Linea d'ombra - anno IX - n. 65 - novembre 1991

LA LIBERIA DI PAROLA Incontro con Frederick Wiseman a cura di Maia Barelli La lunga e travagliata storia del documentario, ancora sconosciuta ai più, specialmente in Italia, testimonia di cambiamenti e ripercussioni notevoli dal1'avvento dell'era televisiva in poi. La prima considerazione da fare è che, anche incentivandone la produzione in termini quantitativi, la Tv ha finito per inibirne fortemente la qualità._Una fortunata eccezione a questa triste situazione sono i documentary-fiction di Frederick Wiseman, che hanno tratto continuo nutrimento e ragione d'essere dalla televisione pubblica americana (PBS) proponendo prodotti anomali, che non si sono piegati ai formati più tradizionalmente sensazionalistici e di massa e hanno mantenuto un carattere di ricerca. Durate variabili dagli 80 ai 360 minuti, mai un commento musicale o una voce aggiunta, questi film, confezionati con una maniacale regolarità dal 1967 ad oggi, 24 anni di attività e 24 film prodotti, dissezionano la realtà americana in tutti i suoi aspetti. Wiseman si muove nel mondo delle immagini di realtà con la precisione e la crudeltà di un chirurgo che opera su una massa informe, per mettere a nudo le articolazioni e ricavarne i meccanismi di funzionamento. Filmando le istituzioni che si occupano di alimentazione, educazione, difesa, assistenza, repressione, tempo libero, spiritualità, cura del cittadino, rende evidenti le contraddizioni, le incongruenze e le difficoltà che la società americana si trova ad affrontare giorno dopo giorno. Questa colossale opera investigativa ha fatto di Wiseman un maestro ideale per il rigore delle sue soluzioni filmiche e la lucidità della sua ricerca. Le sue opere più premiate sono la testimonianza violenta di quali siano i valori e le esperienze espresse dalle istituzioni: la , routine di un manicomio criminale (Titicutfollies, 1967), quella altrettanto alienata di un liceo (High School, 1968), il teatro dell'assurdo che va quotidianamente in scena in 'un ufficio dell'assistenza pubblica nei quartieri poveri di Manhattan (Welfare, 1975), la riproduzione su piccola scala delle gerarchie sociali che il mondo delle corse dei cavalli ci restituisce (Racetrack, 1985), il dramma silenzioso dei malati terminali e delle persone che di fatto decidono della loro morte, con tutte le reìative implicazioni etiche, religiose e legali (Near Dedth, 1989, 6 ore di immagini e discussioni tutte realizzate nello stesso padiglione del Beth lsraeli Hospital di Boston), l'addestramento dei gorilla a scopi scientifici, che mette in luce cosa noi consideriamo importante del processo intellettivo e relazionale nell'uomo (Primate, 1974) e sugli stessi temi Wiseman realizza 4 lavori dedicati agli istituti di rieducaz.ione degli handicappati (Blind, Adjustment and Work, Multihandicapped, ,1986). Giunto in Italia a giugno per presenziare ad un omaggi1 0 che gli ha tributato il "Noir in Festival" di Viareggio, ha avuto modo di parlare di sé e del suo lavoro. Una prima riflessione è stata sollecitata dal provocatorio intervento di Kieslowski, a Viareggio presidente della giuria del concorso fi.lnf, il quale sostiene che un bravo documentarista si trova a violare troppo spesso i diritti della gente che filma, al di là della sua stessa volontà. Con la convinzione che la vita privata deve rirµanere un ambito protetto e invi_olabile,Kieslowski ha abbandonato il documentario e si è dedicato alla fiction come unico modo corretto di parlare di realtà. · Esiste un limite che non si dève oltrepassare, quando ci si ritrova difronte a situazioni delicate, a momenti cruciali nella vita delle persone? Sappiamo che la televisione è ghiotta di immagini crude e crudeli: come ti sei comportato in quelle situazioni limite che sono spesso ricorrenti nei tuoi film? Io ho filmato gente intenta a risolvere la propria sopravvivenza, davanti ai giudici, internata in manicomio, gente che soffre, gente che sta per mo~ire, ho filmato in tutte le situazioni perché penso che le situazioni limite sono quelle più spesso 9ascoste dall' informazione dei media in generale, e al di sopra del diritto privato esiste per me il diritto di tutti all'informazione e la libertà di parola su qualsiasi soggetto, così come garantito dalla costituzione americana. Quale sia il punto oltre il quale non è più corretto continuare a filmare è una questione molto soggettiva che può essere risolta ogni volta diversamente;·spostando questo limite a seconda del contesto nel quale mi trovo ad agire. Rimane il problema etico nei confronti del quale io agisco secondo quanto la mia sensibilità e le mie esigenze mi suggeriscono. In tutti questi anni di attività mi ricordo di aver spento la macchina da presa una sola volta: girando Hospital (1969) ho assistito a una scena in corsia, dove un paziente orribilmente ustionato era circondato dai parenti disperati. So di aver perso una grande scena per il mio film, ma ho pensato che utilizzarla era troppo facile. Comunque il limite alle informazioni che è corretto dare al pubblico è completamente arbitrario, non può essere fissato in astratto. Io sono interessato ad esplorare e comunicare esperienze che la maggior parte del mio pubblico non ha la possibilità di vivere direttamente. La mia intenzione non è tanto intervenire all'interno di queste istituzioni che possiamo ancora considerare chiuse, o provocare dei cambiamenti diretti, quanto far accedere il maggior numero di persone ad esperienze che le portino a riflettere sulla condizione umana. Io voglio semplicemente offrire una visione parziale, la mia, di quella realtà, ed è per me impossibile prevedere le conseguenze del mio lavoro sugli spettatori o sulle persone che riprendo. Naturalmente chiedo a tutti un' autorizzazione scritta prima di iniziare le riprese, spiegando che sto facendo un ·film che sarà prog_rammato in televisione, ma non mi sogno di mos~are il film finito ai soggetti partecipanti prima di diffonderlo, perché dopo 1 o 2 anni (questi sono in genere i miei tempi di lavorazione) otterrei solo-opinioni sulla qualità del mio lavoro e correrei il grave rischio di essere bloccato dall'opinione di un altro. Sono fortemente convinto che il documentario sia anch'esso un prodotto di finzione, visto che nasce e si realizza attraverso le scelte totalmente arbitrarie di chi loproduce. Ed il mio obiettivo principale è proprio di render.lo godibile come un film. D'altra parte sono convinto che la realtà mette a disposizione materiali di qualità infinitamente migliore rispetto alla fiction, sia come intensità di narrazione sia come possibilità di far riflettere. Vuoi dire che in fondo il motivo che ti spinge a fare film -è di natura esc.fusivamente personale, e che sei indifferente verso le reazioni suscitate nel pubblico dai tuoi lavori? No, assolutamente. È che non voglio e non posso essere impositivo. Ho orrore dei film didattici e di propaganda che illustrano solo quello che già l'autore sapeva prima di iniziare le riprese, documentari tipo Roger and md o peggio. Quello-che voglio fare io è mostrare la complessità di una situazi'one e riportare le impressioni di quello che mi è accaduto durante le riprese. Offrire una griglia ciiinformazioni che è pronta a sostenere tutte ie ideologie. Così per alcuni critici sono un uomo di sinistra, per gli altri un moderato. Lo ....

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