... ROMANZO EDWARDW. SAID ORIENTALISMO
Gruppo redazionale: Alfonso Berardinelli, Gianfranco Bettin, Grazia Cherchi, Marcello Flores, Goffredo Fofi (direttore), Piergiorgio Giacchè, Gad Lemer, Luigi Manconi, Santina Mobiglia, Lia Sacerdote (direzione editoriale), Marino Sinibaldi. Co/laboratori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Giancarlo Ascari, Fabrizio Bagatti, Laura Balbo, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Stefano Benni, Andrea Berrini, Giorgio Bert, Paolo Bertinetti, Francesco Binni, Lanfranco Binni, Luigi Bobbio, Norberto Bobbio, Giacomo Borella, Franco Brioschi, Marisa Bulgheroni, Isabella Camera d'Afflitto, Gianni Canova, Marisa Caramella, Caterina Carpinato, Cesare Cases, Roberto Cazzola, Francesco Ciafaloni, Luca Oerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetti, Peppo Delconte, Roberto Delera, Stefano De Matteis, Piera Detassis, Vittorio Dini, Carlo Donolo, Riccardo Duranti, Saverio Esposito, Bruno Falcetto, Giorgio Ferrari, Maria Ferretti, Ernesto Franco, Guido Franzinetti, Giancarlo Gaeta, Alberto Gallas, Nicola Gallerano, Fabio Gambaro, Roberto Gatti, Filippo Gentiloni, Gabriella Giannachi, Giovanni Giovannetti, Paolo Giovannetti, Giovanni Giudici, Bianca Guidetti Serra, Giovanni Jervis, Roberto Koch, Filippo La Porta, Stefano Levi della Torre, Mimmo Lombezzi, Marcello Lorrai, Maria Madema, Maria Teresa · Mandalari, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Roberto Menin, Paolo Mereghetti, Diego Mormorio, Maria Nadotti, Antonello Negri, Grazia Neri, Luisa Orelli, Maria Teresa Orsi, Pia Pera, Silvio Perrella, Cesare Pianciola, Giovanni Pillonca,-Bruno Pìschedda, Oreste Pivetta, Pietro Polito, Giuliano Pontara, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Fabrizia ·Ramondino, Michele Ranchetti, Marco Revelli, Marco Restelli, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Gian Enrico Rusconi, Nanni Salio, Paolo Scamecchia, Domenico Scarpa, Maria Schiavo, Franco Serra, Joaqufn Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Fabio Terragni, Ale1.sandroTriulzi, Gianni Turchetta, Federico Varese, Bruno Ventavoli, Emanuele Vinassa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi. Progetto grafico:· Andrea Rauch/Graphiti Ricerche redazionali: Alberto Cristofori, Natalia Delconte Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Pinuccia Ferrari Produzione: Emanuela Re Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Paola Bensì, Anna Cataldi, Carlo Cecchi, Massimo Cecconi, Lorenzo Fazio, Barbara Lanati, Stefano Losurdo, Assunta Mariottini, Maddalena Pugno, Fulvia Serra, Raffaele Venturini, le edizioni Milano Ubri, le agenzie fotografiche Contrasto, Bellis, Effige e Grazia Neri. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 - 20124 Milano Te!. 02/6691132. Fax: 6691299 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Te!. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie PDE- Viale Manfredo Fanti 91 50137 Firenze -Te!. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini 6 Buccinasco (Ml) - Te!. 02/45700264 Pellicole: Grafotitoli - Sesto S. Giovanni (Ml) LINEA D'OMBRA - Mensile di storie, immagini, discussioni. Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo mno% Numero 66 - Lire 10.000 LINEA D'OMBRA anno/X dicembre 1991 numero 66 4 5 7 11 15 17 27 31 Goffredo Fofi Joaqu[n Sokolowicz Luca Rastello Danilo Manera Stefania e Marcello Flores Erro/ Trzebinski Alfonso Berardinelli Pq.olo Varvaro ·········:r;:::::······· ·::::::::::::::::;::::::t({(:}f'.:::::::::}{)!i\t:r:::=:=··rr::: ::;:rrr ;:;:;:;····:::: :::::·.:·:=:-::;:::;.;:;:; -.-:-:-:-:-:•:;:;:::?)·=·i:;:;:;.;.;-:.;.:-:-::-:-:-:-:-:-:.;.::::: .-:-. La confusione tra media e.politica Dopo la conferenza di Madrid Cecoslovacchia: dilemmi e cadute del post-comunismo Bulgaria. Voltar pagina, come? ' Questione morale e pubblica amministrazione Un appello per l'elefante africano Commemorazione provvisoria del critico militante li carteggio di Ada e Piero Gobetti e F. Binni suHocus Pocusdi Vonnegut (a p.34), F. Bagatti e M.Lorrai su Miles Davis (ap.36), P.De/conte sui Canti degli operai torinesi (a p.38), G. Canova suRiff Raff di KenLoach (ap.39), F. Binni su Jungle Fever di Spike Lee (a p.40),A. Di Munno su Ana Miranda(a p.42). Gli autori di-questo numero a p. 94. 48 86 45 54 73 Mary Di Michele Bernardo Atxaga Elsa Moranle ]osé Munoz, Roberto Arlt William Faulkner Frida a cura di Riccardo Duranti, con una nota di Fabio Rodr{guez Amaya Poesie a cura di Sonia Piloto di Castri La casa dei sette bambini seguita da un Autoritratto '60 L'agonia del ruffiano malinconico con interventi su Arlt di Juan Carios Onetti, Julio Cortazar, Goffredo Fofi. La spilla Due racconti dal Mozambico, a cura di Livia Apa 91 Lu{s Bernardo Honwana Le mani dei negri 92 Suleiman Cassamo Laurinda, tu non ce la farai 81 Bret Easton Ellis Un mondo di violenza 88 Bernardo Atxaga 67 Giinther Anders a cura di Marisa Caramella Minoranze e dimenticanze a cura di Paolo Collo Essere senza tempo. Su Aspettando Godot di Beckett La copertina di questo numero è di Lorenzo Mattotti, dal Pinocchio da lui illustrato per le edizioni Milano Libri. Abbonamento annuale (11 numeri): ITALIA L. 75.000, a mezzo assegno bancario o c/c. postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra. ESTERO L. 90.000. I manoscritti non vengono restituiti. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Dei testi di cui non siamo stati in grado di rintracciare gli aventi diritto, ci dichiariamopronti a ottemperare agli obblighi relativi.
