CONFRONTI . Uncinemaaltrove. 11Unastoria semplice" di EmidioGreco Piero Spila · Da una parte, la voglia di chiudere con il passato, mettere il punto, archiviare. Dall'altra, la coscienza che niente è mai definitivo, nulla è come appare. Di qui l'esigenza ma anche la fatica di non accontentarsi, il piacere un po' amaro di coltivare il dubbio, il coraggio di dare luce agli angoli bui. Forse è questo il tema che più interessa in Una stqria semplice di Emidio Greco. Tratto dall'ultimo romanzo di Leonardo Sciascia, il film non si accontenta della densità quasi intangibile di quelle poche pagine (novanta scarse) e va oltre, sottolineando e dilatando dubbi e suggerimenti, accogliendone i veleni e inserendone altri. Con l'oggettività senza slanci delle sue immagini e con una messinscena, una drammaturgia dell'azione, una struttura narrati va essenziali, Emidio Greco conquista un'assoluta autonomia rispetto ali' opera di Sciascia, senza tuttavia tradirla. All'inizio del film, sul traghetto ch·e attraversa lo Stretto, il Prof. Pranzò (Gian Maria Volonté) guarda davanti a lui, come in trançe, in direzione della Sicilia. Non si vede nemmenodice, con impietosa incredulità - di solito qui già si vedono le case. Forse non c'è più. È solo il prologo di un viaggio che porterà l'uomo della Volvo (e lo spettatore con lui) in un universo di mostri e fantasmi, inafferrabile e misterioso, abitato e spadroneggiato da ignobili rappresentanti del potere (il Questore, il Commissario, il Giudice, il Prete: "maschere" che si rappresentano ed esauriscono solo con le loro azioni, i cui contorni fisici e morali sono così Massimo Ghini e Gianmario Volontè in' Unq storia semplice di Emidio Greco. scontati che anche la più feroce stilizzazione riesce a farli apparire realistici), un universo segnatoda dimore disabitate da anni e da visitatori che riappaiono inaspettati da chissà dove e perché. Un universo in cui tutto è verosimile ma anche assolutamente falso, il cui male della società o i vizi degli uomini sono appena evocati e mai resi espliciti (la mafia sta nell'indolenza della giustizia, nella stanchezza dei rituali, nella naturale abitudine alla rinuncia, la droga è poco più di un odore). E nelle ultime scene del film, sempre il Prof. Pranzò conclude il suo discorso esaltando la forza della ragione solo denunciandone i suoi limiti. "La matematica è affascinante - dice, offrendo una tazza di caffé al giovane brigadiere - ma vi sciolga sempre qualche dubbio dentro". Il finale del film è amaro: "giustizia è fatta" ma solo per caso e grazie a un'altra ingiustizia; Pranzò avrà un'ulteriore motivo per il suo sconforto e il giovane Uomo della Volvo, che per aver voluto testimoniare ha corso il rischio di finire accusato decide anche lui di farsi i fatti propri. Stanco, malato, con lamorte che visibilmente si avvicina, Pranzò non crede alle verità assolute ma solo ai limiti della verità. È un atteggiamento che dovrebbe appartenere anche allo spettatore ideale di Una storia semplice dove lo schermo ha un valore assoluto (il rigore, la tenuta del racconto, la compostezza delle immagini) ma non definitivo: un'operazione linguistica che vale come punto di partenza e non di arrivo, perché è dietro e altrove celata o artificiosamente mascherata, la verità che vale la pena di cercare. Uno più uno fa sempre due, ma il due nn ha valore assoluto in sé, e vale solo nella regola e nel processo che lo hanno determinato. In Una storia semplice la lettera scritta da Roccella prima di morire era una lettera d'addio o di denuncia? La questione è solo nel punto messo in fondo a una frase ("Ho trovato."). Nel film ci sono tanti personaggi che vogliono credere a q_uelpunto e mettere fine alla storia, e c'è solo il brigadiere convinto invece che quel punto sia stato messo dall'assassino. "Tu vuoi fare complicata una storia semplice", lo rimprovera il Questore. Eppure, è attorno a quel piccolo segno ortografico che si aggira l'enorme problema della verità e della finzione, dell'agire e del continuare a far finta di niente. Non è un modo "comodo" di proporre e fare cinema. Per autori come Greco, fare cinema non consiste nell' inseguire o perfezionare una verità codificata (il punto) e quindi unanimemente accettata, e neppure si esaurisce nell'operazione puramente stilistica di renderla "rappresentabile" e quindi più "smerciabile". Viceversa, il problema è addentrarsi nelle zone in ombra, cogliere le ambiguità, insinuare incertezze, denunciare sintomi e disagi. Se è la messa in discussione della verità la vera verità, nel cinema contemporaneo l'unico spazio percorribile sembra proprio quello che divide il vero dal verosimile. In questo senso, rigorosamente lontano da ogni illusione naturalistica, il. cinema di Greco si fonda essenzialmente su un'idea espressiva dell'apparenza. Un'apparenza posta non come negazione ma come prolungamento della realtà, quindi come sua estensione, disvelamento e appropriazione anche degli aspetti che la rendono ambigua, parziale e vulnerabile, e dunque la mettono in crisi come valore estetico (ed etico), assoluto. È un cinema deterministico nel senso che rappresenta gli effetti delle scelte e dei comportamenti degli uomini (l'apparenza) senza dimenticare l'esistenza delle cause (la realtà che si sottrae o che è impossibile rendere oggettivamente); un cinema dunque in qualche modo ferito dalla sua parzialità, dalla coscienza di non poter rendere plausibile l'unilateralità delle ragioni o l'assoluta fortuità dei punti di vista. È sempre a partire dall'apparenza (messa in discussione da procedimenti stilistici e interventi linguistici) che si può avere un'idea, almeno più comeleta, dei limiti e dell'inaffidabilità del reale. "E postulando l'impossibile che l'artista si procura il possibile". Adattando questa vecchia affermazione di Goethe al discorso che ci riguarda, si potrebbe dire che è solo partendo dalla sfiducia nella rappresentazione realistica delle cose che ci si può avvicinare di più alla realtà, è accettando il rischio del "verosimile" (o.dell'artificio espressivo) che si può arrivare a un cinema libero da.ogni obbligo (narrativo, comunicativo, civile) e quindi più aperto e coinvolgente. In Una storia semplice il personaggio del Prof. Pranzò ha visto e vissuto molto, e proprio per questo ha la purezza di sguardo di non accontentarsi della verità più immediata. "Lei crede che questa sia la verità?", dice al brigadiere convinto di aver risolto il caso. E la sua domanda, · drammaticamente retorica, riapre tutto il film (in questo davvero film civile) a un rapporto parziale, personale ma anche inesauribile con lo spettatore.
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