Linea d'ombra - anno IX - n. 65 - novembre 1991

ILCONTESTO il quale andarlo a prendere davanti al ministero. Lui non se lo aspetta. Da quando ha vinto quel concorso, invece di sentirsi realizzato, ogni tanto mugugna scontento, come se dovesse ingoiare chissà quali rospi. Ma in· fondo è un ottimista e si riprende. Maria Luce conosce i suoi gusti. È diretta verso la libreria e il negozio di dischi che si trovano accanto all'ufficio postale. Eh sì, Piazza dei Cinquecento offre sorprendentemente anche tutto questo. Comprerà l'ultimo De Gregori oppure qualche · vecchio titolo dei Beatles uscito in compact e poi un albo di Altan, perché il marito attacca le sue vignette in bagno e ci ride di cuore. Decide anche lì per lì che dopo cena andranno al cinema, a vedere quel film impegnato sui delinquenti minorenni di Palermo. Niente "stomachevole hollywood", come dice lui dei film che le piacciono. Non si potrà certo lamentare. Sul marciapiede, Fabio si riscuote mentre le sue retine selezionano per un istante la snella figura della ragazza che scivola morbidamente via. Ha detto a Chiara che non avrebbe tardato. Forse sta in pensiero. Rivede gli occhi trasparenti di lei, come quel ruscello di Tarvìsio, in una loro domenica. Lui era rabbuiato per via delle umiliazioni che incassava in caserma e imprecava contro la stronzaggine del capitano, strappando erba tutt'attorno a sè. Ma poi guardò verso l'acqua luccicante e Chiara che aveva messo il vino bianco al fresco e, seduta su un sasso, sfiorava la corrente con la punta dei piedi. Allora pensò: "Non devo permettergli di rovinarmi anche questo. Basta, non esistono più". E funzionò. Mamadou Ndiaje si avvicina al vecchio mendicante, uno che sta peggio di lui. Ha l'impulso di mettergli in mano una banconota, oggi che può. Per ringraziare la fortuna e tenersela vicina. Viene da una giornata passata a fa.requello che nemmeno si sognava più, dopo tanta astinenza. Anche se doveva trattenersi e sulle ragazze schizzava una poltiglia fatta, gli pareva, con farina bianca. Ma lo hanno portato in taxi fino alla Cassia, gli hanno offerto pranzo e un whisky, e dopo regalato il vestito. Impersonava il figlio di un ambasciatore africano che interveniva come inaschio esotico alle orge nella villa d'una dirigente d'azienda. È successo tutto in fretta, inaspettatamente: lui ha solo obbedito senza pensare. Poi gli hanno detto che si può ripetere la cosa, ma con uomini. E guadagnare molto se non ha problemi a farlo davvero, a casa di certe persone che pagano. Non ha risposto nulla, si è solo messo in tasca il numero di telefono. La sua vita è dura e intorno c'è tanta ricchezza, che diavolo. Ma gli torna anche in mente la storia sentita raccontare dal burkinabé Léon al "Catullo", di un pakistano trovato incaprettato e sgozzato in un magazzino non distante da lì. Questioni di gelosia, o un avvertimento perché aveva sgarrato o voleva uscire dal giro. Il vecchio mendicante guarda spiritato il giovane alto e robusto che lo sovrasta. Ritira la mano solcata da nere strisce di sudiciume, si inarca all'indietro e grida versa l'alto: "Schifosi musulmani, ci venite a rubare il lavoro!" "Sono cristiano" dice lui. Lo dice piano, un po' confuso. Il vecchio afferra i soldi e corre alcuni metri più in là. Si gira, ride. Sputa a terra. Fa ancora alcuni passi. Borbotta. Mamadou Ndiaje ricorda un missionario del sobborgo polveroso dov'è cresciuto. Soprattutto i suoi occhiali, con una lente incrinata e una stanghetta riparata col fil di ferro. Gli cadevano sempre. E dietro gli occhi umidi, mansueti. S'ostinava con lui e altri mocciosi che gli davano retta una volta su tre. Non voleva che la gente linciasse. i ladri d'auto, nemmeno quando ferivano le persone. "Siete cristiani", ripeteva. Poi Mamadou se n'è andato insieme al fratello in un quartiere migliore. Ha fatto il sorvegliante e venduto medicinali contraffatti, mettendo insieme i soldi per il biglietto. In Italia è riuscito a entrare per miracolo. Ha scaricato cassette di frutta nella notte e venduto chincaglieria, ma spesso ha anche vagato senza lavoro, dormendo con altri come lui in un capannone abbandonato o in un albeghetto lurido, il "Catullo", dove si pagava parecchio per stiparsi in dieci in una stanza. Finché i carabinieri lo hanno chiuso, arrestando il proprietario, denunciato dai vicini non come strozzino, ma perché gli ospiti erano troppi e piuttosto scuri. I tunisini sono riusciti a fregarsi i materassi, gli asciugamani• e il fornello dalla finestra del cesso. Li ha visti che se li portavano via, con Fàdel che dirigeva le operazioni. È un tipo organizzato Fadel Zribi. Possiede anche un camioncino "Ape". Proprio àllora, quando le cose qui gli sembravano messe molto male, ma di rimpatriare non se ne parlava neanche perché sarebbe stato pure peggio, una signora bionda elegantemente vestita di azzurro lo ha fermato mentre usciva da una mensa della Caritas dove 20 davano pane e minestra. Per sua