STORIE/FAGUNDIS TILLIS "È ammalato, lo sapevi? Quel tale che studia le bolle di sapone, non è tuo amico?" Tutt'attorno la massa martellante della gente, musica, caldo. il mio corpo. Mi sto spiritualizzando, dissi io e lui rise facendo fremere le dita-ali, la mano aperta che imitava la libellula sul pelo dell'acqua, senza però impegnarsi, divagazioni a fior di pelle, oh, amore del rituale senza sangue. Senza grido. Amore di trasparenze e di membrane, condannato alla morte. Avevo perfino chiuso la finestra per trattenerla, ma lei, con la sua superficie che rifletteva ogni cosa, avanzò contro il vetro. Migliaia di occhi e non ci vedeva. Lasciò un cerchio di schiuma. Tutto qui; pensavo mentre lui prendeva il braccio della donna e si informava: "Vi conoscevate?" Sapeva perfettamente che non ci eravamo mai viste, ma a lui piacevano queste frasi che assemblavano situazioni, persone. Ci trovavamo in un bar e i suoi occhi di egizia si ritraevano, fessure. Il fumo, pensavo. Ingrandivano e rimpicciolivano, finché non si ridussero a due strisce di lapislazzuli, e così restarono. Anche la bocca polputa si strinse, piccolina. Ha la bocca come le piace inventarsela, pensai. Artificiosamente sensuale, come le piace inventarsi. Eppure, come può un uomo come lui, un fisico impegnato nello. studio della struttura della bolla di sapone, amare una donna del genere? Misteri, dissi io e lui sorrise, ci divertivamo a esprimere idee e frammenti, senza connessione tra loro. Mi invitàrono e io sedetti, le ginocchia di entrambi accostate alle mie; il minuscolo tavolo affastellava bicchieri e aliti. Cercai rifugio nei cubetti di ghiaccio, ammucchiati sul fondo del bicchiere, avrebbero potuto studiare .la struttura del ghiaccio, non sarebbe stato più facile? Ma lei era in vena di domande. Una vecchia amicizia? Una vecchia amicizia, ah. Eravamo stati compagni? No, ci eravamo conosciuti su una spiaggia, dove? Da qualche parte, su una spiaggia, ah. Via via la gelosia prendeva forma e traboccò densa come un liquore verde azzurro, della stessa tonalità del bistro dei suoi occhi. Ci scivolava sugli abiti, impregnava la tovaglia del tavolino, colava goccia su goccia. Usava un profumo dolciastro. Sopravvenne il mal di testa: "Ho male alla testa", ripeté non so le volte. Un dolore folgorante che iniziava alla nuca e si irradiava fino alla fronte, all'altezza delle sopracciglia. Respinse il bicchiere di whisky. "Folgorante". Spinse all'indietro la sedia e prima che lei desse una spinta al tavolo, lui chiese il conto. Ci saremmo visti in un'altra occasione d'accordo? Sì, in un'altra occasione, logico. In strada, se ne rimase lì impacciato e io lo tranquillizzai, va bene, caro, tutto a posto, ho già capito. Prendo un taxì, tu va, svelto, va. Quando mi girai, stavano svoltando l'angolo. Quali parole si scambiavano mentre svoltavano l'angolo? Mi finsi interessata a una valigia di plastica a quadri rossi, mi trovavo davanti a un negozio di valige. Mi vidi perplessa nel cristallo. Ma come era possibile? Piangerò quando sarò a casa, decisi. A casa, telefonai a un amico, andammo a cena assieme e lui concluse che il mio scienziato doveva essere felicissimo. Felicissimo, ripetevo l'indomani mattina presto quando lui mi telefonò per spiegare. Troncai la spiegazione con un felicissimo, e dall'altro capo del filo lo sentii sorridere così come avrebbe sorriso una bolla di sapone. In realtà, la sola cosa 'inquietante era quella gelosia. Cambiai rapidamente argomento, con la sgradevole sensazione che lei stesse ascoltando da una derivazione, oh, il teatro, la poesia. A q1:1elpunto lei abbassò il ricevitore. 