IL CONTESTO la confusione tra media e politica Goffredo Fofi menteomogenee, cioè togliattiane, tatticistiche, opportunistiche, familiste, e peggio quando più ideologiche, con gli occhi chiusi a ogni curiosità come a ogni capacità di giudizio verso ciò che la nostra realtà sociale è diventata, verso ciò che è diventata ( che loro ha·nno contribuito a far diventare) l'Italia. Ma unifica anche l'adunata alquanto grottesca dei "rifondatori" o il coacervo variamente mistificante che è il "Manifesto" e la quasi totalità, pur sempre corporativa, dei sindacati. Le uniche possibili fiducie è necessario collocarle altrove che nella "sinistra" Non mi sembra si rifletta abbastanza su un aspetto dell'attuale situazione politica e del suo sfascio, dentro la lenta agonia della prima Repubblica: l'amalgama progressivo, la fusione e confusione tra politica e media, in particolarè tra politica e televisione, o meglio, e in generale, tra politici e . giornalisti. Mi spiego le reticenze sull'argomento con una ragione semplice semplice: chi potrebbe e dovrebbe parlarne se non i giornalisti, o quantomeno gli "opinionisti", per esempio i politologi e sociologi che si sono fa~tigiornalisti? Il paradosso è evidente: tra i principali accusatori dell'attuale regime ci sono, per esempio, dal. lato" politica", addirittura il presidente della Repubblica,e dal lato "giornalismo" molti degli astri del firmamento mediologico, di coloro.che l'hanno fatto quale esso è, e Pansa, per esempio, si è di recente concesso di scrivere un libro che si intitqla/l regime! Non che non vi si dicano anche cose giuste, per carità, così come qualcosa di giusto capita di sentir dire anche dalla bocca del senza-vergogna Cossiga. Ma da quali pulpiti! Il moralismo fatto dai responsabili della dilagante immoralità collettiva, dai maestri·dell'immoralità pubblica, è forse l'aspetto più nauseabondo, o uno deLpiù nauseabondi, dell'epoca in cui viviamo; con la conseguente difficoltà che ne deriva - per chi una morale ancora ce l'ha davvero e non intende cessare di applicarla. anche dicendo e scrivendo e analizzando e denunciando - di distinguersi da ciò che dicono i procuratori di corruzione/ spacciatori di morale. Dei molti modi possibili di imbiancare i sepolcri, è questo il più diffuso e ripugnante. Oggi tutti i personaggi importanti della politica e dei media cavalcano la tigre (ammaestratissima) del consenso tramite morale, con la sola variante di una interna rissositi1 ora autentica e ora, nella maggior parte dei casi, solo recitata. Ci sono dunque differenze rispetto al passato, anche a un passato molto recente. Sapevamo, ovviamente, e tutti hanno cominciato a saperlo da tempo, che i I 4 problema del potere all'interno delle democrazie nominali lo si gioca - Usa docent- sul piano del consenso, della formazione e del controllo e della manipolazione del consenso. Ma siamo, oggi, in assenza di schieramenti determinati- da interessi realmente divergenti, cioè di classe; in presenza di una dominante piccolo-bor-. ghese che ha attraversato e congiunto molti strati diversi, almeno culturalmente; in attesa che, le contraddizioni più gravi si aprano davvero. E dipenderà dagli scenari internazionali, dalla nostra collocazione mediterranea, dal grado di tolleranza dell'Europa nei nostri confronti, dai conflitti Nord-Sud in patria e nel mondo, dai destini dell'economia mondiale, dal grado di mascalzonaggine o imbecillità dei nostri governanti (e del nostro popolo), eccetera. Siamo in condizione di assenza di opposizione, di totale rientro dei' Pds hell' area del palazzo o nei suoi anfratti e c,1ntine,e all'interno di quel partito di fronte alla vittoria di una tradizione che è la stessa, balor'dissima, che unifica nello stesso marchio culturale le cor,renti del partito, sostanziaiUna vignettadi Bucchi, da "la Repubblica"del 19-11-91. . ufficiale e nelle sue organizzazioni: in quegli operatori sociali di varia collocazione ma .che credono ancora nel "ben fare", oppure nel ramificato ( anche per buona parte "ricuperabile") campo del volontariato. È poco, è molto poco. E- ma per fortuna, a vedere cosa sono - non esistono organizzazioni politiche in grado di rappresentarequesti ambiti così settoriali. Ecco dunque che il gioco del potere si sposta tutto sul campo del · consenso, ecco che il consenso è la posta centrale, che il consenso è, per i politici, tutto. Così i politici si fanno giornalisti e invadono il piccolo schermo, i giornalisti si fanno politici e discettano alla pari con quelli, da rivali più che da alleati. E tutti tuonano di stare "dalla parte della gente comune" (diomio, riecco la gente comune!) e degli "onesti". E ogni gang è una gang di onesti. La più generica e facile delle opzioni ma anche la I GRANDISONDAGGI Chi v:orreste, aù. potere)? Qualcw,o •~--;:~! ~c•:rogetto ------ più fasulla - costa così poco dichiararsi onesti, lo fannq tutti i ·commercianti dell'angolo, lo fa perfino la famiglia Agnelli - tendente a Ùna differenziazione dal- !' andazzo collettivo e da quello di palazzo, viene invocata e utilizzata dai politici e dai giornalisti: tutti , anche i più ladri, anche i più bugiardi, dalla parte degli onesti, per il "partito degli onesti". Pera!- · tro, in un paese di morale assai lasca, e di disonestà dilagata, può perfino capitare che il "partito degli onesti" venga preso e si prenda sul seriò, e cresca. Un look vale l'altro, se serve, e se è mera copertura. Non ci sono più differenze tra media e politica? Il potere si squaglia e riassoda giornalmente e il "quarto potere" non si distingue più, è un pezzo centrale della · politica. La sua autonomia l'ha conquistata perdendo la sua possibile funzione e la sua dignità, perdendo in definitiva proprio la sua autonomia. Non mi par necessario fare esempi, infierire. Ma è necessario ricordare come in questa collettiva strategia di sopravvivenza di un blocco di potere il terreno privilegiato dello scontro sia diventato, più ancora che quello dei giornali, quello della Tv. Tutti si sono accorti che è per quel tramite che passa oggi il consenso, e tutti ne vogliono la loro fetta, altrimenti c'è il rischio della penaliz-zazione elettorale per i partiti, della perdita di prestigio per il singolo. Come modo del consenso il clientelismo ha fatto forse il suo tempo? No, non l'ha fatto, ma il clientelismo è moneta così corren- _te,coinvolge tutti (anche i disastrati composti delladecomposizione dei movimenti, tipo verde e altri arco-· baleni) ed è insufficiente se non è accompagnato dalla nobilitazione dello scontento che si fa consenso. Le grandi battaglie della sopravvivenza trasformistica hanno il loro campo, oggi, prevalentemente nella televisione, e la lotta è per il controllo dei suoi spazi. Ne deriva una nostra diffidenza ancora più grande per il sistema dei media, e la necessità di una presenza alternativa, morale e non morali'stica, che si farà presumibilmente sempre più minoritaria - per la crescente forza manipolatrice dei media e della Tv, per la crescente stupidità dei suoi utenti, per il crescente coinvolgimento e squacqueramento della cosiddetta sinistra.