fortuna, dovevano sostituire subito un negro che non si era presentato. E Mamadou Ndiaje è un uomo che si nota, caspita. Non vi dovete stupire. li quartiere attorno a Piazza dei Cinquecento, da brava suburra, ha naturalmente anche il suo volto a luci rosse. Alla voce "compagnia" o "relax" o "massaggi" delle edizioni locali dei quotidiani si trovano molti indirizzi di queste vie garibaldine. Qui esercitano quelle con poco da perdere, in un debutto con scarse prospettive o ormai alla fine della carriera. Negli annunci si fanno precedere dall'avverbio "veramente". Veramente giovane. Veramente sexy. Perché il quartiere è quello che è e i clienti altrimenti non si farebbero illusioni. D'inverno quelle di colore mettono "abbronzatissima". Va da sé che risultano tutte fotomodelle. Con il risanamento tornerà forse l'alto bordo, gli accoglienti saloni per esecutivi di passaggio. Noblesse oblige. Ma per ora, prendendo ad esempio per quella traversa e infilando il terzo malconcio portoncino, si sale a un interno senza cognome sul campanello. Lì c'è un appartamento come tutti gli altri del circondario, con solo qualche stipite in più del normale. C'è una cucina con adesivi di personaggi di telenovelas sulla porta del frigo, cocci avuti coi punti del mulino bianco nel lavello, buoni sconto sotto il barattolo del caffé in chicchi. Poi un soggiorno con telefono e tivù, qualche volume di un' enciclope_dia per la casa, riviste di moda con supplemento bellezza e viceversa, portaceneri e altri soprammobili d'indecifrabile origine (uno raffigura, come impone la tradizione, un pierrot) e così via. Sui lati sono stati ricavati due stanzini riservati per l'attesa e dietro c'è l'alcova. Lei è "la francese": babbucce rosa antico con un gran pompon, kimono rosa pallido a fiori fucsia, caschetto nerissimo e labbra carminio. "Chéri" a tutti; qualunque cosa le chiedano: "mon chéri", come i cioccolatini. Fregandosene del trade mark. I clienti arrivano al più spesso con una vaHgetta in cui tengono le loro cose da metterle o mettersi addosso. La usano come attaccapanni per scopare coi loro ricordi, desideri, fissazioni. E lei giù "chéri", dolciaria. La Piaf in sottofondo: Hymne à l'amaur, L 'accardeaniste, Nan,je ne regrette rien. Canzoni che sa a memoria, che non ascolta più, già vecchie quando era bambina. Fanno tanto folì bergèr, le ha detto uno. Macché, chéri. A quai ça sert l'amaur, e loro tirano fuori fotografie, cinghie, alimenti, reggiseni forati, frettolose e spropositate idee su come si può usare un decimetro quadrato di anfrattuosità francesi. Tutt'al più alterna con Mireille Mathieu: Je veux t'aimer camme une femme, On peut encare maurir d'amaur. Eh già, voi parigine le sapete tutte ..., fa un altro. E lei dice bien siìr, anche se è di Saint-Étienne e la vita l'ha fatta a Marsiglia. A Parigi c'è stata da piccola a trovare degli zii e poi una settimana con Monique e Manuela, due amiche. Beh, amiche ... du'e di "Les girls". Altri tempi, mon chéii. Lo scenario ha beninteso alcune varianti. Alle volte sono cunicoli con una cameretta in fondo ·e le pareti rivestite di drappi e specchi. Lampade viola acquario e slow rock, Mina o "Le indimenticabili musiche da film". Nel corridoio, scandito da quadretti di spiagge tropicali o della serie "Scorci di una Roma che non c'è più", si trova strategicamente piazzata la tizia che viene ad aprire, con grembiule e cuffietta. Accanto a lei secchio, cencio e lisoform, come se stesse pulendo. Son molti i piçcioni presi con quella fava: dà un'impressione di igiene agli esigenti, sdrammatizza per i nervosi, controlla !'-andirivieni. Ma non fa accomodare nessuno. Dice che la signorina è occupata e di ripassare dopo un tot. Altre ricevono personalmente, in guepière, spalmate di fondotinta e trucchi. Sono quelle che negli annunci mettono solo più cose come cultura, distinzione, educazione, accompagnate dall'aggettivo "raffinata". È _l'ultima sponda, la cultura. Poche ricorrono ad "affettuosa" o simili. Non tira. Non qui, almeno. Sembra una debolezza superflua. Disponibili anche a quello lo sono pe_rdeontologia, che diamine. Infine, vanno ricordate le pseudo-pensioni, dove appendono un "completo" fisso o al citofono rispondono che no, che non c'è posto. Ne trovate una proprio dietro l'angolo, al quinto piano, col nome scritto a neon: "Felicita", senza accento. S'informano solo gli irregolari non-CEE (la cui filosofia suggerisce di provarle cutte), gli americani provvisti di un'ediz.ione datata della guida "Europe on 10 $ a day" e qualche tedesco brillo. Questi ultimi sbagliano numero civico. Sono infatti alloggiati nella stessa via, in un hotel per turisti sull'andante con moto che occupa un intero caseggiato: tutte le finestre sempre spalancate, stese di magliette da far invidia al bucato dei nativi, stereo iinperterriti, bottiglie di plastica, ilarità e richiami da un piano all'altro. Questo non lo fanno più

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