nemmeno i nativi, i quali chiacchierano semmai sulla soglia dei negozi. Di giorno, s'intende. Di notte ci sono stati anche degli accoltellamenti, Qui di notte passano solo ignari drappelli di giapponesi, col cappello moscio da turista in testa, del tipo con il taschino sopra, chiuso da una lampo: O qualche classe di liceali in gita scolastica, scappati in blocco alla professoressa che voleva prendere il gelato a Trastevere, alla ricerca del "Best Life Disco Club". Il resto della viuzza, anch'essa battezzata a ricordo dell'epopea dei Mille, contiene: un ferramenta, una merceria, un prodotti per la casa che tiene anche legna, carbone e bombole del gas ed è spesso· chiuso perché il titolare fa interventi estemporanei da idraulico. Ha inventato lui gli sciacquoni trasformati in rudimentali autoclavi che gorgogliano ai piani alti dalla parte dei cortili, sfruttando la pressione di rimbalzo per far cantare i rubinetti degli appartamenti abusivi (caduti in prescrizione o sanatoria) costruiti sui terrazzoni piatti e grigi, ispidi d'antenne. Queste sono talmente intricate tra loro e piene di scatolette a mo' d'alberi diNatale che prendono tutto il prendibile, pure Tele Sabina e se ci fosse _ Tele Ponte Mammolo, accavallando estrosamente le immagini, peraltro · abbastanza sovrapponibili visto il genere di trasmissioni in auge. Seguono un vini e oli neorealista, una macelleria islamica e un artigiano tipografo e rilegatore, zoppo, con due bravissimi apprendisti somali, Ahmed e Nureddin, che reggono il laboratorio e che lui tratta come figli, visto che figli non ne ha e la moglie l'ha lasciato per un viaggiatore di commercio. Poi c'è una rosticceria frequentata quasi solo da arabi. Le loro attuali facce tetre sono dovute al cartello funebre fatto a mano che vedete tra le due entrate della rosticceria, quello con su scritto in grande "Amin Rafat Ghose Tamimi". È per un giordano, che faceva il manovale muratore, finché non è caduto. Nel senso che non è stato ritenuto un incidente sul lavoro. Non aveva contratto. E d'altra parte nemmeno famiglia. Solo quelli con le facce tetre davanti alla rosticéeria che, pur avendo già abbastanza guai in proprio; sono andati dal capocantiere, senza nemmeno sapere con esattezza per cosa protestare. La morte capita, questo lo sanno. Il capocantiere si è messo a urlare che mai più avrebbe fatto un favore a uno di loro. Ne farò io uno a voi togliendovi la curiosità di sapere perché la Piazza dei Cinquecento si chiama così. Si tratta dei soldati italiani caduti aDogali il 27 gennaio del 1887. Tempo fa qui è' era anche un monumento loro consacrato. È un episodio agli inizi della nostra avventura coloniale.L'imperatore d'Etiopia Giovanni IV considerava già un atto d'ostilità l'occupazione di Massaua, tolta agli egiziani, ma gli italiani, noncuranti, si spingevano verso l'interno, puntando sull'Asmara. Senonché il signore della regione, ras Alula, cinse d'assedio il fortino di Saati e sbaragliò una colonna di rinforzi e approvvigionamenti comandata dal tenente colonnello De Cristoforis, spingendola sul poggio di Dogali dove, circondati, i nostri militi caddero battendosi valorosamente, prima col fuoco e poi con le .baionette. Caddero tutti e cinquecento, come vogliono le leggi arrotondanti dell'epica, mettendo ovviamente fuori uso un numero doppio o triplo di nemici. Questo è, almeno, quanto raccontarono i superstiti, dati per spacciati dagli abissini e abbandonati sul campo, dove furono soccorsi il giorno seguente. A Massaùa si schiattava dall'arsura mentre su buona parte dello stivale fioccava una lenta neve ottocentesca. Depretis nominò Crispi agli interni, poi si spense lasciandogli la poltrona di primo ministro. Il governo di Umberto I, impegnato nei suoi giri di vite interni, inseguiva in Africa prestigio a buon prezzo e aveva anche intrecciato cordiali rapporti col re dello Scioa in piena espansione, l'esimio Menelik, che quello stesso anno riusci va, guidando personalmente l'esercito insieme al cugino ras Makonnen, ad annettersi il prezioso emirato di Harar. Così il negus Giovanni, schieratosi al fianco del suo vassallo Alula, finì per essere costretto a disinteressarsi del corpo di spedizione italiano, subito ampiamente rafforzato, e risalire sull'altipiano per fare i conti con la crescente potenza del rivale. La prospettiva non doveva entusiasmarlo e volle approfittare di un'incursione di dervisci mahdisti nel nord del paese per galvanizzare le sue truppe con uno scontro vittorioso. Ma fu abbattuto da una pallottola vagante e la sua testa finì a spasso per i villaggi arabi del Sudan, infilzata sulle lance dei seguaci del Mahdi. Nella confusione che seguì alla sua scomparsa, Crispi fece il benedetto colpo di mano e s'impadronì dell'Asmara. Incoronato intanto imperatore Menelik nella smagliante capitale che aveva da poco fondato, Addis Abeba, si strinsero con lui accordi variamente interpretabili e ras Makonnen se ne IL