IL CONTESTO Dopo la Conferenza di Madrid . Joaqu{n Sokolowicz 1 Le cose si sono messe in moto, un fatto di per sé importante ai fini di un regolamento arabo-is-raeliano, quali che siano il percorso e i tempi necessari - sicuramente molto lunghi - per arrivare al traguardo. È quello che volevano gli americani, i quali, per ottenere questo risultato, hanno investito tutto il peso della . superpotenza, l'unica rimasta nel mondo, con l'intenzione di sfruttare l'avvio per poi non interrompere indefinitamente la marcia. Gli israeliani si sono seduti a un tavolo con i palestinesi, a un altro con i libanesi per concessione dei siriani, a un terzo con i siriani stessi sia pure per non intendersi su nulla. Che il governo israeliano abbia accettato di partecipare a questi colloqui bilaterali nella capitale spagnola soltanto perché essi servissero a stabilire dove e come svolgere le trattative vere e proprie, che a loro volta i rappresentanti siriani e libanesi abbiano accettato esclusivamente per dire che intendevano negoziare. senza però spostarsi da Madrid, importa relativamente poco. È già µn successo per James Baker, nell'incancrenito conflitto mediorientale. "Cose che a noi possono sembrare di mera forma e marginali", ha detto il segretario di Stato americano ai giornalisti, "per i protagonisti rappresentano questioni sostanziali". Dopo la fase inaugurale, spettacolare sessione plenaria con i discorsi davanti alle telecamere del mondo, dovevano infatti avere inizio le trattative separate fra Israele e ciascuno dei suoi vicini che con questo paese si considerano in stato di belligeranza (Siria, Libano, Giordania). Gli israeliani volevano che tali trattative si svolgessero nei territori degli stessi partecipanti in tornate alterne, ossia di qua e di là della frontiera tra lo stato ebraico e il paese interlocutore: Gli arabi non accettavano invece una simile procedura che implicitamente avrebbe significato il riconoscimento del nemico storico, prima ancora dei negoziati che semmai a questo riconoscimento potrebbero approdare. I palestinesi poi non hanno un territorio sovrano sul quale confrontarsi con _gli israeliani su un piano paritario (anzi è ciò che rivendicano ora con le negoziazioni promosse dagli americani); l'accettazione del punto di vista israeliano sarebbe equivalsa a esautorare se stessi (sono i soci giordani a disporre dj un territorio nazionale). Quindi gli arabi, tutti, hanno proposto una sede neutrale, come poteva essere per esempio Madrid. "Questioni sostanziali", ha detto Baker. In effetti, a prescindere da presunte intenzioni (israeliane e siriane) di bloccare sul nascere il meccanismo al quale si sono visti spinti dagli americani a partecipare, di bloccarlo cioè con la contrapposizione inconciliabile circa la scelta del luogo per la seconda fase, ci sono apche motivi di merito. Israele vu0le instaurare relazioni di convivenza pacifica con i vicini arabi ma teme che questi sfruttino l' occasi on~ offerta dagli Stati Uniti soltanto per riavere i territori persi nella guerra del 1967 con gli israeliani, non per arrivare a una vera pace. Ecco perché Itzhak Shamir, il primo ministro, sostiene che l'obiettivo del processo diplomatico avviato è quello della "pace in cambio di pace". Formula, questa, opposta di fatto a quella della "pace in cambio di territori", enunciata dagli americanii appoggiata dall'opposizione interna israeliana e accolta con favore dagli arabi. Il regime siriano, però, teme che la propria rinuncia al rifiuto storico, ideologico, nei confronti dello stato ebraico, finisca per essere inutile; che cioè gli israeliani, forti del loro legame tradizionale con Washington, non restituiscano i · territori. Ed ecco perché~ alla vigilia dell'appuntamento di Madrid, da Damasco cominciarono ad arrivare avvertimenti pregiudiziali: niente negoziati se Israele non s'impegna prima ad abbandonare i territori occupati. Certo essersi presentati nella capitale spagnola ha significato che si è disposti, vol~nti o nolenti, a trattare. "L'importante è aver cominciato", ryannodetto e ripetuto gli uomini del Dipartimento di Stato durante i giorni della Conferenza madrilena. Osservare in quei giorni come e quanto si sono mossi i funzionari americani è stato davvero illustrativo di ciò che solitamente i giornalisti definiscono sbrigativamente "intensa attività diplomatica". I mediorientalisti che assistono Bakered eseguono i suoi ordini non si sono 'fermati un solo momento. Ross, Haass, Kurtzer e altri quindici i cui nomi sono ugualmente ignoti al pubblico, si sono divisi il compito di stabilirsi permanentemente in ognuno degli alberghi che ospitavano le varie delegazioni, hanno corso quand'è stato necessario dal Palace al Ritz e dal Riti al Princesa o al Victoria per "contatti" o riunioni di emergenza, si sono riuniti più volte al giorno con il segretario di Stato, hanno interrotto in più di un'occasione l'attività del loro capo - compresa una partita di golf, naturalmente - per riferirgli del1' esito di un tentativo o suggerirgli un qualche suo intervento personale. Baker, da'parte sua, parlava al telefono con il presiden- · te George Bush, chiedendogli di mettersi urgentemente in contatto con il siriano Hafez el-Assad e di premere su Assad anche indirettamente, attraverso l'egiziano Hosni Mubarak e Re Fahd dell'Arabia Saudita; al ministro degli Esteri sovietico, Boris Pankin, con lui a Madrid, faceva telefonare al presidente Michail Gorbaciov perché quèsti a sua volta chiamasse il capo siriano da Mosca. Tanto movimento per ottenere qualcosa che apparentemente ha i limiti degli aspetti meramente formali ma che da Washington è visto come la premessa di un confronto sostanziale. E che dai palestinesi presenti nella capitale spagnola è considerato un concreto progresso nella direzione dei loro obiettivi. La sera in clii il segretario di Stato americano ripartiva per Washington senza che nessuno sapesse quale sarebbe stato il seguito dei lavori madrileni; la professoressa Harian Hashrawi, portavoce palestinese, ha commentato ai giornalisti con tono riconoscente verso lo stratega di tutto questo processo diplomatico: "Vi pare che il signor Baker possa andarsene lasciando un lavoro fatto a metà?". Tre sono le ragioni per le quali gli Stati Uniti hanno deciso di non escludere il conflitto arabo-israeliano dal "nuovo ordirie mondiale" varato da Bush dopo la guerra del Golfo, nonostante le difficoltà a cui si sono dovuti arrendere altri presidenti americani. Una: Israele non riveste più l'importanza strategica che per decenni ha avuto nella considerazione del Pentagono, non esistendo già un'altra superpotenza capace d'intaccare il peso egemonico degli americani inMedio Oriente, e quindi non è ormai in s
