Bambina di Sao Paulo in una fata di RasaGauditano. intimo al SiioPaulo Scie dopo la funzione reli'giosa. Questa volta non pianse: andò ai magazzini Mappin, comprò un servizio da liquore, scrisse un biglietto con i migliori auguri di felicità, chiese a Gilvan che gli portasse il suo regalo, disegnò sulla carta velina del pacco un C. I. bello grosso (si era dimenticata di firmare il biglietto), e quando giunse a casa bevve la soda caustica. Uscì dall'ospedale più magra di cinque chili, sostenuta da Gilvan da una parte e da Roni dall'altra; il taxi di Gilvan era pieno di regalini mandati da quelli dell'Istituto di Bellezza. È tutto passato, disse a Gilvan con un filo di voce. A lui non ci penso neanche più, aggiunse, ma ascoltò tutt'orecchi Roni che diceva che adesso quella banderuola faceva il guardamacchine in un parcheggio di Villa Pompeia, in via Tito, pare. Gli scrisse un biglietto raccontandogli che era quasi morta, ma era pentita del gesto insano che le aveva provocato una bruciatura sul mento e un'altra sulla gamba, che si sarebbe sposata con Gilvan che era stato molto buono con lei quando era ali' ospedale e che la perdonasse per tutto quel che era successo. Sarebbe stato meglio che fosse morta, così la smetteva di rompere i coglioni, avrebbe detto Antenore quando ebbe il biglietto che stracciò in mille pezzi, il tutto davanti ad un amico di Roni che propagò la notizia durante la festa di San Giovanni del Sao Paulo Scie, Gilvan, Gilvan, sei stato la mia salvezza, singhiozzò lei la prima notte di nozze chiudendo gli occhi per ricordarsi meglio di quella sera che aveva stretto il braccio di Antenore sotto l'ombrello. Quando rimase incinta, gli mandò una cartolina con una veduta di Rio con il Cristo Redentore (lui adesso viveva a STORIE/FAGUNDES TELLES Piracicaba con la moglie e le gemelle) per comunicargli quanto era felice nella sua casa modesta ma pulita, con la televisione a colori, il canarino e il cagnolino che si chiamava Perereca. Firmò per forza di abitudine perché subito dopo cancellò quella firma ma leggermente, lasciando sotto la tenue rete delle cancellature Colomba Innamorata e un cuore trafitto da una freccia. Il giorno in cui Gilvanzinho compì tre anni, lei con un fazzoletto sulla bocca (la seconda gravidanza le dava delle nausee terribili) gli scrisse una lettera piena di auguri per il suo nuovo lavoro di autista sulla linea Piracicaba - Sao Pedro. E dentro la lettera ci mise una violetta secca. Quando si fidanzò la sua figlia più piccola, Maria Aparecida, così per scherzo si fece fare le carte e leggere il futuro da una zingara rinomata nel quartiere. La donna mescolò le sue luride carte, le sparpagliò sulla tavola e le predisse che se fosse andata alla stazione degli autobus la prossima domenica, avrebbe visto arrivare un uomo che avrebbe cambiato completamente la sua vita, guarda, ecco il re di bastoni con la dama di cuori alla sinistra. Avrebbe dovuto arrivare con un autobus rosso e giallo, poteva vedere persino com'era, capelli grigi, basette. Il nome incominciava per A, guarda, ecco l'Asso di picche con la prima lettera del suo nome. Lei fece il suo sorriso storto (il dente mancante era stato sostituito, ma il modo di sorridere era rimasto) e disse che era acqua passata e che lei era ormai troppo vecchia per pensare a queste sciocchezze, ma la domenica dopo lasciò la nipote alla madrina, si mise il vestito turchese delle nozze d'argento, diede un'occhiata all'oroscopo del giorno (non poteva esser rrieglio di così), e si avviò. da Seminario dos Ratos 1977 LA STRUffURA DELLA BOLLA DI SAPONE traduzione di Adelina Aletti Er'al'oggetto dei suoi studi. "La struttura, cioè, la struttura" - ripeteva lui e agitava la mano bianchissima accennando un gesto rotondo. Io restavo a guardare il suo gesto, impreciso come imprecisa è la bolla di sapone, né solida, né liquida, né realtà, né sogno. Pellicola e vuoto. "La struttura della bolla di sapone, capisci?" Non capivo. Non aveva importanza. L'importanza era l'orto della mia infanzia con le verdi canne dell'albero della papaia, quando tagliavo le più tenere, quelle che facevano bolle più grandi, più perfette. Una dopo l'altra. Amore calcolato, nella premura il soffio dava infatti vita à un processo, un delirio di grappoli scorreva lungo la cannuccia e mi veniva a scoppiare in bocca, mentre la schiuma mi scendeva sul collo. E mi bagnava il petto. Allora gettavo via la cannuccia e la tazzina. Per ricominciare il giorno dopo, proprio così, le bolle di sapone. Ma, e la struttura? "La struttura" -insisteva lui. Ed era come se con il suo gesto deÌicato di coinvolgimento e fuga lui la toccasse, pur mantenendo le distanze, attento, attento, ah, la pazienza, la passione. Nell'oscurità sentivo quella passione avvolgere delicatissima 53
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