ILCONTESTO Il loro pessimismo, ci dicono Asor Rosa e Tronti, è volutamente esagerato "per piegare il ferro dalla parte opposta rispetto agli eccessivi entusiasmi dele ore passate". E ricordano che il comunismo non ha voluto dire soltanto costruire uno stato autoritario, ma "le lotte di milioni di persone che per ideali del comunismo puntavano a emancipare la classe operaia per emancipare tutta la società". A parte il riassunto del catechisino marxista-leninista, come si fa a non capire che il vero problema, il nostro problema, è proprio che queste lotte - eroiche e tragiche - non hanno emancipato nessuno, né la classe operaia né l'umanità, ma hanno solo permesso a nuove élites di costruire sistemi di sfrl!_ttamento inediti ma non per questo migliori di quelli abbattuti? E proprio un'amena sciocchezza pensare che il comunismo sia o non è l'esperienza storica perlomeno a partire dal secondo dopoguerra che suggerisce di considerare "conservatore (ma forse c'è bisogno di una parola peggiore) il ruolo svolto dal comunismo? Nella storia del comunismo post-bellico, per intenderci, la lotta degli operai delle Reggiane rappresenta un moscerino rispetto al pachiderma costituito dall'Urss e dai paesi dell'est europeo da essa soggiogati. Come non vedere che è stato proprio quel pachiderma a rendere più difficile che lotte analoghe a quelle degli operai delle Reggiane,potessero dare qualche frutto, in termini di emancipazione? Che il sistema comunista su scala mondiale narcotizzò ocomunque distorse anche le lotte fatte in nome degli ideali comunisti? Che esso produsse certezze ma non mutamenti? Quanto al sistema comunista interno all'Urss, che senso ha il ripudio formale dello stalinismo se poi si sostiene che "ora in · Unione Sovietica come in tutto il resto del mondo, libertà, giustizia ed eguaglianza, anche in conseguenza di queste recenti vicende, tendono drammaticamente a separarsi, anzi a contrapporsi"? Forse che in Urss libertà ed eguaglianza sono mai state contigue e non contrapposte nei decenni passati? Ma la frase che rivela nella sua pienezza il carattere nostalgico. di queste consideraziomi (e i connotati autoritari e "conservatori" che sorreggono questa nostalgia) è quella secondo cui "il crollo del punto di riferimento comunista-sovietico rischia di lasciare scoperto l'intero fronte della sinistra mondiale". Questo giudizio rende esplicito uno dei più grandi ·abbagli (teorici, strategici, morali) che la sinistra ha malauguratamente difeso per decenni; un abbaglio le cui tappe costitutive sono state il socialismo in un paese solo (anni Venti) e il "blocco" dei paesi socialisti (anni Cinquanta). Pensare all'Urss come punto di riferimento, fare della sua difesa e di quella delle democrazie popolari il momento primario, l'"orizzonte" della propria azione, è esattamente quello che ha impedito (oltre alla controffensiva dei capitalisti: ma quella era scontata) al Comintem e al Cominform di svolgere una qualsiasi azione a favore çlella rivoluzione e molte, invece, contro di essa. La questione, naturalmente, è complessa e non può essere risolta con poche e succinte argomentazioni. Perché non riconoscere, tuttavia, che proprio i tentativi rivoluzionari, almeno in' Europa, sono proporzionalmente diminuiti con il crescere della potenza socvietica; e che i tentativi riformatori, seinpre in Europa, hanno trovato un forte ostacolo proprio nella forza e nella strategia . dei comunisti, preoccupati principalmente di salvaguardare l' esistenza e la potenza del blocco sovietico? Diversa, e ancora più complicata non fosse altro che per lo stato delle nostre conoscenze, è la questione per i paesi del terzo mondo e per le rivoluzioni I).azionalie le lotte di indipendenza che lì si sono svolte. Se è vero che molte vittorie "progressiste" di questa seconda metà del secolo sono avvenute anche grazie