IL CONTESTO grado di dettare condizioni. Due: negli Stati Uniti la comunità ebraica, significativo fattore elettorale, non è più univoca nell' appoggio alla politica israeliana da quando a Gerusalemme è in carica un governo ultranazionalista e di estrema destra. Tre: la crisi e la guerra del Golfo hanno donato a Washington alleanze arabe-mediorientali rafforzate e un rapporto di collaborazione anche con la Siria (ex protetta da Mosca). A Madrid, Baker e i suoi uomini hanno avuto la permanente collaborazione operativa del ministro degli Esteri egiziano, Amr Mussa, e dell'emissario dell'Arabia Saudita, Hamer Feisal. Sia Il Cairo che Riad, presumibilmente, condividono le preoccupazioni siriane circa la volontà del governo israeliano di tenersi i territori occupati; del resto tale volontà non è del tutto un segreto: nella capitale spagnola, il viceministro degli Esteri, Benjarnin Netanyahu, ha dato delle risoluzioni 242 e 338 dell 'Onu l'interpretazione ultimamente suggerita a Gerusalemme dalla versione inglese di questi documenti ("ritiro da territori", e non "dai") secondo cui Israele, avendo restituito oltre il novanta per cento delle aree occupate quando ha lasciato la penisola del Sinai all'Egitto, non sarebbe tenuto ad abbandonare altro. Quello che egiziani e arabisauditi chiedono al regime di Damasco è di fidarsi degli Stati Uniti, non più filoisraeliani senza riserve, interessati oggi a un nuovo assetto mediorientale in cui siano superati i fattori d'instabilità. Fattore storico d'instabilità è la questione palestinese. Per i palestinesi, la fase inaugurale della Conferenza è stata un successo. Hanno partecipato ai lavori di fatto comé parte autonoma, anche se formalmente presenti come componente della delegazione giordana. Le loro rivendicazioni hanno occupato il centro dei temi discussi dai negoziatori, stavolta sotto il patrocinio della superpotenza mondiale, e diffusi dalla stampa. Per la prima volta il pubblico americano ha ricevuto dai teleschermi un'immagine palestinese che nulla aveva a che vedere con il terrorismo né con L'arrivo dei palestinesi alla Conferenza di Madrid (foto di Malias Nieto/Cover/Contrasto). propositi rivoluzionari, un'immagine che aveva i tratti sofferti e dignitosi, intelligenti e moderati, di una donna ins~gnante di letteratura inglese, di un intellettuale di Gerusalemme orientale e di un anziano pediatra di Gaza. Fin dalla guerra del Golfo, Baker aveva puntato su questi rappresentanti delle popolazioni dei territori occupati; dopotutto, Israele diceva che avrebbe negoziato soltanto con esponenti di tali popolazioni, non con l'Olp, il cui vertice guidato da Arafat si era intanto autoescluso da un processo diplomatico per avere appoggiato Saddam Hussein durante il conflitto (in realtà, per la precisione, non è stato capace di sganciarsi dal capo iracheno al momento opportuno). Ora, è risaputo che Hanan Hashrawi e Feisal el-Husseini e gli altri palestinesi arrivati a Madrid hanno avuto l'avallo dell' Olp; addirittura il capo delegazione, il vecchio medico Chafi, nel suo discorso alla seduta plenaria ha accennato al "presidente Arafat" e ricordato risoluzioni adottate dal "Consiglio Nazionale Palestinese", il Parlamento dell'organizzazione il cui nome era vietato pronunciare. Tuttavia gli israeliani non hanno abbandonato la Conferenza.L'offensiva diplomatica americana li costringe, anzi, a prendere atto della realtà: un diplomatico della delegazione israeliana, a proposito della risposta da dare alla rivendicazione palestinese di uno Stato, diceva in via riservata che il suo governo è disposto a dare una risposta positiva. Cioè? "Tutto, meno un esercito". · Che a Gerusalemme i governanti si sentano costretti ad affrontare il problema è un segnale del successo politico palestinese, in questa circostanza: È noto a tutti che la risposta a cui è disposto il governo che comprende i fautori della permanenza definitiva sulla terra d'Israele storica non è quella attesa dai palestinesi ma riguarda tutt'al più un'autonomia che non intaccherebbe la sovranità israeliana. L'ex generale Sharon, ministro dell'Edilizia, ripete a ogni inaugurazione di un insediamento nei territori occupati: "Qui c'eravamo già 4.000 anni fa". Non è invece noto lo scopo del capo siriano, ma lo si può presumere. Damasco ha cominciato a difendere, ultimamente, il diritto palestinese a un territorio nazionale; non aveva mai, in· passato, fatto chiaramente una simile difesa, perché da sempre il regime ha sperato nella rinascita della Grande Siria, di cui la Palestina fece parte sotto l'Impero ottomano. Ora Assad ha cambiato corda e fatto la pace con Arafat, da lui per anni combattuto senza risparmio di mezzi. Sembra èli capire dal- ! 'esempio del Libano, divenuto un protettorato siriano con l'assenso tacito degli Stati Uniti e dei regimi "fratelli", che l'astuto capo di Damasco voglia presentarsi come campione dell' indipendentismo palestinese, viste le nuove circostanze internazionali, per tentare poi di fagocitare anche quest'altro piccolo e debole Stato che oggi si vuole istituire. Molte cose succederanno prima che si possa sancire la pace progettata da Baker. Assad è imprevedibile, mentre in Israele gli ultranazionalisti sembrano disposti anche a scatenare la violenza intestina pur di impedire il distacco territoriale. È vero che neanche gli americani, pur padroni del mondo, sono onnipotenti, ma hanno armi efficaci. Il regime siriano rischia, se si opponesse ai disegni di Washington, l'isolamento internazionale; non ha più la protezione sovietica e potrebbe perdere la necessaria assistenza finanziaria saudita, oltm al sostegno americano. Israele ha un assoluto bisogno degli aiuti economici americani, se vuole ass·orbire gli emigranti ebrei dell'Est europeo. In che misura gli americani dovranno usare queste armi di pressione, si vedrà dopo. Intanto qualcosa di nuovo è avvenuto. Per il Medio Oriente, tutto sommato, è già un motivo per essere meno pessimisti di prima.
