al mercato; la disgregazione dell 'Urss perché favorisce i nazional_ismi.Due sono tuttavia i denominatori comuni di questi giudizi. Che essi vengono formulati "contro" i propri nemici (i borghesi e i revisionisti, per usare un linguaggio un po' desueto); che essi connotano la propria permanente ostilità al capitalismo e la propria fedeltà all'ideologia comunista. Le masse russe odiano Gorbaciov? I simboli del passato regime che vengono distrutti sono stati imposti al popolo senza interpellarlo? Il nazionalismo è la reazione, semplice ed elementare, ad una oppressione decennale; il primo terreno di identità che popoli privati della storia si trovano di fronte? Chi può approfitta delle maglie apertesi nella società e nelle istituzioni per arricchirsi egoisticamente e spesso al lìmite della legalità? Tanto peggio per la realtà: questi fenomeni complessi e contraddittori sono trattati come pedine da sistemare in schieramenti preordinati, di là il capitalismo di qua il comunismo, qui l'eguaglianza lì lo sfruttamento. I colori, nel corso di questo secolo, si sono mescolati, sovrapposti, opacizzati, modificati, dando luogo spesso a nuove tinte: perché non riconoscerlo e cercare di analizzarle invece di trattare da daltonici chi si rifiuta di rimanere chiuso nelle vecchie classificazioni? L'atteggiamento di questi orfani del comunismo ("rancorosi" li definisce bene qui accanto Sinibaldi) è speculare a quello dei "liberali" di cui si parlava all'inizio: lo stesso amore per le parole, i concetti, le idee; la stessa scarsa curiosità per le cose, le persone. Essi sostengono di voler difendere non già un regime o un sistema che hanno criticato da anni, ma un valore, un ideale, la possibilità di farlo diventare realtà. Non si rendono conto che anche il valore e l'ideale sono stati sconfitti, e proprio perché in loro nome, _in passato, si è giustificata la realtà che portava lo stesso nome. · Come può esserci spazio per la nostalgia, sia pure parziale o "critica"? Il sentimento della nostalgia, per quanto umano e comprensibile, è espressione di impotenza se a soccombere ad essa sono persone che si fanno vanto di voler modificare la situazione presente. Invece di guardare avanti si guarda indietro, le difficoltà e le sfide vengono scambiate per un piatto deserto che segue una sconfitta senza speranza, il movimento viene scambiato pèr morte (anche se spesso nella storia la seconda accompagna jJ primo). Ho il sospetto che in alcuni casi si tratti di una versione di sinistra, catastrofista secondo la tradizione terzinternazionalista, della "fine della storia". A chi, come Pintor, sostiene che quello in corso in Urss "è un rivolgimento che abbatte senza edificare. Abbatte tutto quanto noi avversiamo da gran tempo ma per restaurare qualcosa o regredire verso qualcosa che non somiglia affatto a quel che vorremmo" si vorrebbe ricordare che mai i rivolgimenti ottengono i risultati che i suoi attori si propongono, figuriamoci quelli che vorremmo noi. Ma perché chiamare questi inconvenienti della storia - cui chi è più anziano dovrebbe essere più abituato - restaurazioni o regressioni? Le parole non sono neutre: utilizzare quelle due è un messaggio, forse non pienamente esplicito, che viene inviato ai lettori. Come anche i ripetuti e francamente oltraggiosi paralleli tra i golpisti e i radicali rei entrambi di avere isolato Gorbaciov · impedendo il successo del suo disegno riformatore. Chi ha salvato l'Urss da una nuova avventura autoritaria, oltre alle "contraddizioni" esistenti su più piani, è stata una sparuta minoranza di radicali, tra cui sicuramente degli esaltati, trafficanti e probabilmente anche lestofanti. Perché non riconoscerlo-come ha fatto Gorbaciov - e pensare che si tratta comunque di persone più degne di quelle su cui aveva riposto tanta fiducia Michail Serghejevic? Chi vuole restaurare, e che cosa? E quale regressione è mai possibile dopo decenni di cupa dittatura di un cupo, ossessivo · e pervasivo partito quale era il Pcus? IL CONTESTO Il messaggio di Pintor, mi pare, è analogo a quello svolto su "L'Unità" da Asor Rosa e Tronti, anche se questi ultimi non sembrano parlare in nome di umori e sentimenti, ma solo di un freddo ragionamento. Il loro, tra i tanti interventi, mi sembra il più negativamente esemplicativo, sintomatico di come l'ossessione per il trionfo del capitalismo sia speculare ali' ossessione anticomunista cui si è accennato all'inizio. Si può fare ironia sulla morte del Pcus, ma definirlo un "cadavere vivente, lo spettro di un apparato, incapace ormai di gestire un sistema" denuncia solo la superficialità con cui si affronta il problema. Per i russi e i sovietici, intanto, non si trattava. certo di un cadavere, e nel caso di una salma ingombrante fetida. Gl\ spacci in cui la nomenklatura del Pcus poteva scegliere tra ventisette tipi diversi di cioccolata mentre il popolo di cui esso era avanguardia faceva fatica a trovare il pane e il latte esistevano ancora fino alla vigilia del golpe. Come tanti altri aspetti più e meno importanti dell'esempio menzionato. Se anche il Pcus fosse già stato cadavere, i milioni di vermi, mosche e parassiti che lo componevano non sono scomparsi, ma sono pronti a trovare la strada (ieri il golpe, domani il riciclaggio nella burocrazia democratica) per restare vivi e influenti. Il vero punto, per i due intellettuali comunisti, è piuttosto la "fine dell'Urss, fatto storico-politico "maturo nelle cose degli ultimi mesi e forse degli ultimi anni", la vera causa della gioia dei benpensanti e dell' "impazzimento di opinioni" da essa prodotta. Asor Rosa e Tronti ricordano che anche i capitalisti americani tremano "di fronte alle prospettive del nuovo disordine mondiale" e che probabilmente "la scomparsa del sistema del socialismo riacutizzerà le contraddizioni interne al primo mondo capitalistico". Se così fosse dovremmo davvero angosciarci? La possibilità di trasformazione non è sempre stata legata all'esistenza di conflitti? E infine perché non ricordare la gioia dei sudditi di un impero che crolla? Le genti e i popoli non gioirono quando crollarono nel primo dopoguerra l'impero zarista, quello ottomano, quello asburgico, anche se in nessun caso il risultato fu pace e prosperità? Carri armati russia Praga nel '68 (Arch.Rizzoli).
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