ali' ombrello, alla protezione, alla neutralità dei sovietici, come non accorgersi che anche lì il risultato è stato generalmente l'opposto dell'emancipazione, la sua negazione? Siamo sicuri che in questo non entri per nulla il tipo di sistema esistente nell'Urss.e la qualità delle contropartite (politiche ed economiche) da essa richiesta ai diversi e vittoriosi movimenti di liberazione? Siamo propri sicuri che non sia stato l'abbraccio sovietico a salvaguardare - forse - l'indipendenza di Cuba, ma a sottrargli nello stesso tempo ogni possibilità di costruire una società emancipata, socialista? Se questi sono i problemi da discutere a fondo, e adesso sarebbe possibile farlo senza la fretta e l'angoscia di schier.arsicon chicchessia, perché mai ci si ostina a riproporre la logica degli schieramenti e degli anatemi? La sinistra italiana, dicono Asor Rosa e Tronti, ha l'obbligo di difendere Gorbaciov e il suo progetto riformatore rintuzzando ogni critica e ogni dubbio. Chi non lo fa è un nemico, oppure un amico fugace, unica concessione al clima più "tollerante" di questo fine secolo. Che poi quel progetto frani miseramente è, ancora una volta, peggio per la realtà. Sono le idee, anzi le ideologie che vanno salvaguardate. Chi si muove al di fuori di esse - magari ambiguamente, come Elts'in; e tuttavia con coraggio ed efficacia - viene iscritto d'autorità al "movimento di restaurazione conservatrice, persino, talvolta, con tratti decisamente illiberali" che ha costituito il nerbo della risposta di massa al golpe di mezzo agosto. , Di fronte a un tale modo di ragionare, che ricorda in maniera preoccupante le argomentazioni degli intellettuali comunisti dopo ·la rivolta ungherese del 1956, ci si può meravigliare se sentiamo il bisogno di tracciare una netta linea di demarcazione con chi ancora vuole restare un intellettuale comunista? Correremo il rischio - che in anni più drammatici fu quello di coloro che abbiamo scelto come nostri fratelli maggiori: Serge, Silone, Macdonald - di essere accomunati ai cantori del capitalismo, di venir presi per convertiti o pentiti. Il rispetto per la verità e la curiosità per la realtà valgono ben questo rischio. · la disfatta e il rancore. la sinistra dopo l'Urss Marino Sinibaldi Nella precipitazione di quel ciclo epico che questa fine di secolo sta celebrando sotto il nome di "Fine del comunismo", sono affiorati sentimenti e reazioni sorprendenti. Ce ne sono almeno due di cui vale la pena di parlare· perché appaiono particolarmente significativi della cultura, o meglio del senso comune, della sinistra. Per schematizzare questi sentimenti, potremmo chiamarli catastrofismo e rancore. · Il primo sta al fondo della diffusa sensazione di sconfitta, di disfatta, di disillusione. È la reazione di chi vede, nella fine del comunismo; l'irrimediabile caduta di ogni ideale critico verso lo stato di cose presente e di trasformazione radicale degli uomini e della società. In qualche sua estrema sfumatura, questo sentimento produce un'ultima difesa del comunismo - beninteso, quello utopico-immaginario, democratico, lontanissimo dal "socialismo reale"; insomma, quel comunismo irrealizzato, sfuggente, inverificabile e apparentemente inattaccabile. Ma la questione rappresentata dalla sopravvivenza di questo punto di vista mi sembra ormai praticamente irrilevante. La fine di quel "sogno comunista" nei paesi del socialismo reale è solo l'ultimo atto di una catena di fallimenti che hanno riguardato tutte le ipotesi tentate nel campo e nel nome del comunismo: non solo quella burocratico-autoritaria dell'Est europeo, dunque, ma ancor prima quella "sperimentale" maoista, quella ultraegualitaria delle guardie rosse, quella pragmatica di Deng, quella pauperista albanese, quella autogestionaria e moderatamente consumista
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