IL CONTESTO Foto di Massimo Siroguso (Gelo, 1990. Agenzia Contrasto). Mafia e media Sei' opinioni Mafie a confronfo Vincenza Consolo Uso questa pagina che mi mette a disposizione la redazione di "Linea d'ombra" come foglio di carta bollata, documento legale. Chiamo Goffredo Fofi, nella·sua qualità di direttore, a fungere da magistrato o da notaio, da questore o capitano dei carabinieri, se vuole, anche da padre confessore (scelga lui). Dichiaro gli incauti lettori delle righe che qui mi accingo a stendere, vogliano o non vogliano, quali miei eventuali testi a carico (mi dispiace, chiedo venia a tutti). Stendo qui insomma una confessione a futura memoria, come si dice. Racconto per la prima volta un episodio della mia vita, risalente a poco meno di.cinquant'anni or sono, per non essere prima o dopo accusato da persone, che indagando possano scoprirlo, di aver occultato, taciuto per tanti anni il mio peccato, il mio delitto. Racconto per non rischiare di essere trascinato, davanti a milioni e milioni di persone (mi viene il panico a pensarci, il raccapricciò), esposto alla riprovazione generale, di subire una inappellabile condanna giuridica e morale. Accusato da chi? E per quale motivo? Accusato dalla televisione italiana, dal capo di Raitre, l'ex avanguardista Angelo Guglielmi, dalla redazione di "Samarcanda", dal suo ductor Santoro Michele in uno con la televisione di Berlusconi Silvio (consigli per gli acquisti: Usate cera per le orecchie Ulisse, mascherine di panno nero Edipo, pinze per il naso Cirano), dal patron dello show omonimo, ex incappucciato, pentito a tutta prova, Costanzo Maurizio. Accusato perché siciliano (eh, eh... Chi l'avrebbe mai detto?!) e perché critico radicale di quello spettacolo tremendo. Al fatto dunque, alla mia vecchia macchia, alla mia antica colpa! Dico d'un fiato: io sono stato in casa, a Villalba, del famoso capo mafia don Calogero Vizzini, ho avuto in dono, dallo squisito personaggio, un torroncino di sèsamo e un buffetto sulla guancia. Oh... Mi sento liberato. Racconto com'è andata. Era l'estate del '43. Gli alleati avevano appena liberato la Sicilia, avevano attraversato lo Stretto e salivano bel belli su pel Continente. Avevano lasciato dietro, come sempre i liberatori d'ogni tempo, un gran disastro: ponti rotti sopra ogni fiumara, torrentello, carcasse di camion, cannoni, carrarmati ai bordi delle strade, trazzere e rotabili privi di manto, pieni di montarozzi, fossi, di voragini. Avevano lasciato una gran penuria, per non dire fame(ch'era già grave in verità prima del loro arrivo), di tutto, ma ancora più, almeno dalle mie parti,. di grani, cereali .. Mio padre, eh' era commerciante nei generi suddetti, pensò bene di lasciare la costa nostra d' agrumi e verdurame (potevamo mangiare sempre arance, cicorie, cetrioli?) e d'avventurarsi con un camion -un glorioso Fiat 621, di quelli col muso lungo-, con l'aiuto di un operaio e in compagnia di un moccioso, ch'ero io, di cui non riusciva mai a liberarsi, d'inoltrarsi, per l'interno dell'isola, fin nel Nisseno, comprando qua e là qualche sacco di frumento, di fave, di cicerchie, e in Villalba, dove si producevano celeberrime lenticchie. Che comprammo da un commerciante del ramo e caricammo in due sacchi sopra il camion. L'operaio stava per girare la manovella per avviare il motore, quando sopraggiunge il mare: sciallo dei carabinieri e dice alt!, è tutto sequestrato, la merce da qm non parte. Il venditore fa: "Andiamo da don Calò". Fu così che 7
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