Linea d'ombra - anno IX - n. 65 - novembre 1991

SYMPHONIA Christòforos Milionis traduzione di Lucia Marcheselli Loukas Christòforos Milionis appartiene alla cosiddetta "seconda generazione del dopoguerra", quella degli seri ttori greci (poeti e prosatori) che si 'sono affacciati alla letteratura fra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. Una generazione di scrittori che si è trovata a vivere in una temperie politica unica nel mondo occicjentale: dopo una guerra' partigiana condotta vittoriosamente · contro gii 6·ccupanti nazi-. fascisti, infatti, la sinistra greca entrò nel la spirale del la guerra civile che, cominciata'alla fine del '46, infuriò con alterne vicende fino alia fine del '49, Con la caduta degli ultimi focolai di resistenza, sui monti dell 'Epiro (il Grammos di cui parla uno dei personaggi di Symphonia), ci fu l'esodo di oltre sessantamila profughi nei paesi dell'Est europeo - Romania, Uqgheria, Cecoslovacchia, Unione Sovietica ... Seguirono migliaia di condanne a morte o all'ergllstolo, e una repressione durissima di tutti i "simpatizzanti" o presunti tali. Un regime poliziesco, organizzato capillarmente soprattutto in provincia, con schedature e certificati di buona condotta nazionale per ogni sorta di attività, durò fino all'inizio degli anni Sessanta, quando il primo governo di centro tentò Ì primi passi della riconciliazione nazionale, ben presto interrotti da un colpo di stato milltare, favorito dalla Cia, e da una dittatura settennale (1-967-74). Di questa materia e di ·questo clima sono fatti i racconti:e i.romanzi di Christòforos Milionis. Symphonia, in particolare, è uno dei primi racconti greci a toccare il tabù dei profughi della guerra civile, con disincanto e distacco, non scevri però di una profonda pietà. L' exergo cita l'epitaffio dei deportati di Eretria, visitati. dopo cinquecento anni da Apollonio di Tiana in mezzo al deserto bituminoso della Persia: ostinatamente memori del mare, continuavano a scolpire barche sulle tombe ... Allusione anche troppo chiara alla vita quasi irreale di uomini, che hanno perduto il passato ma anche il futuro, oltre che la patria, per una sequela di scelte che alla fine si sono rivelate tragicamente sbagliate. Resta solo la forza della memoria e la fedeltà ai rapporti umani: quello che farà sì che il patto (questo è, in greco, il primo significato di Symphonià) fra il decrepito Dulias e l'ex ragazzino del paese sia mantenuto, in cima alla scala che, come l'avventura umana del vecchio, "non porta da nessuna parte''. Christòforos Milionis è nato nel 1932 a Peristeri Pogonion, un piccolo paese dell'Epiro del Nord, a ridosso della frontiera con l'Albania. Laureato in lettere all'università di Salonicco, ha insegnato in Grecia e a Cipro ed è poi stato ispettore per le scuole secondarie. La sua prima raccolta di racconti è apparsa a Giannina nel 1961. Ha scritto per quotidiani e collaborato a riviste letterarie, di alcune delle quali è stato anche redattore ( "Endochora", 1959-66; "Dokimasia", 1973-74). Ha avuto nel 1985 il premio di stato per la narrativa perii volume Kalamas ki Acherontas (Kalamas e Acheronte), dal quale è tratto il racconto che qui presentiamo. Ricordiamo tra le sue opere: Parafonia (Dissonanza, 1961), To pukamiso tu Kentavru (La camicia di Nesso, 1971), Akrokeravnia (Acrocerauni, 1976), Ditiki sinikia (Rione occidentale, romanzo, 1985), O Silvesiros (Silvestros, romanzo, 1987), lpothesis (Ipotesi, saggi, 1983). È in preparazione una raccolta di suoi racconti per le Edizioni Ricerche di Trieste, a cura di Lucia Marcheselli Loukas e con il titolo Sotto l'azzurra superficie. · NÒi, che attraversavamo un tempo le onde sonanti dell"Egeo, ora sepolti nella sconfinata steppa di Ecbatana. Guarda un po' cosa mi ha combinato il tempo: un viaggio turistico, di quelli che al giorno· él' oggi,· senza difficoltà, può fare anche la signora Marietta - anzi, lei addirittura più facilmente, direi - mi ha infine riportato a questa scala diroccata, senza la veranda dal vecchio tetto di coppi, che un tempo la riparava, e quel eh' è peggio senza nemmeno più la casa. Insomma, una scala che non porta da nessuna parte. r · L'estate scorsa certi amici - macché amici: dì piuttosto conoscenti - mi tampinavano perché andassi anch'io con loro nei paesi socialisti - a vedere, mi dicevano, com'è lì il sistema, come se la passa la gente: per tirare le nostre conclusioni da soli, senza ascoltare discorsi, chi la racconta in ùn modo e chi nell'altro. All'inìzio avevo le mie obiezioni. È poi, Cosa succede, se c;i piace? Mica faremo·la rivoluzione? ... O, magari, butteremo fuori le multinaziònali, e il capitale ci lascèrà cambiare il sistema? E se poi invece non ci piace.sse, diremo che stiamo benone qui, anche se ci si strugge il cuore, in mezzo alle nostre piccinerie? Quelli però insistevano: In fondo, conoscere gente, vederè dei posti éoi nostri occhi. Lo fanno tutti: e noi, chi siamo? Così alla fine mi ~scrissi anch'io, e il gruppo fu al completo. Superfluo parlare di quel viaggio in pullman che non finiva mai, con tutti che guardavano fuori dal fii:iestrino con un occhio mezzo chiuso, dormendo con l'altro; di quel languore allo stomaco; delle soste di dieci minuti quando ci stava per scoppiare la vescica; dei ristoranti convenzionati, con tutte le conseguenze del caso. Superfluo anche parlare dellebarzellette, e dei commenti che facevano certi tipi, certi idioti di militari in pensione - ah, Dio, che razza di gente! - cbn la pappagorgia e le camicie bianche a maniche corte, la marca sul taschino sinistro: "Bamie, ragazzi! Non si vedono bam~e da nessuna parte". Arrivammo a Budapest di sera, e ci sistemarono in un albergo vicino, pare, alla Moskwa Tér '-- che si chiamava "Budapest" anche lui. Alto, urta decina dì piani, tutto tondo: insomma, un gran cilindro. · Il giorno seguente, dopo una visita guidata ai monumenti - ai palazzi e a San Mattia che si specchia nei vetrifumé dell'Hilton e, dopo il pranzo alla trattoria dei Pescatori, all'.Isola Margherita, l'isola degli innamorati - verso il tramonto andammo a finire nella famosa Vaci Utca, la strada commerciale coi cristalli, le porcellane e le macchine fotografiche. Dove quella mandria, fiacca fino allora, d'improvviso di svegliò: e tutti si precipitarono come matti ai banconi dei negozi. Così restai solo, e mi diressi verso il Danubio. Lì mi trovai davanti aHa statua di Petofi, la guardai ben bene e poi mi sedetti sul suo basamento. Allora mi· ricordai anche di quell'altro poeta, quell'Attila Jozef, morto giovane anche lui, fra la sua miseria e le sue visioni; e pensavo che per forza, ci dovrà pur essere, piantata da qualche parte, anche la sua statua, e che avrei dovuto chiedere, ma non sapevo come. Fu allora che vidi venire 67

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