Foto di Marco Bruzzo(Agenzia Contrasto). sinistra croata, secondo le migliori tradizioni umanitarie socialiste, è bene intenzionata per il dopo-guerra; ma cosa conta la sua parola, se nelle file stesse del governo c'è cni urla che non ci sarà più posto per i serbi nella Croazia del dopo-guerra? In simili condizioni - che sono un dato di cui tenere conto, a .prescindere d~lle responsabilità nell'averle create - nessuna autonomia garantirebbe una minoranza, che fosse qualcosa di meno di un potere territoriale esteso alle armi e alle imposte, ciò che normalmente si chiama potere sovrano. Non è detto che la disponibilità di Tudjman arrivi a tanto, ma il partito ustascia attende il presidente al varco di un cedimento che sarebbe punito con un colpo di stato o la guerra civile. Mentre sul fronte i loro · camerati agiscono fuori controllo governativo, spezzando le .tregue e tenendo alta la tensione, nel centro di Zagabria i rambi in tuta mimetica aspettano il maturar degli eventi, fiduciosi nelle proprie armi e nel consenso di un'opinione pubblica eccitata, che la dissennatezza di certe mosse del nemico, come le bombe su Dubrovnik o l'assedio di Vukovar, sospinge nelle loro braccia. Perché l'Italia è così tiepida sul riconoscimento dell'indipendenza croata, ci chiedono a Zagabria, stupiti che la loro rappresentazione di una lotta contro "l'ultimo bastione del bolscevismo in Europa" sia accolta con scetticismo. Si immaginano tensioni sotterranee fra le due internazionali, quella socialista e quell'altra, cattolica, guidata dal Papa: e non li sfiora l'idea che nel mondo esterno si tema che un riconoscimento incondizionato ed extranegoziale della sovranità croata possa suonare 'come autorizzazione al regolamento di conti contro una minoranza ribelle al potere legittimo, e quindi di nuovo guerra. IL CONTESTO Con disprezzo uguale e simmetrico per le capacità di giudizio degli osservatori esterni, a Belgrado si grida al "genocidio che si · compie oggi sui serbi in Croazia" come se un'eventualità futura potesse essere presa per un fatto positivo. Il partito egemone, qui, è erede diretto della Lega dei comunisti; si è-tempestivamente ribattezzato "socialista" e, cavalcando la tigre del nazionalismo, ha superato la prova elettorale con un successo.rafforzato dalla legge maggioritaria. Il suo governo presenta alcuni tratti di regime, come la docilità dell'ampia maggioranza parlamentare, il conformismo dei mass-media alla propaganda di guerra (sebbene meno intensa che a Zagabria), il ruolo ipertrofico del capo, del presidente della repubblica Milosevic. Circola però, con tirature elevate e un seguito consistente di lettori, una stampa non allineata, ed è attiva una inteligencija dissenziente. Quanto all'opposizione politica (partitica), essa appare orientata a capitalizzare i disagi causati dalla guerra, e quindi a contestare il modo in cui questa viene condotta più che le sue stesse ragioni. Il problemaè che la fulminante ascesa del capo, nella seconda metà degli anni '80, è avvenuta all'insegna del riscatto del popolo serbo dalla sua posizione dispersa e minoritaria nella federazione jugoslava; e come potrebbe egli chiudere la vertenza, oggi, su un compromesso che sancisca la posizione dei Serbi in Croazia come minoranza nazionale in uno statOstraniero, protetta dalla Comunìtà europea? Sarebbe ben logico che qualcuno, in Serbia, gli presentasse il conto di un'operazione il cui unico risultato certo consiste nell'aver sensibilmente approssimato i Serbi di Croazia a quelle condizioni di "esistenza minacciata" da cui si sostiene tragga origine il conflitto attuale. Se può permettersi, Miloseviè, di respingere in prima istanza la bozza Carrington e di insistere sulla prefigurazione militare, sul campo di future frontiere statali, 5
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