CONTESTO venne a v1s1tare la nos.tra penisola. Ma Crispi, in gioventù esule mazziniano e ora invece padrino della colonia Eritrea, voleva risultati concreti e brillanti, ·mica salamelecchi. Tanto brigarono dunque gli italiani, serpeggiando con astuzia - secondo l'inseghamento degli antenati romani - tra le discordie locali, che s'impadronirono di tutto il Tigré. Ma così era troppo, anche per il cauto Menelik. Sicché gli etiopi ritrovarono l'unità e l'eroismo di Dogali potè essere bissato ali' Amba Alagi e poi tradotto in kolossal cinemascope (starring tra gli altri, accanto al Negusa Nagast, i citati ras Alula e Makonnen) nell'imboscata di Adua, dove morirono in un giorno più soldati del regio esercito che in tutta la precedente guerra d'indipendenza contro gli austriaci. Il Cri spi fu travolto dalla sconfitta e scomparve dalla scena politica. Sì, allora succedeva ancora. Ecco dunque che il nome della piazza, un secolo dopo, appare a suo modo istruttivo, e potrebbe perfino mestamente e malignamente inorgoglire qualche africano che vì transita, se sapesse. Comunque, diciamolo: Menelik II, l'aristocratico arnhara che sosteneva di discendere dal re Salomone e dalla regina di Saba, non si sentiva granché africano e negò sempre risolutamente di essere negro. A Maria Luce non piace passare da Piazza dei Cinquecento e le sembra di dover fare molta attenzione a non calpestare siringhe e filar via in fretta, tanto più adesso con quel vestitino corto e la borsetta in mano coi soldi dentro. Così, quando dall'angolo sbucano due berline lucide a tutto gas, la prima con una sirena appoggiata sul tettuccio e la seconda seguita da due agenti in motocicletta, lei si blocca, indietreggia d'istinto, ma incespica, perde l'equilibrio e cade su un espositore dell'edicola, finendo a terra in mezzo ai titoli della locandina del "Messaggero". Tutti seguono il filo della sirena e le sgommate. Maria Luce si rialza da sola e si scusa.con l'edicolante. Non si è fatta niente, ma le calze nuove sono smagliate. Magari troverà anche una macchia sul vestito. E non fa più in tempo a cambiarsi. Fabio sente una sirena che lo fa emergere dal suo rimuginare lungo l'inferriata. S'accorge finalmente che è tardi e si mette a correre. Urta un nero atletico con il vestito nuovo, che cammina con aria imbambolata. Nessuno dei due fa caso all'altro. Chiara gli aprirà con addosso il carnicione cli sua nonna, i capelli bagnati e una tartina morsicata in mano. E lo assalirà:"Beh, cosa ti è successo? Ma insomma, con gli scoppiati che ci sono in giro ... Ancora dieci minuti e mi mangiavo tutto! Questa meridiana ti ha fatto perdere la bussola, eh?", eccetera. Chiara si esprime a ventaglio, confondendo così quel che le preme di più. Lui non le risponderà. Stringendola sentirà il contatto del suo seno e l'umido del rame vivo, e il rumore di qualcosa che si rovescia. Entrerà dentro Chiara per uscire subito dal mondo: "Basta, non esistono più". E funzionerà. Certa gente ha tutte le fortune. · La bimba zingara non guarda da nessuna parte, o meglio lontano, oltre la grande ala nera ricamata dalla miriade d'uccelli nel cielo ancora brillante, come lo dipingevano secoli fa i meravigliati fiamminghi venuti ad affinare l'arte in riva al Tevere. Continua a mormorare le sue litanie slave. Ha un'ecchimosi sul braccio, per aver risposto male al capo del campo dove vive, che non è suo padre. Il bambinello, che non è nemmeno suo parente e non parla ancora, ha gli occhi chiusi e il naso pieno dì moccio, i capelli appiccicati alla fronte sotto il berretto a strisce rosse e blu. Il barbone è tornato al suo posto e guarda tutti inquisitorialmente negli occhi, con l'aria di essere lì lì per dire qualcosa di terribile o terribilmente supplichevole e la mano protesa, rivoltata, concava, come a sostenere un globo terracqueo o una sfera di cristallo che non ha, più ancora-che a chiedere qualcosa. Beh, e voi cosa fate ancora lì davanti alla stazione? Suppongo non vi interessi comprarvi_mutande, telefoni finti, tabacco di autentico contrabbando, cartoline animate col papa benedicente, portafogli firmati, il meglio di Sanremo, eccetera. Allora vi restano varie scelte: potete fare una lunga coda e prendere un taxi, dove vi deruberanno in piena legalità, o salire sull'autobus n. 64 diretto al fulcro della cristianità, sul quale forse vi deruberanno illegalmente, o avviarvi a piedi alla scoperta della starnazzante città eterna, dribblando i tavolini che invadono i marciapiedi e le auto in doppia fila, o rifugiarvi in un museo aperto, in cui ~ superata una fantasiosa serie di ostacoli - potreste anche avere una fuggevole visione delle inimmaginabili bellezze che Roma ha nondimeno accumulato più d'ogni altra città al mondo nella sua lunga vita. Oppure, naturalmente, girare i tacchi e tornarvene da dove siete venuti. Che non è né meglio né peggio, ma ci siete abituati. 21
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