54 Il secondo incontro avvenne a un'esposizione di pittura. All'-inizio qUella conjialità. La bocca prodiga, lui mi invitò a vedere un quadro che gli era molto pi;iciuto. Non rimanemmo lontani da lei neanche cinque minuti. Quando ritornammo, gli occhi erano già ridotti a due righe. Si passò la mano sulla nuca. Con gesto furtivo, si carezzò la fronte. Mi congedai prima del dolore folgorante. Finirà per trasformarsi in sinusite, pensai. La sinusite della gelosia, bel titolo per un quadro o un saggio. "È ammalato, lo sapevi? Quei tale che studia le bolle di sapone, non è tuo amico?" Tutt'attorno la massa martellante della gente, musica. Caldo. "Ammalato, chi?" volli sapere. Sapevo benissimo che si trattava di lui, ma dovetti domandare nuovamente, bisogna domandare una, due volte per ottenere la stessa risposta, sì, il tale che studiava quella fesseria della bolla di sapone, non era mio amico? Stava molto male, chi lo raccontava era sua moglie, bella, senza dubbio, nonostante qualche chilo di troppo, era stata sposata al cugino di un amico, un industriale fascistoide che era arrivato qui con un passaporto falso, perfino l'Interpol era stata avvisata, durante la guerra si era messo in società con un tizio che si faceva passare per un conte italiano ed era solo un contrabbandiere. Allungai la mano e gli presi il braccio, poiché la ramificazione del dialogo si inoltrava ormai in altri sentieri, a fatica potevo distinguere il nodo della radice che si insinuava in mezzo a gambe, scarpe, crochette calpestate, stuzzicadenti, fuggiva per le scale in una discesa vertiginosa fino alla porta che dava sulla strada, aspetta! dissi. Aspetta! Ma cos'ha quel mio amico? Il vassoio con il whisky ondeggiò paurosamente sopra il livello delle nostre teste. I bicchieri tintinnavano inclinandosi ora a destra, ora a sinistra, scivolavano in blocco nel rollio di un ponte nella tempesta. Cos'aveva? L'uomo bevve metà del bicchiere prima di rispondere: non conosceva i particolari, tantomeno gli interessava conoscerli, dopo tutto, la sola cosa divertente era che uno studiasse la struttura della bolla di sapone, ma guarda un po' che idea. Gli presi il bicchiere e lentamente bevvi quanto restava di whisky, il cubetto di ghiaccio incollato al labbro, bruciava. Lui no, mio Dio: lui no, ripetevo. Sebbene fosse bassa, la mia voce curiosamente attraversò ogni cavità del mio petto fino a raggiungere il fondo dove convergono tutte le punte, che nome aveva? Quel fondo, domandai e rimasi a sorridere all'uomo e al suo stupore. Gli spiegai che si trattava di un gioco che avevo l'abitudine di fare assieme a lui, a quel mio amico, il fisico. E il portatore della notizia rise. "Giuro che non mi sarei mai immaginato di incontrare su questa terra qualcuno che si dedicasse allo studio di una baggianata simile", borbottava lui, girandosi di scatto per afferrare al volo altri due bicchieri dal vassoio, oh, così lontani, il vassoio e tutto il resto, quanto tempo era passato? Mi piacerebbe sapere una cosa, voi due avevate vissuto assieme? l'uomo non si dimenticò di domandare. Acchiappai il bicchiere che schizzava liquido nell1ttormenta. Stavo nuda sulla spiaggia, più o meno, fu la mia risposta. Più o meno, dissi al taxistache mi domandava se sapevo dove quella via si trovava. Avevo pensato di chiedere notizie per telefono, ma l'idea del ·secondo apparecchio mi frenò. E ora lei apriva la porta, e il sorriso. Contenta di vedermi? A me?! Elogiò la mia borsetta. La mia pettinatura spettinata. Nessun
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