STORIE/KUREISHI "Nadia, lo hai baciato, vero? Dì la verità." "Ma guarda che non ha nessuna importanza." Non avevo forse ragione, !'On è vero che so fiutare un bacio nell'aria a cento metri? "Baciarsi non è importante?" "No", fa lei, "per niente, Nina. È solo simpatia. È normale. E poi, Howard e io abbiamo tante cose da dirci." Di colpo prende un'aria avvilita. "Lo sa che c'è uno di cui sono innamorata." "Guarda che io non ho niente contro il fatto che voi parliate. Ma è solo che per parlare non c'è bisogno di andare a strofinarsi la lingua sulle tonsille l'uno dell'altra;" "Hai un modo troppo spiccio di vedere le cose", risponde lei, girandosi di scatto verso di me e salendo su, su in alto, fino al soffitto dell'autobus. "È un peccato che tu non riesca a concepire la passione." Sì, sì, ho un modo troppo spiccio, va bene. E intanto duecento mongolfiere marroni stanno per spiaccicarmi contro un angolo dell'autobus. Oh, sorella mia. "Non ti senti bene?" fa allora lei alzandosi. Dopo di che, tutto quello che so è che scendiamo dall'autobus ancora in corsa, e che poi mi ritrovo stesa sul selciato tutto umido e stranamente libero davanti ali' Albert Hall. Il cielo mi dondola sopra. La faccia di Nadia volteggia sulla mia come un ectoplasma, e lei mi tiene una mano sulla fronte con fare da medico. Ed è lì, che a un tratto, le dò una pacca bella forte. 'Perché piangi?" Se nostro padre potesse vederci ora. "È per il tuo comportamento con Howard che piango, se penso a mia mamma." "Il mio comportamento con Howard? Aspetta che racconti a mio padre-" "Nostro padre ... " "Quello che combini tu.... " "Che vuoi dire?" "Gli racconterò che facevi la prostituta ed eri una tossicodipendente." "Lo faresti davvero?" "No", dice lei alla fine. "Penso di no." "È arrivato il momento di tornarmene a casa", dice. "Anche per me", le rispondo. Oggi non è venerdì, ma Howard è venuto lo stesso con noi a Heathrow. Nadia è seduta e sfoglia di scatto le pagine di alcune riviste di moda, guardando vestiti che ormai non potrà più comprare. Il suoorgoglio e la suadignità oggi sono stati davvero impressionanti. A un certo punto Howard ha cominciato a passarmi una pila di quaderni e di blocchi di carta per serivere, più una dozzina di penne. "Che non ce l'hanno le penne, laggiù?", gli dico allora io. "È un paese del Terzo Mondo", fa lui, "mancano i generi di prima necessità." Nadia lo sente e gli dà una pacca sul braccio: "Che scemo che sei Howard, certo che ce le abbiamo le penne!" "Stavo scherzando", le dice lui. "Queste sono per me", e intanto cercava di schiaffarsele nella tasca di sopra della giacca. Ma gli sono uscite tutte di fuori e sono andate a finire per terra. "Sto scrivendo qualcosa che potrebbe interessare tutte voi." "Tutto quello che scrivi c'interessa", dice Nadia. "Non necessariamente", dice mamma. "Ma questa cosa qui è particolarmente ... attuale", dice lui. Mamma nel frattempo mi prende in disparte: "Se proprio ci Pakistan, manifestazione per Zio (foto di Luigi Boldelli/ Contrasto). devi andare, Nina, almeno per favore scrivi. E non raccontare a tuo padre nemmeno mezza cosa su di me!" Ma a quel punto siamo stati distratti da Nadia che, alzando per aria le braccia e buttando indietro la testa, si è messa a gridare nel bel mezzo dell'aeroporto: "No, no, no, non me ne voglio andare!" La mia stanza, anzi la mia cella, questa vera e propria cassetta di sicurezza attaccata a un lato della casa di mio padre, ha le pareti imbiancate e il pavimento di pietra. Dentro ci sono un letto a una piazza e la mia valigia aperta, e poi niente armadi e niente musica. Niente fronzoli, insomma, come in gattabuia. Su tutto c'è un velo di polvere color cachi che aspetta soltanto di potermi irritare le narici. La finestra è minuscola, appena due volte quanto la mia testa. E quindi c'è pure un bel buio, qua dentro. Accanto c'è una stanza piùpiccola, con una doccia da poveri dilettanti, un lavandino, e un buco nel pavimento sul quale devi imparare ad accovacciarti se vuoi pisciare o cacare. Nonostante le mie lamentele devo dire però che qui dentro mi trovo proprio bene. Anzi sono stata io a volere questa camera. Inizialmente papà vpleva che io e Nadia dormissimo insieme, ma io qui non mi trovo bene con nessuno, specialmente con le altre due mie sorellastre: Giù-di-corda e Battifiacca, come le chiamo io. Mi sveglio che fa un caldo.da morire. Tutt'intorno si levano rumori e vapori di benzina. Allora, scalciando, mi sono infilata nei miei jeans e mi sono messa la maglietta firmata Keith Haring. Una volta a King's Road due persone diverse mi hanno fermato per chiedermi: "Ma questa è una maglietta di Keith Haring?" Fuori c'e un sole che ha tutta l'intenzione di mandarti a fuoco. Anche la luce è diversa, quaggiù: riesci davvero a vedere tutto. Poi mi sono messa gli occhiali da sole. Sono proprio fantastici. Qui non si vedono molte donne con gli occhiali da sole. Davanti la mia camera, l'autista sta riscaldando il motore di una delle tre macchine di papà. Io allora, ho aperto lo sportello di una e ci son saltata dentro, ma è stato proprio come andare a ficcare il culo nel fuoco e subito ho cominciato a sobbalzare per tutto il sedile. E intanto l'autista se la ride a trentadue denti, tra l'altro sporgenti, mostrando finanche le gengive: sembra proprio che non abbia mai visto niente di più comico. · 83
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