Linea d'ombra - anno IX - n. 64 - ottobre 1991

STORIE/KUREISHI scuote la testa. C'è nessuno lì dentro? Ma a un certo punto l'afferro per un braccio e avvicino la mia guancia alla sua. "Ti sto raccontando un mucchio di cose che non ho mai detto a nessuno. E questo perché voglio che noi due ci conosciamo per davvero." Lei allora si blocca, e si nasconde il viso tra le mani. "Ma mio padre mi aveva raccontato di posti fantastici!" "Che vuoi dire, Nadia?" "E tu mi stai mostrando solo schifezze!" urla. Poi toccandomi il braccio, mi dice: "Senti Nina, mi piacerebbe tanto se tu facessi lo sforzo di mostrarmi qualcosa di veramente bello." Veramente bello. Allora ci toccherà prendere l'autobus, e andare nella zona est della città, verso Holland Park, dalle parti di Ladbroke Grove. Ed eccoci dunque, nella Londra sdolcinata dei ricchi con i conservanti finanche nelle serre. Qui ci sono ristoranti raffinati, bar eleganti, librerie, agenti immobiliari che proliferano peggio dei medici, e bella gente in nero che per la maggior parte non diventa mai vecchia. Ci sono pure negozi di prodotti macrobiotici dove si comprano tofu, noci, yogurth ancora vivo e dentifricio organico. E poi, ci sono piccoli, dolci bambini neri che, sotto i ponti di qualche superstrada, si esercitano a suonare per il Carnevale con dei barattoli di latta; mentre i vecchi fuori all'aperto, gridano seduti su cassette d' arance.Non mancano nemmeno i vari trafficanti di roba: in abiti di Versace, arrivano dalla periferia con i treni dei pendolari e le loro valigette, per rifilare ai poveracci degli slum pezzettini di copertone di qualche catorcio abbandonato, al posto del fumo. E poi ci sono più celebrità che poveri mendicanti.Un esempio? Van Morrison, che tutto nervoso scappa da qualche parte con un enorme cappotto. "Ehilà! Van! Van? Ma neanche mi saluti?". Gli grido dall'altra parte della strada, mentre lui, il Grande Van, accelera il passo come un cane con uno sgusc_ia-telline ficcato nell'ano. Ma Nadia a quel punto mi sembrava stanca, così l'ho portata da "Julie", quel bar dove si trovano sempre i quotidiani sui tavolini e ci si siede su lunghe panchine con dei cuscini tutti lavorati. Dio solo lo sa quanto hanno il coraggio di chiederti per una tazza di tè. Nadia si è subito ripresa, e ce ne stiamo lì sedute amichevolmente, quando lei a un tratto ha attaccato: "Lo vedi spesso nostro padre?" "Di solito, una volta ogni due o tre anni, quando viene per lavoro. Anche vedere me è diventato un lavoro, per lui." "Carino, da parte sua." "Già, almeno così crede lui. Senti Nadia, mi puoi dire una cosa?" Mi avvicino di più a lei. "Quando nostro padre torna a casa, che cosa racconta di me?" Ah, se solo ci andassi un po' più piano! Ma ormai mi conoscete: la vita tutta calma e pazienza non la posso soffrire. "Oh be', è preoccupato, preoccupato, preòccupato." "Dio mio! Preoccupato tre volte." "Dice che tu... no, no." "Dice cosa?" "No, no che non lo dice" "E sì, invece. Dài, Nadia." Lei se ne sta seduta a guardare certi produttori televisivi malvestiti con degli abiti di lino, e intanto tiene il becco chiuso. "Se non mi dici subito che cosa vi racconta mio padre, io mi rovescio addosso tutta la teiera." Intanto l'ho presa e ho alzato il coperchio, per essere pronta nel caso che il rovesciamento-teiera avesse luogo. Nadia continua a star zitta, anzi addirittura guarda da un'altra parte. E allora, che altro posso fare se non lasciarmi cadere un rigagnolo di tè dritto dritto sul cranio? Ha cominciato a gocciolarmi sul viso e poi giù dal mento. È bello bollente, ve l'assicuro! "Va bene, va bene. Papà dice, dice che sei un animale selvatico." "Un animale selvatico?", faccio iò. "Sì. E dice pure che certe volte gli viene voglia di spararti per poterti liberare dalla tua situazione disperata." Nadia guarda dritto davanti a sé. "Sei stata tu a chiedermelo. Sei stata tu a farmelo dire." "Che bastardo. Parlare così di sua figlia!" Lei mi tiene per mano, e per la prima volta mi ha guardato, con gli occhi spalancati e la bocca tutta tesa dal bisogno di dire qualcosa. "È terribile, è davvero terribile laggiù a casa. Capisci Nina, dovevo andarmene! E poi, sono innamorata! Di uno che neanche mi calcola!'., "E poi?" E poi basta. Non mi ha detto più niente, tranne: "È una cosa orribile, davvero orribile." A quel punto io ho cominciato a dare un'occhiata in giro. Questo è proprio il posto giusto da cui svignarsela senza pagare. Si può uscire, arrivare su a metà della strada e poi alla metro, ancora prima che loro possano battere ciglio. Dunque, sto quasi sul punto di proporlo a Nadia, quando poi mi son detta: "Le ho appena raccontato di come mi facevo e dei miei due aborti, mi sono pure rovesciata addosso una teiera piena ... non vorrei che si facesse qualche brutta idea sul mio conto." "Spero", le ho detto allora, "spero proprio che potremo essere arniche oltre che sorelle." E così ho scoperto che gran bastardo è. mio padre! Animale selvatico! Nemmeno lui però è uno stinco di santo! Come può dire una cosa simile di me? Io mi comportavo sempre meglio che potevo quando veniva, e mi coprivo le braccia e i polsi. Non posso fare a meno di ripensarci, e ogni volta mi viene proprio da piangere. Allora adesso vi racconto come, il mio papà, se ne arrivava a casa nostra quando veniva a trovarci. Innanzitutto, fin dal giorno prima si cominciava con il terrore, l'ansia dell'attesa e i preparativi vari. Quando poi io e mamma eravamo sfinite, dopo aver praticamente pulito tutta la casa con la lingua, ecco che un taxi nero scivola\la all'orizzonte del caseggiato (una vera rarità, ancora più di un'ambulanza) con un mucchio di regali festanti sul sedile posteriore: champagne, biciclette, vestiti che non ci andavano, libri, e veri e propri sogni in scatola. Papà era smagliante nel suo vestito da tremila sterline con cravatta di seta. I vicini si affacciavano al balcone per far godere le loro pupille alla vista del principe. E ce ne volevano due o tre di loro per portare in spalla tutta quella roba su da noi.

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