Linea d'ombra - anno IX - n. 65 - novembre 1991

IL CONTESTO varcai, la mano stretta in quella di mio padre, la soglia della casa di quel famigerato. Ch'era un vecchio imperioso, compassato, e ascoltò il racconto, pensò e quindi sentenziò, rivolto a mio padre: "Tempò mezz'ora potete partire con le lenticchie vostre". Poi, smuovendosi appena, chiese a me il nome e mi disse che avevo gli occhi da birbante, mi regalò il dolce e diede il pizzicotto sulla faccia. A "Samarcanda" ora. Strombazzato per più giorni dai giornali, volli vedere quel programma, con tutti i suoi innesti e il passaggio di mano al "Costanzo show". Il diverso stile subito mi colpì dei due direttori o conduttori. ·Alatomi sembrò quello del primo, del Santoro. Da sopra la ribalta del teatro Biondo di Palermo, dirigeva, le mani avanti, una invisibile bacchetta fra le dita, una portentosa orchestra di emozioni, un immenso coro di voci più varie, disparate. E leggero si librava nell'aria, piroettava, fremeva, vibrava, incitava, ammoniva, commoveva a sua volta, indignava, inveiva, come neanche un Toscanini o un Abbado, un Wagner, un arcangelo piuttosto o un santo che proclama l'instaurazione sulla Terra della Comunione di tutti i santi. Posato lo stile dell'altro, del Costanzo. Fermo, corposo, greve oserei dire, quasi addossato all'esecutore, sfiorando questi con la mano, toccandolo, gli soffiava nell'orecchio domande, suggerimenti, tono di voce, vigore, ammiccando lepido, faceto, sornione, per esplodere però inopinatamente in suoni e gesti · estremi, fragorosi, eclatanti: Come quando dà fuoco, lì sul palco, per ben due fiate, a una maglietta, una T-shirt, con su la scritta, mi pare, MAFIA by ITALY. Distruggeva così una merce esecranda, bugiarda e infamante, per veicolare una merce morale, mite, santa, confortevole, protettiva, merce priva di dolore e sangue, interrompendo nei momenti più alti l'orchestra e annunziando i "Consigli per gli acquisti". La rappresentazione di una tragedia collettiva, della Tragedia nostra, mi sembrò quella trasmissione-fiume, quello spettacolo, con i testimoni-messaggeri che narrano in teatro il fatto tragico successo altrove e in altro tempo, con il coro, con un numero infinito di spettatori e con la catarsi finale, resa visibile e quantificabile con l'accensione, al comando, di una lampadina nel nero della notte. E il bene e il male, in quella tragedia, come la luce e il buio, erano precisi, netti, inequivocabili. Il bene, indubitabilmente, i parenti delle vittime straziati dalla mafia e oltraggiati dallo Stato che quasi mai per loro è riuscito a fare giustizia. Il bene, certo, magistrati, forze dell'ordine, avvocati, giornalisti, tutti quelli insomma che per professione o vocazione la mafia combattono. Il bene anche sindaci, ministri, sottosegretari, uomini politici generici che in quello spettacolo appaiono e parlano contro la mafia, contro colleghi in odor di mafia. Il bene uomini della televisione pubblica e commerciale: bene dunque Manca, Guglielmi, Santoro, i suoi colleghi-aiutanti di "Samarcanda", noi tutti di conseguenza che votiamo per determinati partiti e permettiamo così la lottizzazione della Rai, che paghiamo il canone d'abbonamento, che guardando certi programmi facciamo audience; bene Berlusconi, Costanzo, il suo pianista, bene tutti gli industriali che danno pubblicità a Canale 5, e bene, di conseguenza, tutti gli ex-piduisti, pentiti e non pentiti, da Gervaso, a Selva, al defunto generale Malizia, al vivo Gelli, al morto Sindona ... Però Sindona è l'anello che non tiene: era P2, il bancarottiere, ma era anche mafia. E allora? Non capisco. Così non capisco come si possa mischiare un bene assoluto, sacro come la vita, con un bene relativo, profano come la merce. Allo stesso modo in cui non çapisco come si possa fare una campagna antirazzistica, mischiando assieme bimbi neri e bianchi, convincendo a comprare nello stesso tempo maglioncini ... Ma lasciamo andare. Questo discorso ci porterebbe un po' lontano. Abbiamo detto del bene rappresentato a "Samarcanda". Il male era la mafia, indubitabilmente e i suoi assassini, i suoi trafficanti di 8 Santara e Costanza in un fotomontaggio per la copertina di "Panorama". droga, i suoi appaltatori, riciclatori eccetera. I mafiosi noti e ignoti, condannati e impuniti. E male certamente gli uomini del potere politico che da quando è nata la mafia, dalla notte dei tempi, li hanno protetti, dai mafiosi si son fatti proteggere, anzi eleggere. Ora, questi uomini politici super o sub o para o filomafiosi sono rimasti sempre ignoti, sconosciuti, impuniti (tranne uno, Cianci mino, che forse è stato.dato in pasto, per chetarlo, al cerbero della Giustizia). In ciò sta tutto il risentimento, il furore anche - lo sa Dio quanto legittimo oltre che umano - dei parenti_delle vittime contro certi partiti di governo, i suoi uomini, nei confronti degli organi dello Stato che quei politici dovrebbero individuare, inquisire e condannare. In ciò sta l'ansia di verità, di chiarezza e di giustizia di tutti noi uomini di civiltà e di democrazia, di noi della società civile. Fra questi uomini ci sono naturalmente anche, o fra i primi, Santoro e Costanzo. I quali, soprattutto dopo la morte del valoroso Libero Grassi, interpretando il sentimento generale, la· generale ansia di giustizia, hanno inscenato quella trasmissionefiume, quello spettacolo. Il quale, da tragedia che era, si è subito stravolta in autodafè di inquisitoriale mémoria, con relativo pubblico rogo in effigie. Santoro, il direttore d'orchestra, si è trasformato in angelo giustiziere, sostituendosi alla polizia, alla magistratura, agli organi statali, portando alla ribalta un mafioso pentito e facendolo parlare, mandando un suo aiutante a scovare un verbale dei carabinieri e leggendolo pubblicamente (a sei o sette milioni di persone). Pentito e documento attestavano che il ministro democristiano Mannino Calogero, detto Lillo, era stato testimone di nozze del figlio di un famoso mafioso del Trapanese. Il Mannino era dunque un filo-mafioso, avrebbe dovuto subito dimettersi, essere inquisito ed eventualmente condannato. Intanto, che subisse, avanti a sei milioni di persone, avanti alla Nazione, la riprovazione generale, la condanna morale di tutti i buoni, e non fiatasse. Il panico, dicevo, il raccapriccio mi ha invaso a vedere quella trasmissione, il suo meccanismo. Il terrore che la sorte del Mannino, anche se non sono un politico (ma sono un siciliano! Faccio lo scrittore! Sono tante altre cose!), poteva toccare a me, a chiunque di noi. Nel vedere come ormai la televisione è uno -strumento pericoloso e incontrollabile, che può essere usato, da chi lo maneggia, come gli pare e piace. È per qu~sto motivo che ho resa pubblica all'inizio quella mia antica colpa. Per questo dichiaro di non conoscere il ministro Mannino (magari conoscessi un ministro!) e _ di non sapere se egli è stato o no contiguo a mafiosi. Ma la magistratura lo ha scagionato: chi lo riferisce questo ora ai sei milioni di spettatori di "Samarcanda"?

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