IL CON,:,ESTO Follo praghese o un comizio di Hovel i 1990; foto Sherbell/Sobo/Controsto). Cecoslovacchia: dilemmi e cadute del post-comunismo Luca Rastello Il portavoce della Commissione governativa per la purificazione compare in pubblico per dichiarare che chi è sospetto "è bene che si dimetta dagli incarichi anche se è innocente, perché se invece contesterà le accuse, solleverà dubbi sull'intera opera di epurazione". Fonti ufficiali informano, però, che per sette dollari la Commissione stessa pone in vendita certificati di "Purezza" che mettono al riparo da provvedimenti punitivi. E intanto gli archivi dell'antica polizia segreta - onnipotente, temutissima, ben· celebrata in letteratura - si aprono per scaricare raffiche di nomi sospetti, collaboratori, anche se involontari, del vecchio regime: le memorie cartacee di quella che fu l'espressione istituzionale violenta della menzogna diventano criterio della verità e le ombre lunghe del sospetto, del ricatto istituzionale ("se ti dimetti da solo taceremo sul tuo passato") o privato, tornano a scorrere nelle strade della capi tale; la delazione, la diffidenza, l'inquietudine reciproca tornano a essere la normale misura delle relazioni umane. Il passato liquidato si vendica imponendo i suoi modi alla rivoluzione vittoriosa; il presidente drammaturgo, l'ex carcerato, simbolo della moralità vincente sul meccanismo della politica, esita un po', esortato dai vecchi compagni a non ratificare una ~gge iniqua, coglie l'irònia del caso, dichiara quasi a fior di labbra: "Uno riesce a uscire indenne dal comunismo e all'improvviso si accorge con terrore di non essere ancora in salvo". E poi firma. "Non posso permettermi un gesto che potrebbe condurre al confronto e al caos"; firma, ma prende in considerazione per il futuro la possibilità di emendamento .. Senza scomodare l'ombra sesquipedale di Kafka, potrebbe essere la trama di uno di quei drammi dèll' assurdo che diedero qualche notorietà allo scrittore dissidente Vaclav Havel. È invece un frammento di cronaca recente dal travagliato paese della "rivoluzione di velluto", la Cecoslovacchia del presidente Vaclav Havel, eletto a furor di popolo in nome della sua eroica resistenza al regime totalitario abbattuto nel 1989. Si parla (il ricorso di un'espressione di recente notorietà ha qualcosa di sinistro) di "operazione chirurgica", a proposito della legge sull'epurazione (il termine lustrace è meglio tradotto con "purificazione") che prevede la destituzione da ogni incarico pubblico dei funzionari e dirigenti del partito comunista in carica fino al dicembre 1967 o dopo il primo maggio 1969: gli stessi limiti temporali indicano l'arbitrarietà, se non la matrice ideologica del provvedimento che, secondo le stime di Alexander Dubcek, colpirà quasi un milione di persone, fra cui la maggior parte dei dirigenti del "nuovo corso" sessantottesco, noti dissidenti e oppositori al regime realsocialista, addirittura fondatori di Charta '77, artefici della rivoluzione del no7
IL CONTESTO vembre 1989. L'epurazione peraltro non si preoccupa troppo di mascherare il suo volto di caotica caccia alle streghe condotta con mezzi non solo leciti, nel quadro di un gioco politico "all'italiana" in cui, per .esempio, i dossier della polizia politica comunista, scomparsi dopo 1'89, ricompaiono periodicamente, secondo l'opportunità politica, a stroncare carriere e liberare incarichi di governo. In questa lotta politica che sarebbe eufemistico definire spregiudicata riceve paradossale nuova vita la vecchia polizia segreta, come fa notare lo storico Jan Havranek; la reptJfazione di centinaia di migliaia di cittadini è di nuovo legata ai suoidocumenti segreti; i metodi e la psicologia del vecchio regime agitano la politica del nuovo e le analogie non si fermano al caso della legge . sull'epurazione. in questo contesto la figura di Havel, signore o prigioniero nel castello di Praga, assume tratti da sfinge, quasi sbalorditivi se si legge la realtà politica di questo primo biennio di governo democratico alla luce della sua riflessione politica e civile, esposta per esempio in Il potere dei senza potere (Garzanti, Milano 1991). Colpisce per esempio l'avallo silenzioso del presidente alla'svolta partitica, nel gennaio '91, del Forum Civico: la trasformazione di un cartello elettorale aperto, organizzato intorno a un programma elettorale elaborato da tutte le forze che avevano concorso all'abbattimento del regime nel 1989, in un partito politico in senso proprio di orientamento conservatore, con l'espulsione o l'emarginazione di tutta la sinistra interna, rion solo comunista, ma anche socialdemocratica e persino liberale. È difficile non vedere nella rete di qùelli che furono chiamati i "Forum civici dal basso", protagonisti del!' 89, un abbozzo di quegli organi di controllo della società civile sul potere statale teorizzati da Havel, un embrione di quell'"autonoma vita spirituale s0ciale e politica della società" organizzata in un sistema di piccole strutture aperte, nate dal basso in relazione a concreti bisogni sociali e quindi provvisorie, pronte a scomparire insieme alle esigenze che ne avevano determinato la .nascita; quelle cellule civili aliene da ogni fine di occupazione di potere, dirette da uomini scelti in base alle loro competenze e non all'appartenenza a uno schieramento politico, intrecciate in una rete economica fondata sul principio di autogestione di cui si legge nelle pagine de Il potere dei senza potere. Nel pensiero di Havel quelle sedi aperte di confronto politico dovevano essere l'espressione sociale e civile di quella "vita nella verità" che costituisce il . cardine della sua riflessione e della sua pratica d'opposizione, il nodo di una contrapposizione radicale al sistema da lui definito post-totalitario (termine con cui designava i socialismi reali), una contrapposizione di carattere essenzialmente morale, centrata sul- !' affermazione di una diversità che investe la vita privata e il comportamento personale dell'uomo che rifiuta ogni complicità e mette in crisi con la sua testimonianza quotidiana l'ordito di menzogna ideologica e ipocrisia steso sulla società. Il valore pratico e l'efficacia di questa concezione prepolitica sono stati testimoniati dalla storia recente cecoslovacca e dalla parabola dello stesso Havel, tuttavia non può non destare allarmi il fatto che proprio quei Forum Civici si siano trasformati in puri strumenti di presa e occupazione del potere politico. Salta agli occhi il paragone proposto da Zdenek Mlynar con la strada ·percorsa dai comitati d'azione comunisti del 1948. L'analogia fra la prassi di Forum Civico e quella del partito comunista all'epoca della presa del potere non si ferma qui e-l'analisi di