Linea d'ombra - anno IX - n. 65 - novembre 1991

INCONTRI/SCIASCIA Può dare delle indicazioni sul suo metodo di lavoro? Procedo per centro d'interesse. Ql_lando un problema mi appassiona, cerco di leggere tutto ciò che lo riguarda. Per esempio il problema della pena di morte evocato in Porte aperte mi ha portato alla scoperta di molte opere sull'argomento. Non so se avrei scritto questo libro se non avessi assistito a un convegno sulla pena di morte tenuto a Siracusa. Quel che so, è che i sostenitori della pena di morte sono molto più numerosi di quanto non si creda. E allora ho avvertito l'urgenza di parlarne, di proporre un punto di vista. • Perché scrive? Non mi ritengo diverso dagli altri uomini e, come loro, svolgo un lavoro. Il mio mestiere è di scrivere libri, e se scrivo è fondamentalmente perché mi piace scrivere, che mi godo "il piacere del testo", per citare Barthes. Beninteso, come cittadino e citoyen, io osservo quel particolare, quell'avvenimento in cui si manifestano l'ingiustizia, la violenza, l'assenza del diritto ... e la mia scrittura si trova a essere orientata da tutto questo. Tengo a ripetere tuttavia che io scrivo e ho sempre scritto, anche quando non pubblicavo, perché scrivere mi piace. Se un autore non prende piacere a scrivere, dubito che se ne possa prendere piacere a leggerlo. Che immagine ha del suo lettore? Scrive pensando a unpubblico? Per me il problema del lettore è molto secondario. Ci tengo a dire che scrivendo io non penso al lettore. Non so né cosa gli piaccia né cosa voglia. Il lettore è dunque un altro me stesso. Ho molti lettori, ma ignoro come mi leggono; oso pensare che tra di loro alcuni, pochi, mi leggeranno al modo come io scrivo. È vero che l'opera letteraria in sé non esiste; Ortega y Gasset l'ha dimostrato chiaramente, è il lettore che dà all'opera la sua esistenza. Così come la somma dei punti di vista su Dio è Dio, così la somma dei punti di vista sul libro è il libro. Il mio rapporto col pubblico è tutto dettato da quest'osservazione di Bernanos: "Preferisco perdere lettori piuttosto che ingannarli." E certamente io ho perso dei lettori, però non li ho ingannati. Probabilmente i lettori comunisti mi hanno abbandonato, ma con loro come con tutti gli altri lettori io sono stato di una perfetta onestà e non ho mai cercato di metterli in trappola. Ho l'impressione di aver perso globalmente lettori a sinistra e di averne trovati di destra e del centro. Quel che io mi aspetto dal mio lettore ideale è che egUaccetti nei miei libri "la verità, l'aspra verità", secondo la felice espressione di Diderot. Credo di essere detestato da una parte dei siciliani, dalla parte più conformista, più fanatica- anche se è di sinistra. Quando sono apparso come indipendente nelle liste del Partito comunista italiano, sono stato particolarmente amato; ma i lettori comunisti, dopo la mia dimissione dal consiglio comunale di Palermo, mi hanno apprezzato molto meno. Tuttavia, e la vendita dei miei libri in Sicilia me lo lascia sperare, la gran maggioranza dei siciliani sembra apprezzare i miei libri. Mi permetta due osservazione per chiudere questo capitolo: la prima, è che è deplorevole l' interferenza frequente del giudizio politico nel criterio estetico, e la deformazione dell'uno tramite l'altro. La seconda, per l'eretico che io credo di essere, è di venir insidiosamente compreso o presentato come un "cripto-conformista". 44 Scrivendo pensa alla posterità? Non ho per fine di scrivere grandi libri. Mi auguro che tutti i miei libri non ne formino che uno solo. Certo, mi auguro di venir letto, ma della posterità non m'importa nulla, e fino a un certo punto neanche del successo. Lo scopo che mi propongo è semplice: non annoiare. È il mio primo e unico precetto. Quand'ero giovane, mi facevo un dovere di terminare un libro cominciato, e dunque di leggere libri noiosi. Con l'età, faccio come Montaigne e rinuncio al libro che mi annoia. Che legami intrattiene con la critica letteraria? La critica non mi influenza. I miei rapporti con la critica sono a distanza o secondari. Non.leggo i ritagli stampa che riguardano la mia opera e che mi vengono regolarmente spediti; li ammucchio e tutti gli anni, d'agosto, un'universitaria americana mi viene a trovare a Racalmuto e se li porta via. Un giorno, ci sarà una fondazione Sciascia negli Stati Uniti! (scoppio di risa)Leggere la critica non mi interessa per la buona ragione che quando pubblico un libro, esso si distacca da me e, in certo modo, non mi appartiene più. Dopo la lettura delle bozze non voglio più sentirne parlare. Ha ormai la propria vita e i miei sentimenti sono andati avanti: e già non sono più quello che sono stato scrivendolo. Penso al mio prossimo libro, non penso a quello che ho appena terminato. È a causa di questo atteggiamento di fondo che sono assolutamente insensibile al successo. Certo la mia opera è tradotta - perfino in Cina (sorriso) - ma anche in questo non mi sento seriamente coinvolto. Pensare che mi si traduca in un universo così diverso da quello dell'Europa, genera in me un vero e·proprio malessere, tanto più che i traduttori sono capaci di tutto, e spesso del peggio. Nel Don Chisciotte Cervantes scriveva appunto che la traduzione è come il rovescio di una tappezzeria. E se fosse così mi andrebbe bene, perché troppo spesso la traduzione porta a una mutilaziÒne del testo originale, quando non a un altro testo ... tradurre è un'impresa difficilissima. Ho tradotto alcuni testi di Lorca, Manuel Azana, Anatole France, Pedro Salinas e, mi creda, mi ci sono voluti più tempo e fatica per ognuna di queste tradÙzioni che per scrivere uno dei miei libri. Foto di RobertoKoch (Palermo, 1990. Agenzia Contrasto)

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