jugoslava; e si potrebbe continuare.L'insieme degli esperimenti - quanto sanguinosi! - condotti in nome del socialismo marxist;i lungo tutto il secolo e ai quattro. angoli del mondo costituisce ormai - come dire? - un "campione" ampiamente sufficiente. E dunque solo una persistente disonestà intellettuale - ma anche una btiona dose di indifferenza morale - può permettere di dire che il comunismo è altro (e perciò è vivo). Questa è ormai solo arroganza di corto respiro. · Il nodo vero sta invece nel luogo comune, molto diffuso a sinistra, secondo cui col comunismo finisce, puramente e semplicemente, la possibilità di una critica radicale al sistema di cose dominante, quello che chiamiamo capitalismo. È un luogo comune che, intanto, segnala la profonda ignoranza storica del fatto che gli uomini hanno prodotto utopie anche più radicali di quella comunista,· e che ancora in questo secolo non sono mancate figure, esperienze, teorie politiche in grado di criticare tanto il comunismo quanto il caJ?italismo. Ma a parte questo, il discorso andrebbe rovesciato. E stata la relazione. che negli ultimi cento anni è andata strettamente stringendosi tra valori critici e comunismo a indebolire progressivamente la radicalità e l'autenticità di quei valori; e· quel legame rischia ora di trascinare nella sconfitta, e poi nella soffitta della storia, quei valori. Ma se il problema e la paura giusta sono questi, qui c'è il terreno di una battaglia culturale e politica. Quella, difficile rria chiara, che mira ad affermare e allargare i valori che sono stati (o avrèbbero dovuto essere, o dovranno essere) della sinistra, e che i vari socialismi hanno represso, corrotto, negato. A partire dalla eguaglianza, dalla solidarietà, dalla giustizia sociale, classica triade sempre più stancamente e ipocritamente evocata; ma anche di valori che non appartengono alla tradizione della sinistra, come quelli ecologisti, da altri demagogicamente riven- ·.dicati ma perennemente "evasi" come quello della tolleranza, o Togliatti visto da Dcivid Levine. .. . / ...-·••' ,,·~·,, ~:}:\'t~ i ..:;;/'. ,· '.·. '·· IL CONTESTO da alcuni, infine, che addirittura contraddicono la storia della sinistra, come tutti i valori di rivendicazione dei diritti individuali di libertà, dei comportamenti di resistenza e di dissenso - particolarmente importanti in un'epoca di omologazione planetaria. Qui la nostalgia dei disfattisti è davvero segno di cattiva coscienza: dal punto di vista di questi valori la fine del comunismo non può che essere liberatoria. Di fronte ai problemi più importanti che abbiamo davanti - quello dell'immigrazione, per esempio - non vedo cosa abbia da dire la famosa utopia comunista (nulla da dire, verrebbe da sostenere, ma molto da dare: i corpi e le facce dei disperati che fuggono alla rovina di una ideologia, privati di tutto, perfino di una speranza un minimo vitale). Se non altro per questo la fine del comunismo è un elemento di chiarezza e una liberazione. Come ogni liberazione, propone rischi capitali ma offre una chance, una possibilità forse irripetibile: nel nostro caso, quella di restituire a quei valori la loro autenticità, quella verità che le esperienze socialiste hanno ovunque calpestato. Come ha detto Hans fonas in una bellissima intervista apparsa su "L'Unità" del 5 settembre scorso, "è assolutamente necessario liberare le sacrosante richieste di giustizia, di bontà e ragione dall'esca dell'utopia. Le si dovranno perseguire per se stesse, senza pessimismo né ottimismo, bensì con realismo, senza lasçiarsi trascinare da aspettative eccessive e senza cadere nella tentazione di pagare quel prezzo esorbitante che il chiliasmo, il millenarismo, per sua natura 'totalitario' è pronto a far pagare a coloro che vivono alla vigilia di quell'avvento.( ...) Dobbiamo definitivamente abbandonare l'idea di una 'preistoria:' che precede la 'vera storia', il fine definitivo per raggiungere il quale gli uomini diventano mezzi. E non solo perché tale fine non esiste (o se esiste non ci è dato di conoscerlo) ma anche perché ogni presente dell'umanità rappresenta un fine in se stesso." In realtà, dunque, non solo la storia non finisce; ma in qualche modo inizia ora, come liberandosi da incrostazioni e falsificazioni. Certo la storia, rimessa in movimento in questo modo, non offre né sicurezze né ripari; è terribile, faticosa, . crudele. E chi crede ai valori cui ho accennato è oggi, in Italia è fuori, sicuramente una ridotta minoranza. Da questo punto di vista, la sconfitta si è già consumata: ben prima e ben più che nella definitiva caduta delle ideologie marxiste, è consistita nel rovescio che quei valori hanno subito, su scala ·praticamente mondiale, nel corso degli anni Ottanta. Ma anche a questo proposito circola un disfattismo esagerato e ideologicamente sospetto. A me sembra ormai insopportabile, per esempio, la retorica della morte o del silenzio universale della sinistra. Non solo perché, come su "Linea d'ombra" abbiamo cercato più volte di dimostrare, c'è molta sinistra fuori dal comunismo. Ma anche perché una possibilità - solo una possibilità e forse rriinima, certo, ma a cui non vedo perché dovremmo chiudere la porta noi più o meno orfani di Karl Marx - è che dal crollo del comunismo nasca la sinistra. C'è un segno, minimo e paradossale, di questa possibilità. Nei giorni del golpe fallito in Urss, i mezzi di comunicazione hanno unanimemente usato il termine "destra" per definire i putchisti e. "sinistra" per indicare i resistenti, dentro e fuori le istituzioni. Questa temtinologia non era affatto scontata: perché mai gli anticomunisti dovrebbero essere di sinistra, e gli ultracomunisti di destra? Ma se quella definizione è stata pacificamente accettata, vuol dire che forse un'idea di sinistra c'è. La sinistra sarebbe - in Urss e altrove - il movimento, l'opposizione alla conservazione; ossia chi - in nome di valori anche ambigui nella loro elementarietà: libertà, democrazia, autode-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==