INCONTRI/SCIASCIA la nostra vecchia amicizia". Dapprima sono stato un po' irritato, soprattutto dall'ipocrisia della dedica, e mi sono limitato a scrivere al suo editore, Vanni Scheiwiller. È stata la mia sola risposta. Non ce ne saranno altre. I suoi personaggi sono immaginari? No. I miei personaggi vengono direttamente dalla realtà. Si tratta spesso di "personaggi" che ho conosciuti, incrociati o incontrati durante la mia infanzia. Io parto insieme dal reale e dalla memoria. Certi miei personaggi, lo riconosco, sono miei portavoce; molti altri, al contrario, li detesto, ma hanno la loro importanza nella storia che scrivo e rimandano forse, qualche volta, a un certo aspetto di me stesso. Com(!spiega la presenza e il ruolo dei preti nelle sue opere? L'abbondanza dei preti nei miei libri è del tutto naturale. Nel paesaggio della mia infanzia i preti hanno avuto un ruolo eccezionale. A Racalmuto c'erano, nel XVIII secolo, seimila abitanti e ottantadue preti. È facile immaginare il loro potere nei campi fondamentali della vita. Quand'ero bambino, avevano ancora un vero potere, tanto più che il fascismo li corteggiava e moltiplicava attenzioni e privilegi nei loro confronti. Ho sentito io stesso, il giorno della mia cresima, il vescovo salire al pulpito per proclamare che "Mussolini era un uomo mandato all'Italia dalla Provvidenza". Il legame chiesa-fascismo è stato dunque molto forte; nel 1987 tutto questo è passato e il clero - a Racalmuto sono rimasti solo quattro preti - ha perduto la sua onnipotenza. Nei miei libri al prete è assegnato un ruolo privilegiato, che gli è riconosciuto dalla società e che gli deriva anche dal suo potere di conoscenza. Il prete-come il romanziere - è il più informato, il primo a sapere cosa sta accadendo o a indovinarlo. Il prete e il romanziere osservano, ascoltano, il loro è un accesso privilegiato alla realtà, ma ovviamente non hanno gli stessi obiettivi. Nelle sue storie si osserva spesso il ricorso a procedimenti di scrittura o compostzione che rimandano al teatro... Ho sempre avuto una grande passione per il teatro. C'è stato perfino un tempo in cui volevo scrivere in modo quasi sistematico per il teatro. L'esistenza del regista e il ruolo che oggi gli viene attribuito me ne hanno dissùaso. I registi prendono un testo e ne fanno purtroppo quello che vogliono, riuscendo a distruggerlo, a deformarlo, a snaturarlo. Ho visto due messinscene della mia commedia Recitazione della controversia liparitana e mi hanno convinto a rinunciare a scrivere per il teatro! Quanto al cinema, credo che esso possa servire a portare al libro nuovi lettori. Ho tuttavia apprezzato le realizzazioni che Petri (A ciascuno il suo) e Rosi (Cadaveri eccellenti) hanno tratto dai miei libri. Per il resto, non sono tentato dalla scrittura di una sceneggiatura e non ho mai preso parte all'adattamento di uno dei miei libri. Ho collaborato una sola volta a una sceneggiatura e mi è piaciuto molto, perché si trattava di una regia di Florestano Vancini - Bronte, cronaca di un massacro---:-che si basava sul concreto, sulla materia solida, e non era l'adattamento di un'opera letteraria. Nelle sue opere ci sono molte digressioni. Perché? Le digressioni mi piacciono, mi divertono e, credo, mi permettono di arricchire i punti di vista, di giocare con i testi e a volte con le idee. In questo, sono erede di Montaigne e di Savinio. 46 Perché ricorre in modo quasi costante al procedimento della narrazione-inchiesta? Come lettore mi sono sempre piaciuti i romanzi polizieschi: era naturale che come scrittore mi servissi di un genere che da lettore avevo altamente apprezzato. Tengo a precisare che il modello della narrazione-inchiesta non viene dal romanzo poliziesco alla Simenon, ma che si trova nella letteratura italiana con la Storia della colonna infame di Manzoni. C'è una spiegazione per l'abituale brevità dei suoi libri? C'è ed è molto semplice: scrivo un libro ogni estate. Dunque alla fine dell'estate ci dev'essere.un libro pronto per la stampa. Questa regola, naturalmente, non sempre viene rispettata. Ho viaggiato, mi sono a volte allontanato da Racalmuto! Ma quando ci vengo - e ci vengo - scrivo quasi regolarmente un libro ogni volta. C'è un rapporto tra la brevità del testo, la sua struttura e il suo genere? Non lo so, non mi sono mai posto il problema. Iniziando a scrivere un libro - al quale ho pensato per tutto un anno e di cui conosco perfettamente l'intrigo, le situazioni - ignoro se sarà una commedia, uh saggio, una narrazione, una narrazione-inchiesta. Mi affido completamente all'ispirazione del momento. Peraltro, ho una perfetta conoscenza della storia che mi accingo a scrivere, ma ciò nondimeno non stabilisco nessun piano, non redigo neppure una prima stesura. Tutto è nella mia testa, e naturalmente nei documenti che servono ad alimentare la mia dimostrazione. Che posto ha l'ironia nella sua opera? Il mio modello in fatto di ironia è stato Manzoni con I promessi sposi, un libro fuori del comune, tutto impregnato di ironia. Ahimé, gli italiani sono pochissimo sensibili all'ironia, e quando leggono Manzoni non gustano affatto gli effetti straordinari, perfino sublimi, che egli sà trarre dall'ironia. L'ironia è un distacco, è dunque una specie di garanzia della serenità del giudizio. In Francia l'ironia si colloca in una vera e propria tradizione - e non è un caso se Voltaire, Diderot, Courier, Stendhal o Jules Renard sono tra i miei autori preferiti. Dire della mia opera che è fondl:lta sull'ironia è eccessivo, ma è vero che l'ironia mi permette, come mezzo di distacco e distanza critica, di delineare meglio la realtà, le sue trappole e le sue apparenze. Credo inoltre di amare e coltivare l'ironia perché è eretica e perché si oppone al conformismo. In Sicilia, l'ironia è stata sempre più presente che nel resto dell'Italia, tra il popolo come tra gli scrittori: si pensi alle gesta raccontate dai cantastori sulle piazze o alle opere di Brancati. Quasimodo, nativo di Modica, non ringraziava forse la madre di aver deposto sulle sue labbra il gusto dell'ironia? L'ironia è per di più il segno di un atteggiamento di libertà e di liberazione, il segno di un duplice rifiuto, quello del conformismo e quello del campo mistico. Quanto all'ironia che caratterizza il pastiche e la parodia, nella mia opera essa è frequente, in modo voluto o non· voluto, perché ho letto, ho molto letto, della mia penna escono cit-azioni ed effetti di stile presi in prestito ad altri. Se scrivere mi dà un grande piacere, leggere me ne procura ancora di più. Tutte le mie letture mi restano accanto ed entrano a caso-nella mia scrittura. A volte il percorso ironico è più cosciente, più organizzato, come dimostra il mio Candido. Peraltro, convinto come sono che tutto è già stato scritto, non ho alcuna reticenza a utilizzare le mie letture; noi non facciamo che ri-
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