Mlynar che, presidente del comitato centrale del Pcc durante la Primavera di Praga, fu uno dei più radicali critici dell'epoca staliniana, induce a riflettere sul nocciolo stesso del pensiero di Have!. In sostanza secondo Mlynar, proprio nel dichiararsi come movimento, teorizzando, prima delle elezioni, la non professionalità dell'agire politico, il Forum (pur diretto e composto per buona parte da professionisti, funzionari e 8· Voclov Hovel in uno loto di Roberto och (Controsto). "aspiranti detentori di funzioni") ha posto le basi per l'anomalia della sua situazione postelettorale: non avendo iscritti, regolamenti, statuti, non avendo ufficialmente un'organizzazione di base e di vertice che sancisse funzioni e responsabilità reciproche, Forum Civico si è trovato al governo nelle forme di "un partito di funzionari e attivisti del potere governativo senza responsabilità verso nessuno se non verso se stessi". L'assunzione a posteriori della forma partito e l'espulsione dell'opposizione interna dalle cariche di governo, stato e parastato (molto più numerosecome fa notare Mlynar - del corpo dei veri dissidenti al vecchio regime) ha permesso al nuovo Forum di scavalcare di un balzo tutte le difficoltà che si presentano per esempio a partiti occidentali (come il nostro Psi negli anni Ottanta) che percorrono la via dell'occupazione di posti c:Jipotere senza sentire il bisogno di esplicitare i propri rapporti con la società civile. Un modello occulto di questa prassi sembra proprio la centralizzazione del potere comunista in Cecoslovacchia dopo la vittoria elettorale del 1948. Un'altra consistente analogia risulta dall'assoluta disinvol1ura con cui il Forum al governo ha disatteso - almeno nella sostanza - il. suo stesso programma elettorale. Come nel '46 il programma del Pcc, centrato sulla democrazia parlamentare, non faceva parola delle collettivizzazioni, così quello del Forum, in larga parte impiantato sulla promessa di stabilizzazione e successiva crescita dei salari, non accenna a provvedimenti decisivi come la restituzione delle terre e dei mezzi di produzione ai proprietari d'anteguerra. Proprio questa misura, sancita per decreto e già operativa, costituisce il culmine più antieconomico della politica governativa attuale; con la restituzione vengono rimessi in gioco addirittura il clero e la vecchia nobiltà, entro un quadro che favorisce la privatizzazione selvaggia, lo smantellamento di ogni forma cooperativa e che colpisce non solo i beni espropriati dai comunisti dopo il '48, ma addirittura le nazionalizzazioni sancite dalla repubblica· del presidente Benes dopo la liberazione dal nazismo nel '45. Uno dei primi atti del presidente fu per altro l'avallo alla defenestrazione del ministro dell'economia Valtr Komarek (un ex riformatore legato al nuovo corso e oggi su posizioni sostanzialmente moderate) che, pur puntando sul passaggio ali' economia di mercato, insisteva sulla possibilità di una sua regolazione sociale. Al suo posto fu insediato I' ultraliberista Vaclav Klaus, ammiratore del "modello cileno" di Milton Friedman e dei Chicago boys, oltre che della Thatcher, preoccupato di smantellare ogni forma di proprietà collettiva, dalla terra agli enti locali, per consegnare . l'intero apparato produttivo cecoslovacco al libero mercato. La politica di Klaus, mai apertamente criticata dal presidente, ha cancellato ogni preoccupazione di carattere sociale o ecologistico, portando la disoccupazione e l'inflazione ai massimi livelli storici, rendendo di fatto impraticabili le forme di azionariato popolare su
cui si era basata la campagna del Forum, santificando ovunque l'intervento di capitali stranieri col risultato di svendere a prezzi ridicoli interni settori di un'economia industriale che solo pochi anni fa era la settima in Europa, di distruggere alla radice l' organizzazione cooperativa dell'agricoltura, considerata dagli organismi internazionali della Fao e dell'Onu fra le meglio produttive e organizzate del mondo. Un abbraccio all'Occidente (un Occidente più ideale che reale, peraltro) tanto estremo da imbarazzare, se condotto sotto la guida dell'uomo che, nel criticare il socialismo reale seriveva: "il grigiore e lo squallore della vita nel sistema posttotalitario non sono proprio la caricatura della vita moderna in genere e non siamo noi in realtà una specie di memento per l'Occidente, che gli svela il suo latente orientamento?" (Il potere senza potere, trad. it., p. 28). E che dire del proliferare incontrollato di un vero e proprio· sottobosco governativo impegnato nel patteggiamento di cariche, appalti e privilegi al limite del lecito, in collusione con organizzazioni in odore di mafia, favorito dal governo con politiche sociali e manovre fiscali nel tentativo di creare nuovi ceti sociali privilegiati in grado di dar sostegno a un potere che va perdendo la sua popolarità presso chi (come peraltro la maggioranza dei cittadini di qualunque paese occidentale) vive del proprio stipendio piuttosto che di imprenditoria? Vi si ricicla la massa intramontabile dei magnati del cambio nero di valuta, parte consistente di quella nuova fascia "di successo" che il governo tenta di allettare. Suonano querule a questo punto le grida di allarme di Havel contro la mafia e il malcostume. Ci si può chiedere quanti anni può durare ancora l'efficacia del continuo confronto col passato come fonte di credibilità e strumento di consolidamento del consenso. Lo stesso Havel, che più efficacemente di tanti ha denunciato la funzione dell'ideologia come cemento del totalitarismo, come risposta alla sfida della complessità che la società lancia ogni giorno al potere politico, non sfugge all'uso strumentale dei vessilli anticomunisti per togliere mordente a ogni istanza critica. È il caso della legge sull'epurazione, ma anche e soprattutto del comportamento governativo centrale nei confronti della tensione nazionalistica in Slovacchia: a un governo nazionale impegnato a contenere le spinte revansciste e fascistoidi dei movimenti nazionalisti che esprimeva uria forte critica alla politica economica del centro federale, si è risposto con una campagna che accusava i rappresentanti del movimento 'Opinione pubblica contro la violenza' (alter ego slovacco del Forum al tempo delle elezioni) di connivenza con la destra nazista prima, e di un complotto golpista poi, volto all'annessione della Slovacchia all'Unione sovietica; su pressione governativa e dello stesso Havel l'assemblea nazionale slovacca ha destituito il presidente Vladimir Meciar e iI suo intero staff, sostituendolo con il democristiano Jan Camogursky, ritenuto politicamente più affidabile. Le prime sortite pubbliche di Camogursky sono parse a molti improntate alla legittimazione