IL CONTESTO Foto di lourie Sporhom do "The lndipendent". è perché il sistema politico della repubblica serba per il momento non funziona in modo tale da fargli pagare i costi correnti della guerra, che la popolazione pur comincia ad avvertire in termini di inflazione galoppante, difficoltà nei rifornimenti di carburante, interruzione delle comunicazioni esterne, renitenze alla leva e diserzioni, lunghe liste di soldatini diciottenni morti o feriti, prese di distanza dalla Serbia da parte delle altre repubbliche, isolamento internazionale. Ma i guasti si vengono approfondendo, ed è lecito prevedere che se le opposizioni non troveranno in sé la forza morale sufficiente per sottrarsi al ricatto patriottico e sfidare il governo sul terreno della pace, la conquista del potere servirà loro solo a gestire il disastro. Perché l'Italia è così indifferente alle ragioni serbe, ci chiedono a Belgrado, stupiti che non si accolga come giusta causa e argomento conclusivo la lotta contro un regime definito "ustascia". Si immaginano, interpretando a loro modo il furibondo agitarsi del presidente della Commissione Esteri della Camera dei deputati italiana, che ci sia di mezzo una questione di cattolicesimo e di stereotipi "slavo-comunisti" duri a morire; e non li sfiora il dubbio che poco comprensibili risultino all'esterno le ragioni serbe, e che quel poco non incoraggi alla solidarietà. Astrattamente, non è iniqua Ja pretesa di contrapporre la sovranità dei popoli a quella delle repubbliche, ovvero che, in tempi di autodeterminazione nazionale elevata a criterio di ristrutturazione dell'Europa post-comunista, siano scorporate dalla repubblica croata le zone etniche serbe. Ma quanti Croati dovrebbero essere sacrificati al legittimo interesse nazionale serbo, in queste che sono per lo più zone miste se ancora non le si è trasformate in zone pure a cannonate? E quanti e quali pezzi serbi del mosaico etnico bosniaco dovrebbero essere congiunti a quelle zone, per formare entità geo-economiche vitali? E chi ci farà credere, soprattutto, che davvero la felicità umana dipenda dalla distribuzione etnografica? Da_quelle parti, l'obsolescenza di un concetto universale e laico di cittadino può portare soltanto all'universale normalità di una condizione minoritaria. segregata e guardinga. L'altra carta "di principio" disponibile all'interprete autorizzato dell'interesse nazionale serbo è quella di uria sovrastatualità jugoslava che garantisca i Serbi sparsi nelle varie repubbliche - in tutte le repubbliche, per vero, dopo il distacco dalla Slovenia che non è meno irreversibile per il fatto di non essere ancora interna6 zionalmente sanzionato. Ma questa carta è giocata in modo trasparentemente strumentale, priva com'è dell'indispensabile complemento di un progetto di convivenza federale o confederale che rimetta al centro del discorso il cittadino e prometta regole uguali a tutti i popoli, anche a quelli provvisoriamente ai margini della partita perché non abbastanza rumorosi.D'altra parte, l'idea di una Jugoslavia "prigione di popoli", formazione artificiale tenuta insieme esclusivamente da un apparato repressivo, idea messa in circolo negli anni '20 dal fascismo italiano e dal Comintern e ripresa in tempi recenti come modulo esplicativo e indiscriminatamente apologetico del processo di disgregazione in corso, trova oggi straordinaria e suggestiva convalida nell'immagine di un'armata federale che, al di fuori di qualsiasi responsabilità e legittimazione democratica, si aggira fra Zagabria e le bocche di Cattaro a difendere con i mezzi blindati l'integrità dello stato. E che dire del!' egemonismo gran-serbo come nucleo duro sotto la buccia jugoslava, se non che l'invenzione polemica del passato è dram- . maticamente attualizzata dalle manovre della rump-presidenza collettiva jugoslava, la cui principale cura sembra essere quella di realizzare le peggiori profezie degli avversari? Se non va così dissipato, screditato nel mondo il prestigio di uno jugoslavismo che come risorsa morale e norma metodica sopravvive ormai quasi soltanto in quei funzionari delle residue istituzioni federali che con l'eroismo della pazienza contribuiscono come possono a smontare, a proceduralizzare il conflitto; ma come bisogno morale (di muoversi, amare, commerciare e pensare senza l'intralcio di passaporti e certificati etnici) ha radici più profonde e più diffuse di quanto non vogliano farci credere i suoi interessati liquidatori e di quanto non siano pronti a pubblicamente professare gli jugoslavi stessi, sotto la pressione della nuova ideologia dominante etno-nazionalista. Quarantacinque anni di regime comunista hanno lasciato ai popoli jugoslavi un duplice retaggio di cultura politica. _Daun lato quel nazionalismo etnico, legittimato dalla Costituzione del 1974, che fa delle identità collettive linguistico-religiose i soggetti della distribuzione della ricchezza e della sovranità territoriale; gli attuali regimi postcomunisti ne sono incarnazione diretta e difficilmente riformabile in senso liberal-democratico, e questo inCroazia non meno che in Serbia, ad onta di ogni proclamazione di europeismo e di occidentalità. Dall'altra una sorta di patriottismo istituzionale jugoslavo che in una ipotetica scala di compatibilità civile, democrazia politica e autonomia del mercato si collocherebbe su indici nettamente più elevati, ma che oggi appare bruciato dal1 'esperienza storica e dalle strumentalizzazioni correnti. La seconda parte della bozza Carrington, nel tracciare possibili ambiti a livelli di cooperazione fra le sovrane repubbliche post-jugoslave, riparte con sano empirismo degli interessi materia]i che c<?ntinuano a legare gli spezzoni di questo mondo impazzito. E un approccio adeguato ai tempi europei ma non a quelli della balkanska krema, dell'osteria balcanica in cui è calato il buio, qualche mese fa, e hanno cominciato a lavorare i coltelli - quelli veri e quelli che scavano nell'anima dal piccolo schermo, sollecitando atavismi e visceralità. E continueranno a farlo, finché alle genti delle due capitali sarà consentito vivere gratuitamente - alle spalle di centinaia di migliaia di profughi - la sublime emozione di una guerra totale difensiva e giusta o di una storica rivincita su antichi aguzzini. Ma perché non deve finire anche per loro, lo stato assistenziale? Perché non far loro pagare il ticket di uno spettacolo che li delizia tanto quanto innervosisce il mondo esterno? Forse, si deciderebbero a mettere ordine nei conti di casa, e a mente lucida, svanita l'euforia, potrebbero scoprire-come si dice avvenga normalmente nei paesi civilidi non aver più bisogno di amministratori che li stanno rovinando.
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