SOLO UN SASSOFONO e altri racconti Lygia Fagundes Telles Lygia Fagundes Telles. è nata a San Paolo nel 1923. Ha trascorso l'infanzia nell'entroterra dello stato di San Paolo, in piccole città dove il padre svolgeva la funzione di giudice e commissario di polizia: Areias, Apiaf Assis, Sertàozinho. All'età di 8 anni è ritornata a San Paolo per trasferirsi in seguito a Rio de Janeiro. Ha pubblicato il primo volume di racconti nel 1938, Pori5es e Sobrados. Si è laureata in legge nel 1945 ma non si è dedicata alla carriera giuridica, preferendo occuparsi di letteratura Foto di Ano Vitorio Mussi. e di giornalismo. Negli anni Cinquanta e Sessanta ha compiuto numerosi viaggi negli Stati Uniti, in Europa, Urss, Medio Oriente e Cina. Il primo successo letterario è del 1954 con il romanzo Ciranda de Pedra che l'ha consacrata scrittrice di livello nazionale (ne fu tratta una celebre telenovela, che travisava completamente lo spirito del romanzo), mentre è a partire dal 1963 che la sua produzione si è fatta più intensa raggiungendo un buon successo di pubblico. Ha vinto diversi premi letterari, tra cui il Premio Guimaràes ·Rosa e il Premio internazionale di racconti stranieri, a Cannes, il Premio Coelho Neto dell'Accademia Brasiliana di Lettere, due volte il Premio Narrativa dell'Associazione Paulista di Critici dell'Arte e il Premio Pen Club del Brasile con il romanzo As Meninas. È stata, dopo Rachel de Queiroz, la seconda donna a entrare nella Academia Brasileira das Letras. La sua narrativa è popolata di intensi ritratti femminili del ceto medio brasiliano, ricca di atmosfere drammatiche. Tra i suoi libri: Praia viva (racconti, 1944); O cacto vermelho (racconti, I949); Hist6rias do desencontro (racconti, 1958) Veri:i'ono aquario (romanzo, 1963); Hist6rias escolhidas (racconti, 1964); Ojardim selvagem (racconti, 1965); Antes do baite verde (racconti, 1970); As Meninas (romanzo, 1973); Seminario dos ratos (racconti, 1977); Osfilhos pr6digos (racconti, 1978); A disciplina do amor (frammenti, 1980); Mistérios (racconti, 1981); As horas nuas (romanzo, 1989). (Daniela Stegagno) SOLO UN SASSOFONO traduzione di Daniela Stegagno È scesa la notte e fa freddo. "Merde! voilà l'hiver", è il verso che, secondo Senofonte, viene ora a proposito. Con lui ho imparato che la parolaccia in bocca a una donna è come una lumaca in una corolla di rosa. Sono donna, dunque posso dire parolacce solo in lingua straniera, se possibile facenti parte di una poesia. Così 48 le persone che mi circondano potranno vedere come sono autentica e al tempo stesso erudita. Una puttana erudita, tanto erudita che se volessi potrei dire le peggiori oscenità in greco antico, Senofonte conosce il greco antico. E la lumaca rimarrebbe irriconoscibile come conviene a una lumaca in una corolla di quarantaquattro anni. Quarantaquattro anni e cinque mesi, mio Dio. È stato rapido, no? Rapido. Altri sei anni e avrò mezzo secolo, ci ho pensato molto e sento proprio il freddo secolare che proviene dal parquet e si infiltra nel tappeto. Il mio tappeto è persiano, tutti i miei tappeti sono persiani, ma non so a cosa servano questi bastardi visto che non impediscono che il freddo si insedi nella sala. Faceva meno freddo nella nostra stanza, con le pareti rivestite di stoppa e il tappetino di juta sul pavimento, lui stesso aveva rivestito le pareti e aveva appeso ritratti di antenati e stampe della Vergine del Beato Angelico, gli piaceva il Beato Angelico. Dove ora? Dove? Potevo far accendere il caminetto, ma ho licenziato il maggiordomo, la guardarobiera, il cuoco - li ho licenziati uno per uno, in un momento di sconforto ho mandato via tutta la combriccola, via, via! Sono rimasta sola. C'è della legna da qualche parte in casa, ma non si tratta solo di sfregare il fiammifero e toccare la legna come si vede al cinema, il giapponese restava lì delle ore a girare, soffiando sino a che il fuoco non si accendeva. E io ho appena la forza di accendere la sigaretta. Sto qui seduta da non so quanto tempo. Ho staccato il telefono, mi sono avvolta nella coperta, ho preso la bottiglia del whisky e sono qui a bere lentamente per non star da cani, oggi no, oggi voglio rimanere lucida, vedendo una cosa, vedendo un'altra. E ce ne sono di cose da vedere tanto da dentro come da fuori, ancora di più da fuori, un casino di cose che ho comprato in tutto il mondo, cose che nemmeno sapevo di avere e che vedo solo adesso, proprio adesso che è buio. E che ci siamo rabbuiate insieme, la sala e io. Una sala di una stupidità atroce, ridicola, pretenziosa. E soprattutto ricca, straripante di ricchezza, ho aperto un sacco d'oro perché l'arredatore ci si riversasse. E vi si è proprio riversato, il cornuto. Si chiamava René e arrivava presto presto con i suoi tessuti, velluti, chiffon, broccati, "oggi ho portato per il divano un tessuto che viene dall'Afghanistan, veramente divino! Di-vino!" Né il tessuto veniva dall'Afghanistan, né lui era poi così cornuto, tutto mistificazione, calcolo. A volte l'ho sorpreso da solo a fumare . vicino alla finestra, l'espressione stanca di un attore che è già stufo di rappresentare. Si spaventò quando mi vide, fu come se lo avessi colto in flagrante mentre rubava una posata d'argento. Allora riprese lo stile spumeggiante e uscì dondolandosi tutto per mostrarmi l'oratorio, un oratorio falsamente antico, fabbricato da tre giorni ma con piccoli fori nel legno che imitavano tarli di tre secoli. "Quest'angelo può essere solo dell' Aleijadinho, guardi le gote! E gli occhi abbassati agli angoli, un pochino strabici ...". Io concordavo con lo stesso tono isteri,ço, nonostante sapessi bene che l' Aleijadinho avrebbe dovuto avere più di dieci braccia per riuscire a fare tanti angeli, anche la casa di Madò ne ha a migliaia, tutti autentici, "un pochino strabici", mi ripeteva con la voce in falsetto di René. Manifestazione -coloniale di gran lusso. E io sapendo che venivo ingannata e non interessandomi, al contrario, sentendo un pungente piacere nel mangiare gatto per lepre. Ieri ho
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