dell'unica esperienza storica di stato slovacco, il protettorato filonazista di monsignor Tiso, e alla limitazione dell'autonomia delle minoranze etniche sparse sul territorio slovacco. È difficile correre incontro a un'Europa occidentale che fornisce appoggio e credibilità a tutti i nazionalismi orientali, dall'Urss alla Jugoslavia e, contemporaneamente, porre un freno alla marea slovacca; ma è ancora più difficile pensare che questo rischioso equilibrio possa essere, garantito a lungo dall'ideologia o dal comune rigetto per il passato socialista. Se le modalità dell'occupazione del potere politico, l'uso spregiudicato dell'ideologia, la lotta politica condotta con i dossier, la delusione sistematica delle attese elettorali e la riduzione dei meccanismi di controllo della società civile sulla società politica richiamano alla mente più la prassi del parti~comunista cecosloIL CONTESTO vacco al potere che non le moderne democrazie occidentali, vien voglia di sostenere, magari solo per amor di polemica, che lo stato del presidente Havel, contro le sue intenzioni forse, più che ai due modelli storici che costituiscono l'ineguagliabile patrimonio di elaborazione democratica della società politica cecoslovacca (la prima repubblica di Tomas G. Masaryk dal 1918 al 1938 e la cosiddetta Primavera di Praga), viene ad assomigliare - nella prassi e nella psicologia se non nell'organizzazione statuale - proprio al regime da esso abbattuto. Eppure proprio quei modelli storici costituiscono il presupposto del pensiero sociale di Havel: l'attenzione per il movimento "inteso come partito invisibile che abbraccia tutto il popolo e ne realizza gli ideali sociali e nazìonali" (la citazione è tratta dal bel saggio dj Francesco Leoncini) a scapito dei partiti è in Masaryk e, nel descrivere. la potenzialità politica della "vita nella verità", Havel scrive: "il punto di partenza dell'azione di questi movimenti verso fuori è sempre e soprattutto 1 'azione sulla società (e non direttamente e subito sulla struttura del potere in quanto tale) (...)Quindi questo movimento agisce sempre sulla struttura del potere in quanto tale solo indirettamente, in quanto parte della società( ...) Un altro stadio - più elevato - è quello della differenziazione interna delle strutture ufficiali. Queste strutture si aprono a forme più omeno istituzionalizzate di pluralismo quale imperativo naturale delle intenzioni reali della vita (...); A questa differenziazione resa possibile dalle iniziative "dal basso" si collegano direttamente la nascita e la costituzione di strutture nuove che sono chiaramente parallele, cioè indipendenti, ma che le strutture ufficiali in diversa misura rispettano o almeno tollerano. Questi organismi non.derivano più dall'adattamento delle strutture ufficiali ai bisogni della vita, ma ne sono già una diretta espressione che ottiene una collocazione rispondente nel contesto dell' esistente. Si tratta già quindi di una manifestazione reale di "auto organizzazione" della società( ...). L'ultima fase di questo processo è la situazione in cui le strutture ufficiali avvizziscono, si sfaldano e si estinguono e così nello spazio dove esse svolgevano la loro attività subentrano strutture nuove, nate "dal basso" e costituite in modo sostanzialmente diverso." (Il potere dei senza potere, trad. it., pp. 83 e sgg.). Havel dichiara poche righe dopo di non aver fatto altro che descrivere il processo storico del nuovo corso fra il 1963 e il 1968. Resta questa la più chiara esemplificazione data dal presidente della sua idea di articolazione politica e sociale della "vita nella verità". Allora è proprio la Cecoslovacchia attuale la realizzazione conseguente e necessaria del trionfo politico della moralità (non si può non pensare in questi termini l'ascesa al potere di Vaclav Havel)? Vale la pena di gettare un'occhiata al pensiero di Havel, così com'è esposto nel Potere dei senza potere: è un pensiero essenzialmente prepolitico, fondato su una concezione morale e spirituale dell'esistenza; non è né pretende di essere un pensiero originale, semmai un'elaborazione di temi masarykiani int~grati con una lucida riflessione sull'esperienza politica degli ultimi cinquant'anni; Havel non ·è un filosofo o un politologo, ma un uomo di altissimo profilo morale che intende offrire una sorta di manifesto dell'approccio non tecnico alla politica, basato su una tensione alla "verità" che è desiderio di libertà e giustizia, su valori come fiducia, coerenza, responsabilità, solidarietà. Credo si possa sostenere che il suo.pensiero costituisce un riferimento ideale per chiunque si collochi in contrasto con un potere politico, anche in Occidente. Le ragioni del fallimento (è difficile non chiamarlo così) nel confronto fra quella tensione etica e il dominio della macchinapesante dell'amministrazione politica seillbrano chiamare in causa, però, proprio il carattere eminentemente prepolitico delle categorie impiegate da Havel. Un nodo è forse nella sua critica al 9
IL CONTESTO concetto di "opposizione": la proposta di Havel è di definire in senso assoluto con una scelta personale la propria figura morale, in base a valori positivi e non relazionali; per ciò egli non può accettare un concetto che "ha in sé qualcosa di negativo": l'oppositore "si definisce infatti in rapporto a una 'posizione', si rapporta quindi espressamente al potere sociale, e si definisce per suo tramite, deduce cioè la propria posizione dalla sua. È ovvio che gli uomini che hanno semplicemente deciso di vivere nella verità( ...) e di comportarsi in sintonia con il proprio iomigliore, non accettino che questa loro 'posizione' originale e positiva venga definita al negativo, mediatamente, e soprattutto che essi debbano considerarsi come coloro che sono contro questo e quello e non semplicemente come coloro che sono questo o quello" (op. cit., p. 51). Non intende, Havel, proporre una teoria dell'opposizione, ma piuttosto una fondazione in senso lato dell'atteggiamento comunemente chiamato "dissenso" (le virgolette rispondono alla diffidenza di Havel per un termine coniato in Occidente): con ciò essa non può e neppure vuole essere una teoria dello stato o del consenso; la sua efficacia si fermerà al di qua della soglia decisiva della presa del potere; il suo fine è mostrare come una singola testimonianza pratica di '_'vitanella verità" incrini il fondamento, il postulato universalistico del potere post-totalitario. In ciò Havel ha avuto ragione, la storia gli ha dato ragione, e per ciò il suo pensiero è divenuto un canone imprescindibile per chi voglia considerare il rapporto individuo-potere nelmondo contemporaneo. Tentare la costruzione di una teoria politica positiva su un presupposto metafisico