Linea d'ombra - anno IX - n. 65 - novembre 1991

··I CONFRONTI Il vento del kitsch. Suunromanzodi ClaudioMagris Filippo La Porta · Stavolta non si può proprio essere d'accordo con il troppo generoso Geno Pampalonì, che considera il romanzo di Claudio Magris Un altro mare (Garzanti 19.91) la versione narrativa dei suoi scritti saggisticf (in particolare di Lontano da dove). Per la semplice ragione che la indubbia voca.zione narrativa di Magris si esprime interamente e compiutamente in quegli scritti saggistici. Certi suggestivi ritratti dj autori, le avventurose peregrinazioni nella letteratura mitteleuropea, i riassunti della trame dei libri: da tutto questo emergeva una prosa· nitida, malinconica e solenne, non priva di ridondanza ma sempre riscaldata da un amore sincero per la propria materia. Il Magris saggista ci ·mostra, con risultati espressivi spesso felici, la sua disarmata nostalgia per la Narrazione perduta. Ma anche lui è stato proditoriamente afferrato dal demone della scrittura creativa, dall' ossessione alquanto diffusa di scrivere il proprio Romanzo. Già nella stessa trama sono vistosamente presenti tutti i temi più cari all'autore. Il protagonista, Enrico Mreole, filologo e appassionato di filosofia, compagno di s_tud(ie di altro) di Carlo Michelstaedter, decide agli inizi del secolo di lasciare la sua Gorizia asburgica per e)Jl.Ìgrarenella lontana Patagonia (non tanto la ricerca di un altrove utopico ma la fuga nel1'anonimato). Ritornerà a guerra finita, nel 1922, trovando un paesaggio politicamente cambiato (crollo dell'impero) e umanamente desolato (morte della madre, e di molti amici, tra cui Carlo). Dopo qualche anno di insegnamento si ritira nel 1933 su un estremo scoglio della penisola istrjana, ·al riparo di una pineta sul mare che gii era cara dai tempi dell' adolescenza. Si sposa, viene poi lasciato dalla moglié (bellissima) e raggiuntò da .una antica compagna, l'umile e silenziosa Lini. Dopo varie .vicissitudini legate ai fatti bellici (è arrestato dall'esercito. di Tito, e bastonato) trascorre gli ultimi anni hl'ùn isolamento orgoglioso e risentito, rifiutando tutto del inondo moderno (dalla corrente elettrica agli orologi e a!Iemacchine) e·meditando incessantemente sulla filosofia dell'amico Michaelstaedter. ("Carlo e Buddha sono i due gràndi risvegliati,. dell'occidente e dell'oriente"). Proprio sulla spinta di questa dolorosa meditazione Enrico sente tutta la pr~pria iÙsufficienz~e inettitudine ("per molti anni non ho vissuto che l' impotenza di vivere la propria vita") e si trascina sempre più spesso in passeggiate solitarie sulla scogliera, con la bora gelata, rischiando Foto di Giovanni Giovannetti (Effige). qualche volta di perdersi. Muore nel 1959. Dunque la Fuga, il Ritorno, lo Spaesamento, l'Identità dell'io, ]a Nostalgia e il Disfacimento, l'.lncanto del mare, il Senso di un Destino ineluttabile, la Riflessione metafisica sull'esistenza, la Poesia degli attimi fuggenti. Ma tutte queste cose le troviamo vertiginosamente concentrate e quasi stilizzate entro uno spazio brevissimo, con un effetto inevitabilmente Kitsch. Né mi sembra appropriato parlare di una "scrittura essenziale", come si legge nel risvolto. Anzi certi vizi e tic dello stile di'Magris, che nelle sue pagine saggisti- .che risultavano più sorvegliati, si dispiegano qui senza alcun freno. Da una parte espressioni molto cariche, goffamente liricheggianti, un po' melense: "le ·navi che spezzano l' oceano grigio come frangiflutti dell'oblio", irriso "rimasto impigliato fra i rami e i nidi dei merli", il protagonista che "attende a testa alta la vita vera, ché ogni attesa distrugge". Dall'altra un coté filosofico sentenzioso, assertivo, molto esibito, come se si trattasse della versione. narrativa della Persuasione e la rettorica, tradotta però in un modo un po' meccanico, piattamente didattico. Ora, un romanzo può anche evocare Harmony o la più corriva letteratura d'appendice, ma dalla intelligenza critica di Magris è lecito pretendere che questo avvenga sotto forma di rifacimento parodistico o di citazione o di dichiarato omaggio (l'autore non ha mai nascosto la sua adorazione per Salgari). Né un po' di ironia mitteleuropea viene mai a soccorrere o 1:1adttenuaretanta epica magniloquente. Un altro mare'si presenta invece al lettore /n modo ingenuamente enfatico, come un sicuro prodotto di Cultura Alta; come un·a poetica rappresentazione della Vita, dei suoi palpiti segreti e della sua struggente impossibilità. In questo caso si potrebbe citare, un po' maliziosamente, il Magris critico quando osservava che "il retore parla della vita, lo scrittore parla di volti,' colori o sapori della vita". In questo libro colori 'e volti ci sono; ma non acquistano quasi mai una vera pienezza narrativa. Eppure è proprio é:tllepagine del Magris critico che devo non solo la scoperta di autori e filoni letterari, ma anche, tra i Settanta e gli Ottanta, una utile e tempestiva opera di disvelamento delle miserie e fatuità della nostra cultura: per esempio tutta la estrema fragilità di certe'interpretazioni nicciane allora molto di moda (come quella di Vattimo), o anche la pretenziosa artificiosità delle letture pubbliche di poesia, che imperversavano in quegli anni. Naturalmente il romanzo contiene acute riflessioni sparse, di taglio quasi aforistico e di varia natura (psicologica, antropologica, ecc.), come il passo sulla lingua italiana: "la lingua della dilazione e dell'accomodamento con l'insostenibile, buona per divagare e per confondere un po' il destino a fu,riadi chiacchiere". E così colpiscono per secchezza e sobrietà rappresentativa le terribili pagine sulla guerra, i tedeschi e la resistenza slava ("dicono che sulla Neretva e sul Kozara i tedeschi siano stupefatti di indietreggiare davanti à straccioni usciti dai boschi"). Ma i momenti in cui la scrittura si libera da q'ualsiasivaporoso manierismo sono quelli in cui diventa improvvisamente leggera come la piccola vela che scivola sul mare, non sentimentale e 'quasi "estatica". E questo può accadere anche in occasione di un evento drammatico come la morte di Enrico: "il corpo è un palloncino che un bambino soffia a tutto fiato, s'illumina dentro e si dilata( ...) non c'è nient'altro, nessuno che possa udire il tenue scoppio quando un ago di pino buca il palloncino". Forse il cl!ore di questo libro (ciò che insomma ha spinto il suo autore a scriverlo) consiste in un messaggio, cifrato o incerto, di silenzio (e direi della necessità del silenzio). In questo senso anche le frasi che possono sembrare stucchevoli o rigonfie sono appena uno schermo, un segnale depistante o forse un elemento residuale. Il silenzio che Magris vuole comunicarci doveva necessariamente venire r,iopo (e in contrapposizione) alle molte, troppe parole dei suo.i scritti di critica, e forse come loro risarcimento: insomma, il tentativo di catturare il "rumore del vento tra i rovi'\ che però, come Magris sa benissimo, si perde fatalmente nel momento iri cui viene enunciato.

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