Ilmondo ili Natalia Marino Sinibaldi • Accade spesso che la morte di una persona ammirata e amata ci lasci la sensazione di aver perso Ùnmondo. Ma nel caso di.Natalia Ginzburg questo senso di s·ottrazione è particolarmente acuto. Perché Natalia Ginzburg è spesso sembrata dedicarsi proprio alla difesa, alla conservazione della memoria di un mondo e dei suoi abitanti: quella Torino d~lla sua infanzia e adolescenza in cui, da una piccola cerchia di amici, nacque{0 una ca.sa editrice, un partito politico e soprattutto alcune delle avventure· intellettuali più degne della nostra storia recente. Al di là delle differenze politiche e individuali, da quel tempo c6ntinua a provenire anzitutto una lezione di stile e di moralità. E non si può capire il senso e il valore di Natalia Gìnzburg come scrittrice e come intellettuale se non si parte da lì, da quel piccolo mondo di affetti e di esperienze in cui la sua personalità silenziosamente. _si è formata. Ma per noi il riconoscimento di quella forte e profonda radice è sempre più difficqe. Perché quello che ci sembra lentamente sparire con la scomparsa dei suoi protagonisti ·è un irltero universo di valori e di esperienze cui con fatica sempre maggiore riusciamo a guardare. Così è potuto accadere che leggendo o ascoltandò Natalia Ginzburg, ma anche altri, Nuto Re velli o Vittorio Foa, per.esempio, o sfogliando gli epistolari recentemente.pubblicati dei Gobetti o di Giorgio Agosti e Livio Bianco, si provi l'impressione di udire la lingua estinta di un mondo scomparso, una sorta di yiddisli che spio parzialmente siamo in grado di decifrare. _Eppure quella lingua non solo Natalia Ginzburg ha continuato a parlarla, ma ha trovato nella letteratura Io strumento per diffonderla e renderla forse più comprensibile. E dunque ha fatto di più che preservare un mondo dall'oblio, perché raccontandolo ne ha reinventato· le parole e i valori. Ma il richiamo a qµell?origine non può naturalmente riass~ere una vita lunga_e una espe- · , rienza intellettuale piena come.quelle di Natalia Ginzburg. Anzitutto perché le inclinazioni personali scavano oifferenze decisive e separàno identità forti. Ho assistito una volta a uno straor-' dinario dialogo radiofonico• tra Natalia Ginzburg e Vittorio Foa che era un esempio di affettuosa e consapevole totale incomunicabilità. Perché tutti gli elementi della conversazione e soprattutto quelli che riguardavano il presente e il futuro collettivi, ricevevano da quelle persone così amiche e vicine due letture specularmente opposte. In nome qi due a!titudini iJ;ridilcibili:.. l'ottimismo di Vittorio, il pessimismo di Natalia. Naturalmente a quel mo!ldo geneticamente iscritto nella sua personalità Natalia Ginzburg non ha aggiunto solo quella sorta di pessimismo pregiudiziale e vigile (dico pregi udizialè perché ricordo come a chi tentasse di spiegarlo alludenCO N.F ~ONTI • I Foto di Marco Merlini (Effige). do a tante vicende non facili della biografia di Natalia, Vittorio Foa, col suo silenzioso consenso, garantisse che lei era sempre stata così, e su questo poco contassero le tragedie e le sventure ...). A quell'antica lezione di moralità, alta nella ·sua nobiltà e a volte, però, un po' fredda e chiusa, Natalia ba sovrapposto una forte e calda curiosità per il mondo, con la continua tensione a una sorta di radicalità sentimentale che le faceva prediligere i versetti dell'Apocalisse: "Oh, fossi tu caldo o freddo! Così, poiché tu sei tiepido, né freddo né caldei, sono sui punto di vomitarti dal la mia bocca". Questo orrore per la tiepidezza stava dietro'la continua disponibilità e tensione a scegliere e schierarsi, si ·trattasse di Serena Crui o di Adriano Sofri. Con coraggio, anzitutto, con la consapevolezza di un ruolo pubblico e il senso di una responsabilità civile. Ma anche, spe~so, con l'aperta rivendicazione del. diritto superiore dei sentimenti, la legge più alta, per Natalia,,e più difficile da capire per gli uomini, per i màschi. · · ' · . Insistere su. questi aspetti della personalità dì Natalia