e incontrollabile come quello designato con il concetto di 'verità' sarebbe quantomeno péricoloso; Havel ne è cosciente e si trattiene entro questo limite trascendentale. Ciò sembra però legittimarlo a un'azione politica spregiudicatamente svincolata da principi etici, una volta realizzata quella che lui chiama 'società aperta': Havel è lucidissimo a proposito del1' inanità del paradigma morale nella 'società aperta': "il confronto fra un migliaio di chartisti e il sistema post-totalitario sembra, da un punto di vista politico, senza speranza, finché lo guardiamo nell' ottica tradizionale del sistema politico aperto in cui ogni forza politica si presenta con una sua posizione sul piano del potere reale" ( op. cit., p. 34) e ancora: "i legami umani, quali la fiducia personale e la responsabilità personale non possono funzionare oltre un certo limite" (op. cit., p. 98). Havel ha oggi di fronte a sé uno stato, però, non le piccole strutture da lui sognate e in mancanza di una riflessione organica sul potere (straordinariamente opportuno il richiamo di Luciano Antonetti nella postfazione alla necessità di integrare Havel con Gramsci), quella delle piccole strutture 'aperte' rischia di essere un'utopia ambigua e paralizzante, in quanto proietta al di là dell'orizzonte ogni concreta possibilità di cambiamento rispetto ai modelli proposti dall'Occidente industriale. Ora quei modelli Havel stesso ha sempre aspramente criticato: "In concreto, non sembra che le tradizionali democrazie parlamentari siano in grado di fornire il modo per opporsi in linea di principio ali' 'autocinesi' della civiltà tecnologica e della società industriale e dei consumi; anch'esse sono travolte nel suo vortice e sono impotenti davanti a esso; solamente, il modo in cui manipolano l'uomo è infinitamente più delicato e raffinato di quello brutale del sistema post-totalitario. Ma tutto il complesso statico dei partiti politici di massa, ammuffiti, concettualmente verbosi epoliticamente attivi per fini propri, che dominano con il loro staff di professionisti e tolgono ai cittadini qualunque concreta e personale responsabilità; tutte le complesse strutture dei focolai di accumulazione del capitale che in segreto manipolano e si espandono; tutto l'onnipresente diktat del consumo, della produzione, della pubblicità, del commercio, della cultura consumistica e tutto quel diluvio di informazioni, ecco tutto questo - tante volte esaminato e descritto - 10 difficilmente può essere considerato come la strada futura che porterà l'uomo a ritrovare se stesso( ...) Sarebbe( ...) miope puntare sulla democrazia parlamentare tradizionale come ideale politico e cadere vittime dell'illusione che questa forma 'matura' possa garantire stabilmente all'uomo una condizione dignitosa e indipendente". Sarebbe dunque stato lecito aspettarsi una fuga a gambe levate del presidente dal gioco rappresentativo 'all'italiana' che la trasformazione in partito del Forum Civico ha messo in moto, tanto più se si pensa che la critica sociale di Havel investe tutto ciò che di comune (molto più di quanto non si accetti usualmente, ed è proprio Havel ad averlo mostrato) avevano il blocco socialista e quello occidentale e quindi, necessariamente, anche ciò che trionfa nei processi oggi in corso in Cecoslovacchia. Sembra di trovarsi di fronte al paradosso di un paese dove il dissenso - non l' opposiziohe - ha preso il potere e la difficoltà del governo degli affari sociali si risolve in un irrigidimento del sistema della rappresentanza: ben lontano dall'ingegneria istituzionale messa in cantiere nel 1968 che tentò di sostituire con un reale e complesso pluralismo sociale avanzato e con una crescita impressionante della libertà associati va la semplicità postulata dal carattere ideologico del dominio socialista. Si potrebbe sostenere che la cosiddetta Primavera di Praga era più haveliana dello stato governato da Havel; fu anche più efficace sul piano economico: i successi nella produzione e nel reddito furono tangibili e sono documentati (cfr. per esempio il saggio citato di Leoncini). Anche se non è difficile trovare, soprattutto a sinistra, cantori della necessità storica disposti a considerare una sconfitta militare come indispensabile conseguenza di un fallimento politico, si prova angoscia nel veder accantonare, senza ragione esplicita, un patrimonio così ricco di elaborazione democratica in politica costituzionale ed economica. Se la risposta alla sfida della complessità lanciata dalla società civile continua a essere·,ancora e sempre, la semplificazione nel rituale ideologico (sia pure di marca opposta rispetto al passato), se il rapporto fra i cittadini e le istituzioni continua a essere di estraneità e conflitto, se i modi del vecchio continuano ad affiorare nel "nuovo", se la promessa libertà politica si risolve in un caos di interessi privati in guerra fra loro senza controllo sociale, di fronte a un consistente e crescente peggioramento della qualità e delle condizioni materiali della vita, 4 si può incomincii;lrea temere l'affiorare di nostalgie per forme di potere "più semplici ed economiche". · Nella nuova societàdemocratica cecoslovacca va dissolto proprio il valore politico della "vita nella verità"; ciò che in fase critica è un organo fondamentale, si trasforma in un congegno che gira a vuoto entro un gioco di molte verità rispondenti a molti interessi: nella 'società aperta' il concetto di verità è desemantizzato, ogni verità può gridare .se stessa· senza effetti e le. categorie usate da Havel · mostrano una certa approssimazione. Verità ed etica si rivelano affilatissimi strumenti di critica (a patto di usarli, magari, come le costanti immaginarie in matematica), ma una volta ipostatizzati e innalzati a criteri positivi dell'agire politico, posti davanti al dominio della macchina statale, si rivelano insufficienti e pericolosamente duttili (per esempio li si è visti di recente ali' opera per cantare le lodi dei cannoni). Essi rivestono tuttavia una funzione decisiva di fronte a quella che Havel chiama 'autocinesi' (autoriproduzione) del potere politico e della civiltà industriale, a Est come a Ovest. Per questo l'opera intellettuale di Havel costituisce un riferimento fondamentale nella critica della politica, soprattutto là dove (certamente nella Cecoslovacchia comunista, verosimilmente nell'Italia democristiana) l'affermazione di valori morali nella politica e l'impegno civile sono costretti a ripartire da una difesa minima della legalità, davanti all'arroganza e alla volgarità del potere e delle sue manifestazioni pubbliche. Dell'Havel dissidente avremmo bisogno anche noi e, forse, persino di una Charta '91.
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