Ginzburg non vuol dire sottovalutare l'importan.zà del suo lavoro specifico, quello di scrittrice. Penso anzi che i prodotti di questa <,1ttivitàsiano stati più ricchi e complessi di quanto non appaia nelle semplificazioni corren- ~i, ohe schiacciano l'opera della Ginzburg tra due estremi, stilistici se non cronologici: I' irripetibile (elicità del lessico famigliare e Ì'asprezza sempre più faticosa di quelli che Garbo li· ha chiamato i suoi romanzi romanobàbÌlonesi (da Caro Michele ala città e la casa). C'è i11vecen, ella l'ungaattività letteraria di Natalia Ginzburg, molto altro ch'emeriterebbe di essere riletto e studiato: in opere considerate secondarie (Valentino, per esempio), nel teatro e soprattutto nella scrittura saggistico-narrati-va di raccolte come le piccole virtù o Mai.devi domandarmi. Ma al di là dell'importanza delle singole opere, quello che qui colpisce è il senso di questo percorso narrativo in rapporto a quella lontana e forte origine familiare e intellettuale. Se c'è infatti un nodo di sentimenti che domina la narrativa della Ginzburg sta probabilmente in un senso di perdita e di corruzione continua, nell' irreparabilità delle scelte, gli errori, le necessità che consumano una pienezza iniziale (che forse è felicità o forse è innocenza) e la dissolvono. Così Natalia ha finito per osservare e raccontare proprio ciò che del mondo sembrava farle più orrore: la disgregazione di affetti, famiglie, amicizie, idee. E però io credo che Natalia Ginzburg continuasse a pensare e a ragionare in quella specie di yiddish che aveva appreso tanto tempo fa. Pochi mesi orsono, una rivista letteraria aveva chies,to a vari scrittori italiani di spiegare in che cosa consistesse, secondo loro, la crisi del romanzo. In mezzo a tante considerazioni più· o meno acute e professionali, le parole di Natalia sembravano provenire da un altro paese (un mondo scomparso, appunto), talmente diversi ne erano registri e motivi: "Chi scrive sente una profonda sfiducia in se stesso, nel prossimo, nell'avvenire. Chi legge non ha voglia di leggere per la medesima opaca sfiducia, per disistima di sé e degli altri e perché non si aspetta niente dagli altri, e non crede che possa venirgli offerta dagli altri un'immagine del mondo, nella quale soggiornare durevolmente o abitare. Chi scrive romanzi ha bisogno di avere con sé il presente, il passato e l'avvenire. Deve poter credere in queste tre dimensioni. Del presente, vediamo il disordine, i mutamenti continui, la precarietà. Il passato lo vediamo carico di vizi e di colpe, e così pesante che ci si astiene dal trasmetterne il carico ai nuovi nati. Dell'avvenire è meglio non parlare ..." È facile misurare quanto siano distanti queste idee e questa concezione della letteratura da quelle che hanno oggi più ampia circolazione. E ·dunque anche qui, nell'immagine del proprio lavoro che per tutta la sua vita Nataiia Ginzburg hà conservato e coltivato, sembrano riemergere i tratti indelebili di una formazione antica e di una inattuale radicalità etica. Così se la presenza forte e costante ma mai rumorosa di Natalia Ginzburg nella nostra storia intelJettuale ci ha insegnato qualcosa, sta nel fare attenzione e nel prendersi cura delle cose piccole, ma pensando e guardando in alto. Questa trovo sia ja lezione incisa in un suo breve scritto "pedagogico": "Per quanto riguarda l'educazione dei figli, penso che si debbano insegnar loro non le piccole virtù, ma le grandi. Non il risparmio, ma la generosità e l'indifferenza al denaro; non la prudenza, ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo; non l' astuzia, ma la schiettezza e l'amore alla verità; non la diplomazia, mal' amore al prossimo e l' abnegazione; non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere ..," "Non le piccole virtù ma le grandi": viene da pensare che se la morte di persone come Natalia Ginzburg ci colpisce di più è perché viviamo'in un mondo diverso, dove trionfano virtù banali e microscopiche. 23
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